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Noce Comune (Juglans regia), il suo legno ed i suoi frutti

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Tra gli alberi da frutto il Noce Comune o Nostrano (Juglans regia) è quello più imponente e mastodontico. In realtà , oltre ai suoi squisiti frutti, la pianta è molto utilizzata in falegnameria grazie al suo pregiatissimo legno con cui si costruiscono mobili ed arredi di vario genere. 
Questo legno, di colore bruno-grigiastro con venature tendenti al nero, è molto apprezzato a livello estetico e ben si presta alla lavorazione. Tuttavia, data l'elevata richiesta e la non abbondantissima produzione, ha un prezzo piuttosto elevato.



Frutto noce



Il Noce Nostrano (Juglans regia), appartenente alla famiglia delle Juglandaceae, è molto diffuso in tutta Italia e si può spingere sino ad un'altitudine di oltre 1000 m. 
Il termine "nostrano" o "comune" indica il fatto che questa sia la specie maggiormente presente in Europa, tuttavia esistono diverse specie di noci come ad esempio il Noce Nero (Juglans nigra) molto diffuso in tutta la parte Est degli Stati Uniti e che deve il suo nome al legno di colore scuro.


Il Noce è una pianta decidua, longeva e mastodontica potendo raggiungere un'altezza di oltre 30 metri. Resiste bene al freddo, gradisce un'esposizione soleggiata, soprattutto qualora venga coltivato in montagna, mentre in pianura può resistere anche ad un certo grado di ombreggiatura.
Ama terreni fertili, profondi, ricchi di sostanza organica e ben drenanti, mentre rifugge da quelli troppo secchi ed aridi, specie se accompagnati da temperature molto elevate.


Il Noce comune (detto anche Noce Bianco) è una pianta che necessita spazio attorno a sé e si sviluppa molto anche in larghezza.
Questa specie preferisce posizioni isolate e difficilmente si formano "boschi di noci", mentre è molto comune trovarne isolati in aperta campagna, inoltre vengono spesso usati anche come "alberi da ombra".
Sebbene ora diffuso in tutte le zone temperature del mondo, la sua zona nativa è quella compresa tra Est Europa ed Asia centrale.

Le principali varietà sono :


  • Noce di Sorrento (Italia)
  • Noce Franquette (Francia)
  • Noce Lara (Francia)
  • Noce Chandlar (USA)
  • Noce Hartley (USA)


In inverno la pianta spoglia lascia in bella vista i propri rami dal legno di colore grigio e le grosse gemme che possono, almeno a prima vista, ricordare quelle del Fico.



Gemme noce inverno



I fiori maschili sono degli amenti presenti sul legno di un anno (quello prodotto nell'estate precedente) ed in questo periodo sono visibili nella loro veste invernale vicino alla cicatrice fogliare.



Amenti noce inverno



Amenti Juglans regia



Il noce è piuttosto pigro ed è tra le ultime piante a "risvegliarsi" in primavera.
La Juglans regiaè una specie monoica con fiori a sessi distinti; i primi a sbocciare (ancor prima dell'emissione delle foglie) sono i fiori maschili che, nella loro veste primaverile, sono verdi, allungati, spesso riuniti in grappoli e contengono un polline giallo molto volatile.



Fiori maschili in primavera




Male flowers walnut



I fiori femminili hanno color verde-giallognolo, sbocciano contemporaneamente all'emissione delle foglie e sono  presenti sulla nuova vegetazione riuniti a gruppi di 2-3.
La parte basale, di forma ingrossata, rappresenta l'ovario, mentre la parte superiore è costituita dallo stigma diviso in due lobi contrapposti per offrire massima ricettività.
Ai fini della potatura del Noceè fondamentale sapere che, nella maggior parte delle varietà europee, i fiori femminili si originano solo dalle gemme apicali dei rami e non da quelle laterali, quindi un ramo "accorciato" non fiorirà e dunque non produrrà.



Fiori femminili noce



Fiori femminili Juglans regia



Female walnut flowers



Il noce è generalmente una specie autofertile, tuttavia presenta una spiccata proterandria, ovvero i fiori maschili fioriscono prima rispetto a quelli femminili ed, in alcuni casi, il tempo di sovrapposizione delle due fioriture è troppo esiguo per ottenere un'impollinazione ottimale.
Per questo motivo è consigliata l'impollinazione incrociata con diverse varietà che abbiano epoche di fioritura leggermente sfalsate. Nella realtà, nella maggioranza dei casi, si riesce ad ottenere un discreto raccolto anche con l'autoimpollinazione, infatti non è raro vedere alberi isolatissimi carichi di noci.
Conclusasi la fioritura femminile i fiori impollinati cresceranno velocemente, mentre gli altri seccheranno e cadranno entro poco.



Piccoli frutti noce



Walnut fruits growing



La vegetazione è esplosiva, un noce in età giovanile può fare dei rami lunghi oltre 2-3 metri in un'unica stagione vegetativa. Le foglie sono alterne, composte da una serie di 9-10 foglioline ed hanno un bel colore verde vivo, mentre quelle giovani hanno colore rossastro.



Giovani foglie noce



Foglie noce comune




Il frutto (la Noce) matura sul finir dell'estate ed, in funzione di clima e varietà, è pronto per esser mangiato intorno a metà settembre-inizio ottobre. 
Questo frutto è una drupa il cui esocarpo (Mallo), giunto a maturazione, annerisce e si "screpola", lasciando cadere la noce in esso contenuta. 
L'endocarpo è quel tessuto legnoso che noi conosciamo col nome "guscio della noce" al cui interno è contenuto il prezioso gheriglio; esso è la parte tenera che si mangia, ha un alto contenuto lipidico (grassi) ed una vaga forma a "cervello".




Frutto noce maturo




Il gheriglio è molto richiesto dall'industria dolciaria, ma trova impiego anche come frutto secco da mangiare da solo o come condimento (ad es. nella famosa Pizza con Noci e Gorgonzola). Con le noci è inoltre possibile produrre olio alimentare o da pittura.









La fabbrica riconquistata dalla Natura: la Polveriera di Taino

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Sin da bambino sono stato affascinato dalle case abbandonate e dai ruderi. Credo che raccontino una storia; quelle mura, ora erose dalle intemperie, una volta accoglievano e riscaldavano una o più famiglie, al loro interno si sono consumati pasti, litigi, amori, odi, affetti ed ora tutto giace in balia della natura. 
Le persone che hanno voluto e desiderato quelle case ora non ci sono più, eppure esse sono ancora lì (per poco) a testimoniare la loro esistenza, ma pian piano la vegetazione avanzerà e riconquista ciò che ai tempi gli fu sottratto.
Un senso di nostalgia avvolge l'osservatore, ma una nostalgia non lugubre bensì una sorta di consapevolezza della caducità della vita e di come tutto si trasformi col tempo in un ciclo che dura da milioni di anni.

Ma come sarebbe una fabbrica abbandonata da decenni?




Esterno Polveriera di Taino



Le emozioni descritte sopra sono ben presenti anche qui ed anzi sono esacerbate in questa seconda condizione. All'interno di una fabbrica la gente forniva manodopera in cambio di soldi che servivano per costruire le case in cui poi si sarebbero consumati "pasti, litigi, amori, odi, affetti", la gente sudava, faceva fatica, si feriva, moriva e tutto questo in condizioni che oggigiorno sarebbero impensabili.

In particolar modo questa che andrò a descrivere era una Polveriera, situata a Taino (VA).
Per arrivare ai ruderi della Polveriera di Taino bisogna percorrere un breve tratto di strada in salita che ci conduce, con infittimento graduale della vegetazione, in una zona boschiva molto isolata. Qui i rumori sono ovattati e il fruscio delle foglie è più intenso del traffico che si ode in lontananza.
All'ingresso della polveriera si è pervasi da un senso di pace, un senso di "tempo antico" e chiudendo gli occhi altro non riesco ad immaginare se non operai vestiti un po' come in quei film in bianco e nero degli anni '30.
Ora dove tutto giace, un tempo era luogo frenetico, affollato e molto rumoroso con macchinari, urla, passi e voci. La foto appena sotto è una ripresa aerea presa da Google Maps, quelle parti arancioni sono ciò che rimane dei tetti, credo che questa foto renda l'idea di ciò che ho scritto.



Polveriera di Taino vista aerea



La storia della Polveriera di Taino parte nel lontano 1914, anno in cui venne battezzata e divenne operativa con l'assunzione di oltre 50 operai. Con gli anni la polveriera si espanse, vide un'ascesa economica e negli anni successivi divenne la principale fonte occupazionale dei Tainesi e degli abitanti delle zone limitrofe. Questa polveriera fu macchiata con sangue umano nel 1935, anno in cui un'esplosione tolse la vita a 35 persone di cui quasi metà Tainesi, il ricordo è ancora vivo tra gli anziani di questo piccolo comune del varesotto.
Negli anni '40, grazie anche al secondo conflitto mondiale, si raggiunse il picco massimo e la fabbrica contava quasi 2.000 operai.
Fa strano pensare che in un luogo ora così quieto un giorno si potessero produrre gli "strumenti di morte" con cui si è fatta la storia che ora studiamo sui libri. Chissà quanti nazisti e fascisti usufruirono di queste armi, chissà quanti crimini furono commessi, chissà quanti morti produssero, eppure ora tutto giace nell'oblio di quelle mura diroccate.



Polveriera di Taino



La Polveriera di Taino riuscì a sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e rimase attiva, sebbene il suo declino fosse iniziato. Nell'autunno del 1972 la fabbrica venne dismessa e da allora non fu più adibita a null'altro, solo lasciata lì in mezzo al bosco che pian piano se ne prese possesso.

All'ingresso della fabbrica abbandonata ci attende un cancello, ormai corroso dalla ruggine, affisso a due pilastri di cemento uniti tra loro da un terzo a forma di \pi, una struttura solenne, austera ed imponente, quasi volesse intimorire coloro che volessero oltrepassarla.



Cancello Polveriera di Taino



Cancello Polveriera di Taino



La strada asfalta, anzi ex-asfaltata, che conduceva all'interno della polveriera è ormai ricoperta dalla vegetazione. I rovi ricadenti si sono dolcemente appoggiati sulla strada, l'erba si è espansa dai margini sino alla parte centrale della strada, piccole fessure nell'asfalto hanno creato l'ambiente ideale per la crescita di erbe infestanti o addirittura alberi (in foto si vede una Robinia) che a loro volta hanno allargato le fessure dell'asfalto fornendo "nuova terra" per altre piante.



Strada principale Polveriera di Taino



Strada principale Polveriera di Taino



Strada principale Polveriera di Taino



Strada Polveriera di Taino



Appena all'ingresso troviamo una prima struttura, non ho idea di quale fosse la sua natura, ma forse poteva trattarsi degli uffici o della casa del custode, l'aspetto è più quello di un edificio abitativo che di una fabbrica. Non vi nego che questa sia la parte che più mi incusse timore ed un ancor più forte senso di "abbandono", forse dovuto anche al fatto che in quel punto la vegetazione era fittissima e, sebbene fosse una giornata estiva con sole, la luce era flebile tanto che la macchina fotografica usò il "flash" in automatico per fare le foto.

Una scala ricoperta da vegetazione conduce a quella che doveva esser la porta d'ingresso, le pareti sono ricoperte da muschio e muffe, l'intonaco interno è stato eroso e qua e là si intravedono i mattoni "nudi".
Dalle finestre rotte fotografai le stanze ed i lunghi corridoi; il "flash" e l'effetto "luce-buio" hanno acuito quel senso di degrado già fortemente presente e, riguardandole, mi viene in mente qualche film horror anni '80 o la bambina de "L'esorcista".



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Gli edifici sono tanti, sparsi su un'area enorme e probabilmente ce ne sono molti più di quelli che vidi, infatti in alcune zone la vegetazione era così fitta da non lasciar passare nessuno che non fosse munito di falcetto, guanti e pantaloni lunghi. Alcune costruzioni sono praticamente mimetizzate e sommerse dalla vegetazione incolta.



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Proseguendo ed addentrandosi nel cuore della Polveriera di Taino oltrepassiamo diversi edifici o quel che ne rimane fino ad arrivare in un strada in leggera pendenza ed alberata con imponenti piante tra cui i Platani; sulla sinistra si nota quello che doveva essere lo stabilimento principale o il cuore produttivo della fabbrica di armi.



Fabbrica abbandonata



Fabbrica abbandonata



Le vetrate rotte e l'aspetto fatiscente incuriosiscono e spaventano al tempo stesso, ma è all'interno che si trova l'ambiente più caratteristico. Infatti qui, grazie al tetto in parte fatto da vetrate, la luminosità è superiore rispetto ad altre zone, inoltre il percolare dell'acqua lungo le pareti  ed i pilastri di sostegno rendono l'ambiente umido ed adatto allo sviluppo di muschio; questo, insieme all'edera, si è impadronito dell'edificio tappezzando quasi interamente la pavimentazione.



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino




Polveriera di Taino



Fabbrica abbandonata



In una zona vi sono delle sinistre botole la cui utilità non mi sovviene alla mente e, proseguendo, si arriva ai bagni. Essi sono disposti in un corto corridoio, su una parete i Wc, sull'altra presumo delle docce ormai ampiamente "vandalizzate".



Polveriera di Taino



Polveriera di Taino



Bagni abbandonati



Bagni abbandonati



La gerarchia dei tempi si evidenzia anche nei bagni, alcuni potevano stare seduti e comodi in uno stanzino in disparte, altri dovevano accontentarsi di turche separate  da muri alti si e no 2 metri.



Bagni abbandonati



Bagni abbandonati



L'ultima zona che visitai fu un edificio disposto su due piani uniti da una scala che dava tutta l'impressione di essere traballante e pronta a crollare da un momento all'altro. Al piano terra vi era il quadro elettrico (o qualcosa del genere), al piano superiore vi erano delle strane strutture che somigliavano a dei tiranti ed il pavimento in prossimità di esse era forato mettendo in comunicazione i due piani.



Tetto a vetrata



Scale



Quadro elettrico polveriera Taino



polveriera Taino



polveriera Taino



Percorsi la strada inversa a velocità decisamente più sostenuta rispetto all'andata ed infine mi trovai fuori dove tutto aveva un'altra prospettiva, sebbene tutt'attorno fosse incantato quasi come se il tempo fosse ibernato dal lontano 1972.



Due edifici nella giungla



fabbrica abbandonata



Jungle



Veduta delle mura esterne fabbrica abbandonata

Le Fave (Vicia faba) arricchiscono di azoto la terra dell'orto

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E' noto fin da tempi antichi che alcune specie apportano elementi che altre consumano. 
Un elemento cardine per lo sviluppo di tutte le piante è l'Azoto e le Fave (Vicia faba) contribuiscono all'arricchimento di azoto della terra dell'orto in cui sono coltivate. 


Generalità ed inquadramento botanico


Baccello di Fava La Fava (Vicia faba, detta anche Faba vulgaris) è un ortaggio appartenente alla famiglia delle Fabaceae (detta anche Leguminose), la stessa di Piselli e Fagioli. Come accennato sopra ha l'ottimo pregio di arricchire il terreno di azoto e la sua coltivazione può essere molto utile per preparare un terreno ricco per l'orto estivo. Questa sua caratteristica è dovuta alla simbiosi che si instaura tra le sue radici e i batteri della specie Rhizobium leguminosarum. Questi batteri sono azotofissatori, ovvero hanno la peculiarità di esser in grado di assorbire l'azoto gassoso (N2) presente nell'atmosfera e di convertirlo in altri composti azotati solidi in grado di esser assorbiti dalle radici delle piante. La simbiosi è utile ad entrambi gli organismi, i batteri forniscono sali di azoto assimilabili, mentre le radici delle fave forniscono loro i restanti nutrienti.


Semina, coltivazione, sviluppo ed esigenze climatiche


Vicia faba leaves
Le Fave, diversamente da altri ortaggi, preferiscono un clima fresco e mal si prestano alla coltivazione estiva. In Italia, laddove non geli, si possono coltivare nel periodo autunno-invernale, altrove è meglio coltivarle una volta passati i rigori invernali, da fine febbraio a maggio. 
Vicia faba flowersLa germinazione dei semi avviene anche a temperature di poco superiori agli 0° C (32 F°) e, con temperature di 10° C (50° F), si attua nel giro di 10-15 giorni. La Fava emette un fittone con numerosi tubercoli che, anche grazie alla simbiosi con batteri azotofissatori, nutre la pianta permettendogli una crescita assai rapida. La Vicia faba ha uno sviluppo prettamente eretto con rare ramificazioni e raggiunge mediamente il metro di altezza, sebbene alcune varietà possano superare i 150 cm. Le foglie sono alterne e composte da 2-4 foglioline. I fiori sono portati da un racemo originatosi dall'ascella fogliare e ne contiene un numero variabile mediamente compreso tra 2 e 6. I fiori delle fave sono lunghi circa 3 cm, hanno colore in prevalenza bianco con striature violacee e piccole zone nerastre, temono i caldi intensi, infatti temperature superiori ai 24-26° C compromettono la fruttificazione. Il frutto è un baccello contenente da 4 a 10 semi di forma e colore molto diversificati tra le varietà.


Varietà


Le varietà appartenente alla specie Vicia faba si possono catalogare in 3 grandi gruppi:


  • Vicia fabavar. minor : detta anche favino o piccola fava e caratterizzata dall'aver semi piccoli  e rotondeggianti il cui peso è inferiore a 0,7 grammi. Questa varietà è usata prevalentemente per il foraggio o il sovescio e talvolta per l'alimentazione del bestiame. 
  • Vicia fabavar. major : la classica fava dalla forma appiattita il cui peso di ogni singolo seme supera 1 grammo di peso. E' la varietà più diffusa per la coltivazione negli orti ed il suo uso è prevalentemente quello dell'alimentazione umana. 
  • Vicia faba var. equina : comunemente detta favetta, ha una forma semi-appiattita, una dimensione intermedia tra le due varietà sopracitate ed è usata nell'alimentazione del bestiame. 



Utilizzi



Pianta di Vicia fabaLa fava è una specie dai mille utilizzi, è un ottimo legume per l'alimentazione umana, ma può essere impiegato anche per l'alimentazione del bestiame, dalle mucche ai cavalli a più o meno tutti gli erbivori. Inoltre, come riportato all'inizio dell'articolo, è un ottimo apportatore di azoto nel terreno favorendo le successive coltivazioni e ben si presta anche alla tecnica del sovescio. In ultimo ricordiamo che le fave hanno crescita rapida e si sviluppano anche con temperature rigide; il fatto di esser tra le prime specie a crescere le rende indicate per la lotta biologica, questo perché in primavera possono essere parassitate dagli afidi che a loro volta forniranno un ottimo (e raro per il periodo) banchetto per le coccinelle. Attirare e nutrire le coccinelle nella prima fase della primavera aiuta a prevenire i futuri attacchi parassitari su altre specie ortive e non. 


Avversità


Le fave, un po' come tutti gli ortaggi, sono soggette a diverse avversità, ciò nonostante leggeri attacchi possono esser tollerati e non compromettono la raccolta.
Le principali calamità di origine fungina sono:


  • Antracnosi : forse quella più seria, può verificarsi durante tutto il ciclo vegetativo. Attacca il fusto producendo ferite profonde e il baccello causando necrosi di colore nerastro e deformazioni che si espandono ai semi in via di sviluppo.
  • Ruggine : attacca prevalentemente le foglie producendo le classiche macchie di color giallo-arancione-marroncino sparse lungo tutta la foglia  che ricordano appunto la ruggine che troviamo su un ferro abbandonato.

L'umidità eccessiva, bagnare le piante con acqua gelida, bagnare le foglie durante l'innaffiatura e concimazioni ricche di azoto facilitano l'instaurarsi di questi funghi.


La principale avversità di origine animale è l'Afide nero (Aphis fabas), esso si riproduce molto velocemente e un eccessivo attacco compromette la vitalità della pianta, tuttavia questo parassita richiama sulle fave le coccinelle e si instaura spesso un equilibrio tra le specie.





Palma Blu del Messico (Brahea armata), una palma dai lunghi fiori

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Sebbene la famiglia delle Palmaceae (o Arecaceae) sia prevalentemente di origine tropicale, alcune specie di Palme mostrano un certa resistenza al freddo e possono esser coltivate anche in Italia e nel Mediterraneo.
Palma Blu in Liguria
Il genere Brahea, annovera al suo interno oltre 10 specie, tutte originarie del Centro America, tra cui le più diffuse sono la Brahea armata (detta anche Palma Blu del Messico) e la Brahea edulis. Quest'ultima è endemica dell'isola di Guadalupe e si differenzia dalla B.armata per aver foglie più verdi e per esser leggermente meno rustica.


Palma Blu del MessicoLa Brahea armataè originaria della Bassa California (Baja California) in Messico, una zona molto arida (il capoluogo Tijuana registra poco più di 200 mm di acqua l'anno, ovvero 1/4 di quelli che cadono a Roma) e con temperature minime che possono, raramente, scendere sotto gli 0° C (32 °F). La Palma Blu del Messico, potendo resistere a lunghi periodi di siccità così come a lievi gelate, è perfettamente adattata al clima Mediterraneo e cresce in molte zone d'Italia.


La Brahea armata è una palma poco esigente in quanto a terreno e si accontenta anche di un terreno povero e ghiaioso, come quello tipico di molte zone aride, mentre l'esposizione ideale è quella in pieno sole o a mezz'ombra; inoltre è piuttosto tollerante ai venti ricchi di salsedine. Questa specie, soprattutto nel primo decennio di vita, ha una crescita estremamente lenta, infatti non è raro vederne alcune dall'aspetto decisamente tozzo; dopo la prima fase la velocità di crescita aumenta e la pianta raggiunge dimensioni medie arrivando sino ad un'altezza di 15 m (50 ft) ed un diametro della corona di circa 5 m (16 ft).


Brahea armata flowersLa Palma Blu del Messico possiede, come suggerisce il nome, delle foglie di color argento con riflessi blu che possono vagamente ricordare il colore delle foglie d'olivo. Esse sono lunghe sino a 2,5 m (8 ft) e, diversamente dalle foglie della Palma da Cocco, hanno forma palmata, ovvero "a ventaglio". Il tronco è di colore grigio, tozzo da giovane, leggermente più slanciato nelle palme adulte e può raggiungere un diametro di 50 cm (20 in).
Blue Mexican Palm flowersCiò che rende uniche queste palme è però la fioritura, essa si protrae per lungo tempo ed avviene durante la primavera e l'estate.
Le infiorescenze della Brahea armata sono composte da innumerevoli fiori ermafroditi color bianco crema e sono lunghe sino a 5 m (16 ft), le più lunghe tra tutte le specie di palme. I frutti sono lunghi circa 2 cm (0.8 in) e a maturazione virano dal colore giallo a marrone.

La Palma Blu del Messico può acclimatarsi fino ad una zona USDA  8 e può indicativamente sopravvivere a temperature nell'ordine dei -12° C (10° F), queste devono però essere di breve durata, con ambiente secco ed accompagnate da temperature massime superiori agli 0° C (32° F).
Un freddo anche inferiore, ma prolungato nel tempo, può aver effetti nefasti, specie se unito ad un' elevata umidità atmosferica.
L'effetto decorativo delle sue foglie, il portamento delle infiorescenze penduli che spesso arrivano arrivano a metà tronco e la sua notevole rusticità la rendono un'ottima Palma ornamentale adatta a quasi tutte le zone costiere d'Italia.

Che cos'è l'impollinazione e a cosa serve?

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L'impollinazioneè il processo tramite cui i granelli di polline (gameti maschili) prodotti dagli stami si depositano sugli ovuli (gameti femminili), mentre gli impollinatori sono gli animali che trasportano il polline da una pianta all'altra. Nelle prossime righe cercheremo di capire a che cosa serve l'impollinazione a livello evolutivo, oltre all'ovvia fecondazione dei fiori per la produzione di frutti.

Impollinazione ape fiore



L'argomento era già stato introdotto parlando di autofertilità e sessualità nelle piante , ma perché l'impollinazione gioca un ruolo primario nel regno vegetale? perché le Api (Apis mellifera) sono così importanti?

La risposta sta nell'evoluzione, tutte le specie evolvono e quelle meno adatte all'ambiente in cui vivono saranno sopraffatte da quelle più adatte. Ora vi chiederete "Ma cosa c'entra questo con l'impollinazione?" ed io cercherò di spiegarvelo nelle prossime righe, spero in maniera esaustiva.

Le mutazioni sono eventi rari che "alterano" un gene, a volte questo "cambiamento"è vantaggioso, a volte neutro, a volte svantaggioso; l'evoluzione seleziona appunto quelli vantaggiosi. Tuttavia nella realtà non esiste un unico gene e non è sempre tutto o bianco o nero, quindi l'esser "più o meno adatti"è spesso dovuto alla combinazione di più geni.

Ora cercherò di fare un esempio semplice, ma intuitivo.

Siamo in una zona torrida e secca, al confine col deserto ed una specie di pianta sta cercando di lottare per la sopravvivenza al caldo e alla siccità.

Terreno arido Tenerife Canarie



Supponiamo che la pianta 1 abbia avuto una mutazione sul suo gene A (ora diventato gene A-mut) che le conferisce maggior resistenza alla siccità, mentre la pianta 2 abbia avuto una mutazione sul suo gene B (ora gene B-mut) che le conferisce maggior resistenza al caldo estremo.

Quindi:

  • La pianta 1 avrà il Gene A-mut e il Gene B, sarà quindi resistente alla siccità, ma non al caldo estremo
  • La pianta 2 avrà il Gene A e il Gene B-mut, sarà quindi resistente al caldo estremo, ma non alla siccità

Dato che l'evento che ha "creato" il Gene A-mut è raro è improbabile che nella pianta 1 avvenga una seconda mutazione nel Gene B che lo faccia diventare Gene B-mut, ovvero resistente al caldo. Lo stesso discorso vale per la pianta 2.

Quindi se le due piante non entrassero mai in contatto, se non si scambiassero informazione genica, avremmo tutta la progenie della pianta 1 resistente alla siccità, mentre tutta la progenie della pianta 2 resistente al caldo, ma nessuna pianta potrà mai esser resistente sia alla siccità che al caldo torrido.
L'impollinazione incrociata permette lo "scambio di geni" tra le diverse piante aumentando esponenzialmente la variabilità genetica di una pianta.

Ora pensate che nella realtà non ci sono 2 piante e non ci sono solo 2 geni in gioco, si capisce quindi che la complessità è notevole e le combinazioni che si possono creare diventano praticamente infinite. Più le combinazioni "casuali" porteranno un vantaggio evolutivo e più verranno trasmesse a discapito di quelle svantaggiose, nell'esempio sopra una pianta con Gene A-mut e Gene B-mut potrà spingersi in zone ancora più desertiche dove sia la pianta 1 che la pianta 2 morirebbero, per il caldo o per la siccità rispettivamente.

Quindi l'impollinazione tra piante diverse facilita lo scambio genico ed aumenta le possibili combinazioni, questo serve ad aumentare la probabilità di trovare una pianta più adatta all'ambiente rispetto ai suoi progenitori.


Durian (Durio zibethinus), il frutto che puzza più diffuso del Sud-Est Asiatico

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Alzi la mano chi ha mai sentito parlare o meglio ancora assaggiato il Durian? Eppure questo frutto, prodotto dalla specie Durio zibethinus, è il più diffuso del Sud-Est Asiatico tanto da meritarsi il nome di "King of Fruits" (Re dei Frutti).

Come si mangia il Durian? Qual è il suo gusto?


Caratteristiche del frutto del Durian :


Frutto Aperto DurianIl Re dei Frutti si trova molto facilmente in Thailandia, Malesia, Filippine ed Indonesia ad un prezzo abbordabile, mentre è praticamente impossibile trovarlo fresco in Italia. Durianè una parola composta in lingua malese, che tradotta significa "frutto spinoso", in effetti la spessa buccia di questo frutto presenta numerose spine a forma piramidale che ne rendono difficile l'apertura.
Il fruttoha un peso medio che si aggira attorno ai 2-4 kg (4-8 lb), anche se, raramente, può arrivare fino a 7-8 kg (15-17 lb); la parte edule è la polpa interna che racchiude diversi semi. Il Durian è noto per la suaintensa puzza, a detta di molti un misto tra sudore di ascelle, calze sporche e latte scaduto da molto tempo; nel sud-est Asiatico il suo possesso è proibito, con tanto di cartelli, in diverse strutture (Hotel, Aeroporti, etc..) ed il trasporto in contenitori ermetici è altamente consigliato.



Ora vi starete chiedendo "Come fa un frutto così puzzolente a riscontrare tanto successo?"



Frutti immaturi DurianFrutti più maturi hanno un odore più intenso, così come il loro sapore; sembra infatti che odore e sapore siano strettamente correlati. Dopo averlo sgusciato, il Durian ci mostra la sua parte interna dal colore che spazia dal giallo intenso al bianco crema a seconda della varietà e del grado di maturazione.
La polpa matura ha una consistenza soffice, cremosa e si scioglie in bocca, mentre il gusto, in contrapposizione all'odore, è eccezionale per la maggior parte di coloro che l'hanno assaggiata. Il sapore del Durian si potrebbe descrivere come un miscuglio di diverse essenze: un sentore di vaniglia aromatizzata alle mandorle con un retrogusto di formaggio morbido e poco stagionato che nel complesso rendono il gusto tipicamente tropicale.


Alfred Russel Wallace (1823-1913), naturalista inglese noto per aver elaborato, in contemporanea, una teoria sull'evoluzione simile a quella di Darwin, descrive il gusto del Durian:


"Un sapore indescrivibile, una crema pasticcera all'aroma di mandorla fornisce un'idea generale, ma ci sono occasionali sfumature di gusti che portano alla mente crema di formaggio, salsa di cipolle, vino "Sherry" ed altri alimenti minori. Poi la morbidezza della polpa aggiunge un tocco di delicatezza, come in nessun altro frutto. Non è né acido, né dolce e neppure succoso, nessuna di queste qualità è necessaria per renderlo perfetto. Non induce nausea o altri cattivi effetti e più ne mangi e meno sei disposto a fermarti. Infatti mangiare Durian è una nuova sensazione che vale la pena provare per tutti coloro che viaggeranno nell'Est"



Come coltivare il Durian :


Durio zibethinus tree
Foglie di DurianIl Durian è il frutto della specie Durio zibethinus e cresce con successo nelle zone comprese tra il 18° N e il 18° S, a patto che vi siano piogge di almeno 1500 mm/anno (60 in/year) ben distribuite nei 12 mesi. Infatti questa specie non è adatta alle zone monsoniche in cui vi sia una stagione secca di oltre 2-3 mesi; in zone molto vicine ai tropici può crescere fino ad un'altitudine di 800 m (2,600 ft). L'habitat di crescita è simile a quello del Mangostano, anch'esso diffuso nel sud-est asiatico e la temperatura minima non dovrebbe mai essere inferiore ai 15°C (60°F), sotto gli 8°C (46°F) la pianta inizia a defogliarsi e sotto i 5°C (41°F) a morire. Nei primi anni di vita la pianta del Durian gradisce un certo grado di ombreggiatura, mentre da grande si sviluppa al meglio in pieno sole. Il terreno ideale è acido (pH 5-6), ricco di sostanza organica, ma soprattutto drenante in quanto le radici del Durio zibethinus non tollerano il ristagno d'acqua. Inoltre la coltivazione è preferibile farla nell'entroterra in quanto questa specie, diversamente dalla Palma da Cocco e Palma Blu del Messico, non tollera la salsedine nell'aria.



Biologia e Botanica :


Boccioli floreali DurianFiori di Durio zibethinus
Il Durio zibethinusè una specie sempreverde nativa dell'Indonesia, Malesia e poi diffusasi nel resto del sud-est asiatico. L'albero è di longevità media (100-150 anni, occasionalmente plurisecolari), ha dimensioni notevoli e, soprattutto in foreste dense, può raggiungere un'altezza di 30-40 m (100-130 ft); il tronco cresce eretto con numerose ramificazioni laterali e, se lasciato crescere liberamente, assume una forma conica, simile a quella di un "Albero di Natale". Le radicihanno conformazione diversa a seconda se siano piante fatte da seme o innestate, le prime hanno un fittone che scende dritto per poi ramificarsi con radici secondarie e terziarie, mentre le piante innestate non hanno il fittone e le ramificazioni iniziano più superficialmente. L'apparato radicale del Durian non è espanso, infatti è situato per circa l'80% nell'area sottostante la chioma. Le foglie sono semplici, alternate e di forma ellittica, larghe mediamente 5 cm (2 in), lunghe 15 cm (6 in) e, appena spuntate, sono ripiegate su sé stesse; peculiare è il forte contrasto tra la parte superiore della foglia di colore verde intenso e la parte inferiore di color marrone, in presenza di vento l'effetto cromatico ne esalta la bellezza. I fiori sono lunghi 5-7 cm (2-3 in), hanno un odore fragrante ed un colore generalmente giallo, ma variabile a seconda della varietà; il colore del fiore rispecchia quello che sarà il colore della polpa del frutto. I fiori del Durian sono riuniti in un corimbo contenente mediamente 20-30 fiori e sbocciano da gemme situate sulle branche principali o addirittura sul tronco, questo perché rami più giovani ed esili non reggerebbero il peso dei frutti.



Fisiologia dello Sviluppo dei Frutti :


Frutticini DurianL'induzione a fiore sembra esser stimolata da una breve stagione secca (3-4 settimane). I fiori sono ermafroditi, mentre la pianta è generalmente autosterile, l'impollinazione incrociata tra diverse piante è dunque indispensabile per ottenere frutti. Inoltre la parte femminile di un fiore è recettiva quando quella maschile non produce ancora polline, questo sfalsamento impedisce che il polline fecondi l'ovulo dello stesso fiore. I fiori si aprono dalle 15 a mezzanotte, con un secondo picco nelle prime ore dell'alba. L'impollinazione avviene ad opera di insetti notturni, ma anche di piccoli mammiferi, tra cui alcune specie di pipistrello (es. Eonycteris spelaea o Macroglossus minimus) che si nutrono dell'abbondante nettare presente nei fiori di Durian. La maturazione avviene, in base alla varietà e all'andamento climatico, circa 90-130 giorni dopo la fioritura ed il periodo di raccolta si protrae per circa un mese. Anche in condizioni ottimali di clima e impollinazione si sviluppano solo 1 o 2 frutti per ogni grappolo floreale.


Ma in che periodo matura il Durian?


Essendo una pianta tropicale che prospera in climi senza una netta stagione secca e umida il periodo di maturazione varia molto anche con minimi cambiamenti climatici e anche le oltre 200 varietà hanno periodi di maturazione differenti, ma in linea generale vale quanto segue.
In zone molto vicine all'equatore, con piogge ben distribuite, come in Malesia, ci possono esser anche due produzioni all'anno con un picco nei mesi di Giugno e Dicembre. In zone tropicali lontane dall'equatore (cioè non comprese tra 10°N e 10°S), come parti dell'Australia, la fioritura avviene in primavera e la maturazione intorno a fine estate-inizio autunno. In zone in cui vi sia una (breve) stagione secca, come alcune zone dell'India, la fioritura avviene poco prima che inizi la stagione delle piogge e la maturazione circa 3-4 mesi dopo.



Polpa frutto Durian








Uva Turca (Phytolacca americana), un'infestante dalle bacche nere

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Tra le specie che meglio si adattano al clima italiano troviamo l'Uva Turca (Phytolacca americana), un'infestante con bacche nere o blu scuro.
L'uva turca, contrariamente a quanto dica il nome, è originaria del Nord America ed è nota anche con altri nomi: Cremesina, Uva da Colorare, Fitolacca Americana, Spinacio della Virginia.


Phytolacca americana tree

























Portamento Fitolacca americana
La specie Phytolacca americana appartiene alla famiglia delle Phytolaccaceae, non è quindi minimamente imparentata con l'uva che tutti noi conosciamo. Questa pianta fu introdotta in Italia a partire dal '700 e sfruttata prevalentemente per la produzione di bacche nere che venivano poi utilizzate come colorante o tintura naturale per capi di lana. La Fitolacca Americanaè una specie poco esigente, può crescere in zone assolate, così come in zone ombrose, su terreni ricchi o poveri, in zone siccitose o umide e questo, insieme alla crescita molto veloce, le ha permesso una rapida diffusione diventando un'infestante su quasi tutto il territorio italiano. La Phytolacca americana è una specie nitrofila, ovvero amante dei terreni ricchi di nitrati che spesso si trovano in corrispondenza di letamai, vecchi muri, stalle o vicino a campi coltivati; infatti la si ritrova facilmente ai margini dei terreni agricoli o delle zone boschive e nei canali di irrigazione, tuttavia può crescere anche nel sottobosco, all'interno di case diroccate o sul ciglio della strada. 


Phytolacca americana fruits

























L'Uva Turcaè una pianta erbacea perenne, che può raggiungere un'altezza di 2-3 metri, il fustoè eretto e lignificato solo alla base, mentre i ramisono numerosi, succulenti e lunghi, tanto da avere un portamento "ricadente".
Foglie Phytolacca americanaIl colore del legno varia col passare della stagione e, a fine estate/inizio autunno, diventa rosa-violaceo rendendo l'Uva Turca distinguibile tra tutte le altre piante. 
Fiori Uva TurcaLe foglie sono alternate, lunghe circa 20 cm e larghe 5 cm, a forma lanceolata con apice appuntito; il colore è verde chiaro, ma spesso, specie le foglie esposte al sole, tendono a diventare rossicce o addirittura gialle. I fiori sono riuniti in racemi (grappoli) lunghi circa 15 cm, opposti alle foglie e presenti scalarmente per tutta l'estate. Il singolo fiore è ermafrodita, privo di petali, di color bianco-rosato e verdastro nella parte centrale (ovario). I frutti che seguono la fioritura sono delle bacche arrotondate con diametro di circa 5-10 mm, riunite in un grappolo che a maturità risulta pendulo. Queste bacche sono dapprima verdi e lucide per poi virare ad un colore viola porpora molto scuro, quasi nero e, a maturità, diventano estremamente macchianti. Ogni frutto è diviso in dieci spicchi, ognuno dei quali contenente un seme; questa geometria, che ricorda un po' la forma della zucca, è ben osservabile nei frutti in accrescimento; i frutti dell'Uva Turca non sono commestibili.

Oltre all'utilizzo come colorante, la Fitolacca Americana viene sfruttata come pianta officinale per la sua azione purgativa ed antinfiammatoria contro batteri, funghi e virus di varia natura; inoltre stimola il sistema immunitario. Sebbene la pianta sia tossica, in alcuni paesi è consuetudine mangiare i giovani germogli dopo averli bolliti più volte, mentre le bacche erano utilizzate in passato anche per colorare i vini.  



Phytolacca americana flowers



Phytolacca americana berries

Come coltivare il Basilico (Ocimum basilicum)

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Pensate alla cucina italiana e mediterranea, qual è il primo piatto che vi viene in mente? 
A me la pasta con pomodoro e basilico, oppure una bella pizza margherita con 3 foglie di basilico. Infatti l'utilizzo di questa specie (Ocimum basilicum) è tipica della nostra cucina, così come di quella asiatica (Vietnamita, Laotiana, Cambogiana etc..).
Le foglie del basilico vengono utilizzate intere per aromatizzare le pietanze, oppure tritate e macinate insieme ad altri ingredienti per ottenere salse, sughi e spezie, come il famosissimo pesto genovese ormai diffuso in tutta Italia e nel Mondo. E' fondamentale ricordarsi che le foglie perdono l'aroma una volta cotte e devono quindi essere aggiunte solo dopo la cottura.



Origine, Generalità e Curiosità :


Ocimum basilicumè il nome scientifico della specie che noi tutti conosciamo col nome di "Basilico" e appartiene alla famiglia delle Lamiaceae; l'etimologia del nome deriva da "basilikon" che in greco significa "pianta regale", ciò denota l'importanza che veniva data al basilico fin dai tempi antichi.
Foglie di BasilicoQuesta erba aromatica è una pianta annuale a portamento erbaceo originaria dell'India e poi ampiamente diffusasi, già a partire dell'epoca dei Greci, nei climi temperati del bacino mediterraneo, tra cui l'Italia ed in particolare la Liguria.
Fin dai tempi dei romani il basilico fu sfruttato a scopo terapeutico e considerato in grado di guarire abrasioni e ferite, nonché usato, negli anni bui del Medioevo, come ingrediente principale per la produzione di decotti utilizzati come fossero pozioni magiche per i riti più disparati. Sebbene la specie Ocimum basilicum (chiamato Basilico dolce) sia quella maggiormente utilizzata, e quella di cui parlerò nelle prossime righe, è bene sapere che esistono altre specie di basilico tra cui:


  • Ocimum mimimum : specie di piccole dimensioni e dal portamento compatto, possiede foglie minuscole di circa 1 cm (0.4 in) dal sapore decisamente meno intenso. Viene coltivata prevalentemente come pianta ornamentale. 
  • Ocimum gratissimum : conosciuto come Basilico Africano, è una pianta perenne che può raggiungere un'altezza di 2-3 metri (6-9 ft) ed è originaria del Madagascar e dell'Asia meridionale ed è ora naturalizzato nel centro america e alle Hawaii. Da questa pianta si estrae un olio ricco nel composto chiamato eugenolo, che si pensa abbia proprietà antibatteriche e antivirali. 
  • Ocimum tenuiflorum : chiamato anche Basilico Santo, è una una specie che ha origine nel Nord dell'India e Nepal, può raggiungere un'altezza di 50 cm (20 in), può esser usato come erba medica ed è considerato un elisir di eterna giovinezza, inoltre ricopre un ruolo sacro per alcune religioni induiste. 



Botanica :


Il basilico è una pianta che può raggiungere un'altezza di 40-60 cm (16-24 in). Il fusto cresce eretto e ha una peculiare sezione quadrata (e non circolare); nella parte basale si può assistere ad una leggera lignificazione. Le foglie sono opposte, lisce, lucide e di consistenza tenera, esse hanno forma ovale con colore e dimensioni diverse a seconda della varietà, ma generalmente verde chiaro lunghe 3-4 cm (1.2-1.3 in). Le infiorescenze sono dei racemi molto allungati contenenti numerosi fiori, generalmente bianchi. La fioritura, in Italia, si protrae da Giugno fino a Settembre. Il fruttoè di colore scuro, formato da 4 acheni al cui interno sono presenti i semi.



Coltivazione, Esposizione e Clima :


Fiori di BasilicoIl basilico è una specie che ama il clima caldo, ma non torrido. La temperatura ideale per lo sviluppo è attorno ai 25° C (77° F), sotto i 10°C (50° F) la pianta smette di crescere e deperisce velocemente, mentre bastano poche ore mattutine con temperature di poco sotto gli 0° C (32° F) per uccidere interamente un pianta. L'esposizione ideale è in pieno sole ma, soprattutto in ambienti molto caldi ed aridi, preferisce un'esposizione a mezz'ombra in cui non prenda luce diretta nelle ore centrali della giornata. Le irrigazioni, specie se coltivato in pieno sole e con temperature superiori ai 30° C (85° F), devono essere abbondanti, evitando tuttavia il ristagno idrico. La pianta completa il proprio ciclo con la fioritura e la successione produzione di semi, questo riduce gli oli e con essi le qualità organolettiche delle foglie. Per prolungare il ciclo vitale del basilico è essenziale cimare le infiorescenze floreali, evitando così la produzione di frutti e semi ed inducendo la produzione delle preziose foglie. Il basilico si semina in primavera direttamente in campo (se le temperature sono miti) oppure in vasi e, quando le temperature saranno stabilmente sopra i 18-20 °C (65-68° F), si potranno travasare in piena terra; tuttavia il basilico è facilmente coltivabile anche in vaso.


Varietà di basilico :


Esistono decine di varietà di basilico dolce (Ocimum basilicum), tra cui:


  • Ocimum basilicum var. 'Crispum', (Basilico Comune) : In assoluto la varietà più diffusa e quella a cui siamo comunemente abituati. Possiede foglie grandi, dall'aroma e profumo intenso. 
  • Ocimum basilicum var. 'Anise' : Caratterizzata dall'avere foglie con un sentore di anice
  • Ocimum basilicum var. 'Minimum' (Basilico Greco) : Varietà a portamento compatto, con foglie piccole. Ben si presta ad esser coltivato in ambienti più freddi.
  • Ocimum basilicum var. 'Cinnamon' (Basilico Messicano): Varietà messicana, con caratteristici fiori rosa e foglie dal sapore speziato con sentori di cannella.
  • Ocimum basilicum var. 'Purple Ruffles' : Molto aromatico e dalle insolite foglie color rosso scuro o viola, utilizzato sia a scopo ornamentale che culinario (es. per fare il pesto rosso).
  • Ocimum basilicum var. 'Thyrsiflora' (Basilico thailandese) : Aroma molto intenso e speziato, unisce il sapore di liquirizia a quello di menta. Utilizzato localmente per la produzione di zuppe a base di pesce. 
  • Ocimum basilicum var. 'Napoletano' : Foglie grandi e saporite.
  • Ocimum basilicum var. 'Genovese' : Varietà comunemente usata per produrre il pesto genovese, foglie dall'aroma delicato e prive del retrogusto di menta.



Basil leaves


Ocimum basilicum


Cosa determina la resistenza al freddo e al gelo di una pianta?

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Una domanda che ogni aspirante giardiniere si è posto almeno una volta è : "Perché una pianta resiste al freddo e al gelo, mentre un'altra muore?". 
Perché un Larice può reggere temperature di -45° C (-45° F) senza subire il minimo danno, mentre piante strettamente tropicali come il Durian, il Mangostano, o la Palma da Cocco muoiono anche a temperature ben superiori agli 0° C (32° F) ?



Gelo e Brina su Magnolia


























Per comprendere i meccanismi che governano la resistenza al freddo di una pianta dobbiamo chiarire la differenza tra freddo e gelo.
Gli zero gradi centigradi (32° F) rappresentano una soglia ben delimitata, sopra di essa l'acqua è allo stato liquido, sotto di essa l'acqua è allo stato solido. Dato che le cellule vegetali sono composte per il 70% di acqua e dato che l'acqua, quando diventa ghiaccio, aumenta il proprio volume, è facile intuire che la formazione di ghiaccio intracellulare romperebbe le cellule, così come succederebbe con una bottiglia di vetro piena d'acqua messa nel freezer, tuttavia, come vedremo più avanti, il meccanismo che porta alla morte cellulare in condizioni di gelo non è esattamente questo e spesso può avvenire anche in assenza di formazione di ghiaccio all'interno della cellula.
(N.B. 70% di acqua è un valore medio, questa percentuale varia in funzione dei tessuti e delle specie)


Una prima distinzione possiamo dunque farla tra piante che resistono o meno al gelo, tuttavia anche tra le piante sensibili al gelo vi è una diversa tolleranza al freddo.
Le reazioni enzimatiche necessarie per la sopravvivenza di una pianta variano al variare della temperatura (più la temperatura è bassa e più sono lente). La soglia di temperatura entro cui una reazione biochimica è sufficientemente efficace varia da specie a specie, così, una pianta sensibile al gelo, ma resistente al freddo, può sopravvivere anche a lunghi periodi con temperature di 5° C (40° F), mentre un'altra deperisce.


Perché una pianta muore di freddo con temperature superiori a 0° C (32° F)?



Una pianta tropicale si è evoluta per vivere in un ambiente in cui le temperature sono superiori ai 20° C (68° F) per tutto l'anno. Se viene esposta per lunghi periodi a basse temperature, anche se superiori al punto di congelamento, la pianta non è più in grado di svolgere funzioni per lei vitali.
Supponiamo che ad esempio una certa pianta assorba un composto (Metabolita) e lo trasformi, tramite due reazioni enzimatiche, in un composto finale.


Metabolita 1(iniziale)------------------------->Metabolita 2-------------------------->Metabolita 3 (finale)


Supponiamo che la reazione 1 (quella che produce il Metabolita 2) avvenga efficientemente anche al freddo, mentre la reazione 2 (quella che produce il Metabolita 3) sia fortemente inibita.
In condizioni ottimali si instaura un equilibrio e il Metabolita 2 è subito convertito nel Metabolita finale. Al freddo la reazione 1 avviene, il Metabolita 2 viene prodotto, ma non può esser convertito nel Metabolita 3.
Se il Metabolita 2 fosse un composto tossico (tollerato solo in piccole quantità) oppure se il Metabolita 3 fosse essenziale, la pianta morirebbe, rispettivamente, per avvelenamento o per carenza di elementi.
Temperature basse inibiscono la fotosintesi e la crescita della pianta, ciò può causare marciumi radicali e/o scompensi metabolici (es. accumulo di metaboliti tossici) letali per la specie, inoltre il freddo altera le proprietà della membrana cellulare alterando così il trasporto delle varie molecole tra l'interno e l'esterno della cellula.



Brina e gelo su corbezzolo

























Perché le cellule di una pianta muoiono col gelo?


Le cellule di una pianta iniziano a morire quando il gelo è più intenso della soglia tollerata dalla specie. Le cellule muoiono per il gelo a causa della loro disidratazione, ma cosa vuol dire?

Quando la temperatura si abbassa sotto il punto di congelamento, l'acqua presente negli spazi intercellulari (fra le cellule, detti anche extracellulari) inizia a formare cristalli di ghiaccio, prima che l'acqua all'interno delle cellule possa gelare. Per un processo fisico, che non spiegherò qui, la formazione di ghiaccio intercellulare "richiama" acqua dalle cellule, questa acqua fuoriesce negli spazi intercellulari e diventerà a sua volta ghiaccio. La perdita di acqua intracellulare porta alla disidratazione cellulare che a sua volta può portare alla morte cellulare, ciò nonostante alcune specie sono in grado di sopravvivere al ghiaccio intercellulare. La formazione di ghiaccio intracellulare è un fenomeno più raro che avviene solo in cellule molto idratate (e quindi con pochi soluti) e che abbiano una parete piuttosto sottile; questo fenomeno, diversamente dalla formazione di ghiaccio intercellulare, è praticamente sempre letale.


Come fa una pianta proteggersi dal gelo?


Affinché una pianta possa sopravvivere al gelo è necessario mettere in atto dei meccanismi che impediscano la formazione di ghiaccio intracellulare e permettano alla pianta di tollerare il ghiaccio extracellulare (o intercellulare).
Per fare ciò le piante possono adottare diverse strategie, una delle più comuni è quella di aumentare la concentrazione di zuccheri e altri soluti all'interno della cellula. Questo, oltre a ridurre ulteriormente il punto di congelamento intracellulare, permette di incrementare la pressione osmotica cellulare controbilanciando così la forza che "richiama" acqua dalle cellule verso gli spazi extracellulari, prevenendo di fatto la disidratazione; insomma usano una tecnica non molto diversa rispetto alla aggiunta di additivi antigelo che utilizziamo per non far gelare l'acqua nel radiatore delle nostre macchine.

Altre piante, come ad esempio le Betulle, resistono al gelo semplicemente perché le loro cellule sono in grado di sopravvivere anche se fortemente disidratate. Questo tipo di piante, di solito, perde le foglie in inverno e "confina" l'acqua nei tessuti interni di rami e tronco.

Un ultimo fatto da menzionare è che l'acquisizione della resistenza al gelo invernale richiede tempo affinché si mettano in atto una serie di meccanismi di difesa contro il freddo (perdita foglie, concentrazione dei soluti etc..). Piante resistenti al gelo in inverno non è detto che lo siano anche in altre stagioni; se il gelo arriva troppo presto in autunno, e la pianta "non è ancora pronta", può causare la morte anche in piante ritenute resistenti al gelo.


Thuja orientale (Platycladus orientalis), un'ottima siepe sempreverde

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"Che cosa piantare per avere una bella siepe sempreverde?"

Se siete degli amanti delle Conifere, la Thuja (in italiano Tuia) potrebbe esser la risposta giusta.
La Tuia orientale (Platycladus orientalis) è probabilmente la specie più diffusa in Italia ma, secondo la classificazione di Linneo, non apparterrebbe al genere Thuja che annovera al suo interno solo 5 specie. Di fatto, oggigiorno, è accettato anche il nome scientifico Thuja orientalis.



Thuja orientalis


























 Le 6 specie sono

  • Thuja orientalis : formalmente Platycladus orientalis, di cui parleremo nelle prossime righe
  • Thuja occidentalis : proveniente dal Nord America ed ha diverse similitudini con la precedente
  • Thuja standishii : albero che può raggiungere i 30 m (100 ft), originario del Sud del Giappone
  • Thuja sutchuenensis : specie di origine Cinese, fu descritta per la prima volta nel 1899, ma poi non fu più trovata per molti anni, tanto che venne definita estinta. 100 più tardi furono trovati degli esemplari in una zona inaccessibile (motivo che l'ha preservata dall'abbattimento per produzione di legno) che è ora diventata area protetta
  • Thuja koraiensis : è una specie poco conosciuta, originaria del Nord-Est della Cina, si presenta come un piccolo albero di non oltre 10 m (33 ft)
  • Thuja plicata : detta anche Tuia Gigante, è più grande di tutte le precedenti ed è originaria della zona del Pacifico Nord Americano, dalla California fino alla parte più meridionale dell'Alaska. Questa specie raggiunge i 60 m (200 ft) e ben si adatta a climi oceanici con inverni nevosi, ma relativamente miti ed estati umide e non torride. 


Origine e diffusione


Thuja treesLe Tuie maggiormente coltivate e presenti in Italia, un po' come avviene per i Platani, vengono distinte in base alla regione d'origine dividendole così tra T. occidentalis e T. orientalis. Le due specie hanno molte caratteristiche e punti in comune, ma da qui in poi mi riferirò alla specie più diffusa nel nostro paese ovvero la seconda.
La Tuia Orientale è nativa della Korea e del nord-est della Cina ed appartiene alla famiglia del Cupressaceae, la stessa dei Cipressi e delle Sequoie. Introdotta intorno al 1700 in Italia ha visto una rapida espansione ed è ora naturalizzata in diverse regioni italiane, questo anche grazie alla sua adattabilità a diversi tipi di terreno e alla buona resistenza alla siccità. La Thuja orientalis ha una resistenza al freddo inferiore rispetto a molte altre conifere, tuttavia può crescere fino a zone USDA 6-7 quindi, in pianura, è coltivabile in tutta Italia.



Botanica :


Frutto Tuia maturoLa Platycladus orientalisè una conifera sempreverde che può raggiungere un'altezza di 15-20 m (49-65 ft) ma, data l'estrema lentezza di crescita, è facile trovare esemplari di dimensioni assai più contenute, spesso sotto i 10 m (33 ft). La chioma è folta, con una forma ovale e dal portamento relativamente compatto. Questo, oltre alla sua rusticità, le ha consentito di diventare un'ottima specie per creare siepi sempreverdi, infatti la Tuia è diffusa in molte zone d'Italia per delimitare terreni agricoli o giardini privati. Le foglie sono squamiformi, triangolari, rivolte verso l'alto e di color verde brillante . Queste contengono una ghiandola che produce resina e, se strofinate energicamente, emettono un odore caratteristico. I fiori sono piccoli e non particolarmente appariscenti. I frutti immaturi sono di color bluastro-verdognolo, mentre, a maturazione, virano a marrone per poi aprirsi liberando i preziosi semi.



Proprietà officinali :


La Thuja orientale, così come la Thuja occidentale, trova impiego nel campo erboristico e nell'omeopatia. Dalle foglie è possibile ricavare un olio essenziale dal quale si estrae una molecola chiamata α -thujone che possiede  proprietà terapeutiche. Essa è tossica e, se ingerita in grandi quantità, può portare alla morte, tuttavia un uso oculato è efficace nel debellare infezioni batteriche e fungine ed è usata contro bronchiti, reumatismi, psoriasi ed altre patologie.
L'efficacia di questo olio essenziale è controversa e quanto detto può essere preso solo ed esclusivamente a scopo informativo.



Foglie Tuia

























Frutti Tuia

Come piantare i bulbi di Anemone ?

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Il genere degli Anemoni comprende al suo interno oltre cento specie di Anemone, che differiscono per origine, rusticità, forma e dimensione del fiore. La prima domanda che ci si pone dopo averli acquistati è :

"Come devo interrare i Bulbi di Anemone?"

I bulbi (o meglio rizomi) di molte specie di anemoni hanno dimensione ridotta e sono fortemente disidratati, questo lo si nota anche dall'aspetto che sembra quasi "rinsecchito" e "rugoso".
Prima di piantarli, per consentire una perfetta idratazione, è conveniente lasciarli una notte in un bicchiere d'acqua a circa 20°-25° C (68-78° F).
Il giorno seguente sarà sufficiente zappare, scavare una leggera buca ed interrarli ad una profondità pari a circa il doppio del diametro del bulbo, per gli Anemoni, di solito, non oltre 8-10 cm (3-4 inch). Per finire sarà sufficiente coprire la buca con la terra e comprimere leggermente per eliminare eventuali sacche d'aria.

Fiore anemone coronaria

























Botanica e classificazione :


Anemone coronaria leavesTutte le specie di anemone appartengono alla famiglia delle Ranunculaceae, ma hanno origini diverse, dal Sud America, al Sudafrica sino all'Europa ed, in linea generale, sono presenti nellezone temperate del nostro pianeta. Sebbene siano spesso coltivate, alcune specie di anemone si sono naturalizzate in molte zone del mondo dove ora crescono, prosperano e si moltiplicano senza "l'aiuto dell'uomo".
Apertura fiore anemoneIl nome "Anemone" deriva dal Greco "ànemos" che significa "soffio, vento", col suffisso "-ōnē" e lo si può tradurre come "Figlia del Vento" ed è comunemente chiamato anche "Fiore del Vento". Gli Anemoni sono piante erbacee perenni con altezza che varia da pochi centimetri fino ad oltre 1m hanno foglie frastagliate, a portamento prostrato o eretto e, in qualche caso, brattee (foglie che accompagnano e proteggono il fiore). I fiori degli anemoni, se paragonati al bulbo, hanno dimensioni ragguardevoli e sono formati da sepali che, a seconda della specie e della varietà, possono essere di tutti i colori ma in prevalenza sono rossi, blu, viola, rosei, bianchi e gialli. I petali sono assenti nella maggior parte delle specie. Gli stami sono molto numerosi e particolarmente appariscenti, mentre l'ovario ha una classica disposizione a spirale. Alcune specie hanno fiori che si chiudono di notte, per poi riaprirsi con i primi raggi di sole mattutini. 


Alcune delle specie di Anemone :


  • Anemone coronaria : Originario del bacino mediterraneo, è probabilmente la specie di Anemone più commercializzata e coltivata, questo anche grazie alla sua resistenza al freddo e al bell'aspetto.
  • Anemone apennina : Molto diffuso nelle regioni del centro sud dove cresce spontaneo, il nome deriva dai monti Appennini, ma è presente e naturalizzato anche in molte altre zone europee.
  • Anemone narcissiflora : Presenta fiori bianchi dalla vaga somiglianza ai narcisi, diffusa nelle zone artiche di America e Eurasia, nonché sulle Alpi.
  • Anemone nemorosa : Tra le prime a fiorire, diffusa nelle stesse zone dell'A. narcissiflora, trova impiego in campo erboristico.
  • Anemone hupehensis : Questa specie si contraddistingue per l'epoca di fioritura, essa non avviene sul finir dell'inverno-inizio primavera come in molte altre specie, bensì dalla tarda estate all'autunno.
  • Anemone tuberosa : Chiamato anche Anemone del deserto, cresce sui pendii aridi e rocciosi compresi tra il Nevada e la parte settentrionale del Messico.


Esposizione, Clima e Terreno :



Anemoni coloratiLe differenze tra le specie di anemoni possono essere significative. Qui, per comodità, parlerò dell' Anemone coronaria, tuttavia il discorso può essere esteso anche ad altre (non tutte) specie.
Gli Anemoni sono piante che amano posizioni non particolarmente soleggiate; l'ideale è piantarli sotto alberi decidui i quali inizieranno a mettere foglie nel periodo di fioritura. Questo garantirà un'esposizione a mezz'ombra, in cui i raggi del sole filtreranno attraverso gli spazi lasciati liberi tra le nuove foglie ancora piccole e rade. Il clima ideale è quello temperato fresco e non arido, mentre rifugge dai climi torridi. Predilige le zone collinari o montuose dove la fioritura risulta prolungata. I bulbi dell'Anemome coronaria si prestano poco all'inselvatichimento, infatti, eccessive piogge e il conseguente terreno umido, inducono marciumi che limitano il futuro rigermogliamento. Per questo motivo è consigliabile rimuovere i bulbi e conservarli in ambiente secco, buio e fresco fino alla primavera successiva (questa operazione va fatta quando le foglie saranno seccate ed avranno fornito nutrienti per la stagione successiva). Questi fiori non richiedono un particolar tipo di terreno, anche se preferiscono un terreno fresco, sub-acido e ben drenante.


Curiosità :


Fiori e foglie di anemonePer la tradizione Cristiana, questa pianta, sarebbe cresciuta alla base della croce dalle gocce del sangue di Gesù Cristo. L'Anemone simboleggia la tristezza, ma anche la speranza.
Un'altra leggenda narra di Anemone, una bella ninfa corteggiata da due venti: Borea (freddo e proveniente da Nord) e Zefiro (mite e proveniente da Ponente). Lo scontro di questi due venti, per la conquista dell'amata, generò tempeste ed uragani fin quando la Dea Flora decise, con un incantesimo, di trasformare la ninfa in un fiore e di lasciarlo in balia dei due spasimanti. Il tiepido vento Zefiro l'avrebbe fatta schiudere, mentre il freddo vento Borea avrebbe disperso il suo polline e i suoi petali. La vita di Anemone sarebbe stata effimera e sofferta, infatti, ancor oggi, questo fiore simboleggia anche il senso di caducità della vita, un senso di cui ho ampiamente parlato qua.


Anemone apennina



Anemone coronaria rosso







Anemone coronaria blu


Cedro (Citrus medica), il progenitore di molti agrumi

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Il Cedro (Citrus medica), noto anche come Citro, è uno dei più antichi agrumi al mondo.
Lo si può considerare, assieme a Mandarino e Pomelo, il progenitore di tutti gli agrumi che oggi conosciamo ed utilizziamo in cucina. Ad esempio, il Limone (Citrus limon) deriva dall'incrocio del Cedro con il Pomelo.

Nelle prossime righe cercheremo di capire come coltivare il Cedro e quali sono le sue origini.


Frutto Cedro














Origine, diffusione e curiosità :


Il Cedro è una specie subtropicale, proviene infatti dalle valli Himalayane situate sul confine tra India settentrionale, Bhutan e Nepal dove, a tutt'oggi, è possibile trovare Cedri selvatici, che prosperano indisturbati nelle rigogliose zone boschive di queste regioni.
Il cedro, partendo dall'India ed attraversando tutta la Persia, giunse in Europa ben prima della venuta di Cristo. Vi sono infatti testimonianze della specie Citrus medica sin dai tempi degli antichi Greci e, successivamente, fu ampiamente diffuso nelle zone più miti dell'Impero Romano. 
Questo agrume fu classificato e citato nel trattato naturalistico "Naturalis historia", scritto da Plinio il Vecchio (23–79 d.C.), dove compare con il nome di "Mela Assira".
Il nome "Cedro" deriva dalla volgarizzazione della parola latina "Citrus", ma può essere tradotto anche con la parola "Cedrus", che dà il nome ad un noto genere di conifere, che annovera al suo interno anche il celeberrimo Cedro del Libano (Cedrus libani). Ovviamente questi due "cedri" hanno in comune solo il nome ed il fatto di essere piante.



Botanica e fisiologia :


Germoglio cedroFiori cedro dolceIl Cedro appartiene, come tutti gli agrumi, alla famiglia Rutacea.
Citrus medica si sviluppa sotto forma di piccolo albero o arbusto che, dopo molti anni, può occasionalmente arrivare ad un'altezza massima di 8 m (26 ft). Tuttavia, con le opportune potature, è possibile mantenerlo di dimensioni ben più contenute senza compromettere la fruttificazione. I rami presentano spine e crescono in maniera irregolare, dando alla pianta un aspetto "disordinato". Le foglie del cedro sono grosse e possono superare i 20 cm (8 inch) di lunghezza, hanno una forma ovale e da giovani sono rossicce, mentre da adulte hanno un bel colore verde intenso.
I boccioli floreali sono di color rosso-violaceo e, quando sbocciano, si presentano bianchi all'interno e, in alcune varietà, con sfumature violacee esterne. I fiori del cedro sono riuniti, alla sommità del ramo, in gruppi composti da 3-12 fiori, ma non è impossibile vederne anche di isolati. La fiorituraè pressoché continua dall'inizio della primavera sino all'autunno inoltrato ma, in zone particolarmente miti, può avvenire anche nei mesi invernali. I frutti del cedro sono a forma ovale, lunghi fino a 25 cm (10 inch), rugosi e con vistose protuberanze che, soprattutto in alcune varietà, conferiscono un aspetto quasi "deformato". La buccia, gialla a maturazione, è particolarmente spessa, mentre la polpa interna è piuttosto asciutta ed acida, con numerosi semi simili a quelli del Limone. Esistono numerose cultivars di cedro, che si possono dividere in acide e dolci, anche se quest'ultima è da intendersi come "meno acidi" più che realmente dolci. I cedri dolci (es. Cedro della Corsica), si differenziano dai cedri acidi (es. Cedro Diamante) anche per aver fiori bianchi (e non violacei) e nuovi germogli verde chiaro (non rossicci). Alcune varietà sono praticamente prive di polpa e vengono coltivate a scopo ornamentale, tra queste merita una menzione particolare la varietà denominata Cedro Mano di Buddha (Cedro digitato), caratterizzata dall'avere un frutto che si divide in molti parti allungate che sembrano delle grosse dita.  



Coltivazione, clima e cure :


Fruit citrus medicaIl Cedro (Citrus medica), essendo una specie subtropicale, ha una scarsa resistenza al freddo, minore rispetto a quella di molti altri agrumi. Il clima ideale per la coltivazione del cedro è quello mediterraneo caldo, sebbene possa tollerare effimere gelate nell'ordine di -4/-5 ° C (25-23° F), sarebbe meglio coltivarlo in zone esenti da gelo e con temperature diurne superiori ai 10° C (50° F). Il cedro, se l'inverno è particolarmente rigido, può perdere le foglie ma, se le temperature sono state subletali, la pianta rigermoglierà in primavera. L'esposizione ideale è in pieno sole ma, specie in zone torride, si avvantaggia della mezz'ombra, inoltre non ama le temperature troppo elevate (superiori ai 32° C, 90° F), in particolar modo se unite alla siccità.
Citrus medica è una specie generalmente autofertile che, per fruttificare al meglio, predilige terreni sciolti, fertili, ricchi di sostanza organica, leggermente acidi o neutri, non compatti e, in zone molto aride, irrigui. La potatura del Cedro deve essere effettuata in maniera costante, diradando i rami che si intrecciano, infatti, l'elevata vigoria di questo agrume, renderebbe la sua chioma folta ed i rami si ombreggerebbero l'un l'altro, rendendo la pianta meno produttiva.


Frutto immaturo cedroIn Italia il Cedro è coltivato in Sicilia e Calabria e, in una ristretta zona dell'alto cosentino, si concentra la maggior produzione di cedri a livello europeo. In questa fascia sul mar Tirreno, il Citrus medica ha trovato un habitat ideale per il proprio sviluppo, tanto da render nota questa fascia di Calabria con il nome "Riviera dei Cedri".
Il Cedro, come del resto molti altri agrumi, riesce a svilupparsi discretamente bene anche in vaso, dunque, per chi vivesse in zone impervie, è possibile coltivare il cedro in vaso, ponendolo in un posto riparato durante la stagione invernale. L'ideale sarebbe un luogo luminoso e fresco, con temperature sotto i 20°C (68° F), bisogna infatti sapere che, entro certi limiti, la richiesta di luce è proporzionale alla temperatura.



"Per cosa si utilizza il cedro?" :


Oltre all'aspetto ornamentale di molte varietà, il Cedro (Citrus medica) trova impiego in cucina, nel campo erboristico ed officinale. Il frutto è infatti ricco di sali minerali, di Vitamina C e di particolari composti aromatici denominati Flavonoidi, noti per le loro caratteristiche antiossidanti.
Il ruolo principale in cucina è dato dalla spessa buccia, questa è particolarmente utilizzata nell'industria dolciaria per preparare canditi, mentre dalla polpa si producono bibite, come la famosa Cedrata. Inoltre, dalla buccia del cedro, si può ricavare un olio essenziale molto utilizzato in cosmesi per combattere la cellulite.


Cedro Mani di Buddha



Citrus medica flowers
Frutti immaturi citrus medica

Come funziona la datazione al carbonio?

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Giusto qua avevamo visto che, per stabilire la data di antichi semi, si usava una tecnica chiamata : "datazione al radiocarbonio", detta anche "metodo del carbonio-14".


"Ma come è possibile ricavare l'età di un fossile tramite l'utilizzo del Carbonio-14 ?"








Premessa :


  • Dobbiamo sapere che il carbonio è l'elemento principale di tutti gli essere viventi, non a caso la chimica organica è talvolta denominata anche chimica del carbonio. Quindi le cellule di tutti gli organismi, che siano batteri, alghe, piante, lucertole o uomini, sono costituite da Carbonio unito ad altri elementi, tra cui i principali sono: Azoto, Ossigeno, Idrogeno e Zolfo. 
  • Tutti gli atomi di Carbonio hanno 6 protoni (e 6 elettroni), ma possono avere un numero diverso di neutroni. Gli atomi con lo stesso numero di protoni, ma numero diverso di neutroni si chiamano Isotopi. Gli isotopi, avendo un numero diverso di neutroni, avranno pesi diversi. Quindi il carbonio-12 sarà più leggero del carbonio-14.
  • In natura l'isotopo del carbonio più comune (circa 99%) è il Carbonio-12 (12C), questo è costituito da 6 protoni, 6 elettroni e 6 neutroni, tuttavia esistono anche altri isotopi, tra cui quello del Carbonio-14 (14C) che ha 6 protoni, 6 elettroni e 8 neutroni.
  • Il Carbonio-14, presente in natura in piccolissime quantità (1 ogni mille miliardi di atomi di carbonio), è un isotopo radioattivo, ovvero si trasforma in Azoto (N) con un tempo di dimezzamento di 5700 anni. Se abbiamo 100 atomi di 14C, dopo 5700 anni avremo 50 atomi di 14C e 50 atomi di N.


Riassumendo possiamo dire che in natura esiste una minima parte di carbonio (14C) che pesa di più e, diversamente dal 12C, decade (si trasforma in un altro atomo, azoto), dimezzando la propria quantità ogni 5700 anni.


Questa tecnica ci permette di datare materiali organici di età compresa tra poche centinaia di anni a diverse decine di migliaia di anni (fino 60.000 anni). 



"Ma come funziona la datazione al Carbonio?"



Sebbene il Carbonio-14 decada ad Azoto, la sua concentrazione nell'atmosfera è mantenuta costante, questo perché, nell'alta troposfera e nella stratosfera, tramite un complesso meccanismo fisico, l'azoto è riconvertito a Carbonio-14. Quindi si instaura un equilibrio tra 14C decaduto ad Azoto e Azoto riconvertito in 14C.


Tutti gli essere viventi, fin tanto che sono tali, scambiano in continuazione Carbonio con l'atmosfera.


Quindi le nostre cellule saranno formate prevalentemente da 12C ed in minima parte da 14C, in maniera proporzionale all'abbondanza nell'atmosfera di questi due isotopi.


Quando un organismo muore, esso cessa di scambiare Carbonio con l'atmosfera. Il Carbonio-12 non è radioattivo, quindi non decade e rimane inalterato, il Carbonio-14 invece decade ad Azoto.
Dopo 5700 anni dalla morte ci sarà la stessa quantità di 12C, ma solo metà di 14C (metà si è trasformata in Azoto), dopo altri 5700 anni avremo sempre  la stessa quantità di 12C, ma metà della metà di 14C.


Tramite la spettrometria di massa si può scoprire quanto 14C c'è rispetto al 12C. 
Sapendo la % dei due isotopi nell'atmosfera (e quindi negli esseri viventi) e sapendo il tempo di decadimento del carbonio-14, si può facilmente calcolare l'età della morte dell'organismo in questione.


Per ipotesi se nell'atmosfera ci fosse il 99% di 12C e l'1% di 14C (nella realtà è molto meno dell'1%, uso questo valore per rendere numericamente più intuibile l'esempio) un essere vivente avrebbe le stesse % dei due isotopi nel corpo.
Se ritroviamo un antico fossile e, dall'analisi spettrometrica, verifichiamo che nei suoi resti vi è solo lo 0,5% di 14C, vorrà dire che si è dimezzata la sua percentuale, da qui si risale al fatto che l'organismo in questione ha smesso di scambiare carbonio con l'atmosfera (è morto) 5700 anni fa.  

La Betulla Bianca (Betula pendula): distribuzione e caratteristiche.

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Tutte le Betulle appartengono al genere Betula, della famiglia Betulaceae. Questo genere annovera al suo interno numerose specie; la Betulla Bianca (Betula pendula), chiamata anche Betulla Verrucosa, è probabilmente la specie più diffusa nelle zone temperate dell'emisfero boreale, nonché quella più comune ad uso ornamentale e quella di cui parlerò da qui in poi.

Pianta adulta di Betula pendula







Origine, diffusione e caratteristiche generali :

La Betulla è tra le specie decidue più resistenti al gelo, questo grazie al fatto che i suoi tessuti rimangono vitali anche se fortemente disidratati, per approfondire i meccanismi di resistenza al gelo cliccate qua
Questa caratteristica ha fatto si che le Betulle colonizzassero vaste zone Boreali della Siberia al confine con la Tundra dove, di norma, solo le conifere più resistenti riescono a prosperare ed a superare gli "Inverni da Record".
In Italia la Betulla Bianca è diffusa e naturalizzata in tutti i boschi alpini ed in buona parte dell'Appennino. Grazie alla sua resistenza riesce a spingersi molto in alto, fino ad oltre 2.000 m (6.500 ft), ma non disdegna neppure le zone collinari o addirittura pianeggianti.
La Betulla è considerata una specie pioniera, ovvero tra le prime ad insediarsi su terreni di nuova formazione creatisi dopo una frana, una colata lavica o un incendio.



Botanica e Fisiologia :


Foglie Betulla
Amenti maschili BetullaLa Betulla Bianca (Betula pendula) è una specie poco longeva che, anche negli ambienti più adatti, fatica a superare gli 80-90 anni di età. Tuttavia, diversamente da alcune specie che possono diventare plurisecolari,  le betulle hanno una crescita esplosiva sin dai primi anni di vita e possono raggiungere un'altezza di oltre 30 m (98 ft) in pochi lustri. Il portamento della Betulla Bianca è elegante, slanciato e snello; la chioma è poco espansa e difficilmente supera i 6 m (20 ft) di larghezza. Le foglie sono caduche, di piccole dimensioni, dai margini seghettati ed hanno un color verde inteso in estate e dorato in autunno. La Betulla è una pianta monoica e possiede fiori unisessuali (amenti maschili e femminili). La fioritura avviene in primavera, tra marzo e maggio, sebbene gli amenti immaturi possano esser osservati anche in altri periodi dell'anno.
Il tronco della Betulla Bianca (Betula pendula) è forse la parte più caratteristica dell'intera pianta, infatti, come suggerisce il nome, è ricoperto da una bella corteccia di colore bianco, liscia come il velluto. Questa corteccia è ricca di un olio resinoso assai infiammabile, essa è infatti utilizzata per accendere fuochi o anche per creare delle torce, dato che la corteccia della betulla brucia a lungo. I frutti sono degli acheni contenuti in coni che, a maturazione, si disgregano disperdendo i semi nell'ambiente.



Coltivazione, Esposizione, Clima e Cure :


Tronco Betulla BiancaLa Betulla è, come detto precedentemente, una pianta da climi freddi, inoltre la specie è igrofila, ovvero gradisce terreni perennemente umidi, come quelli che si possono trovare in zone montuose con vegetazione fitta, in cui i raggi del sole faticano ad arrivare al suolo. Tuttavia questa "preferenza" non impedisce loro di colonizzare anche aree più secche e calde. Data la chioma poco espansa è possibile piantare diverse betulle in uno spazio relativamente ristretto, ad esempio disporne tre ruotate di 120° l'una dall'altra e distanziate di 1 m (3,3 ft). Quest'abbinamento creerà una sorta di effetto "boschetto di betulle" rendendo particolarmente ornamentale un angolo di giardino. Le betulle amano posizioni soleggiate e, data la notevole altezza, le loro chiome non hanno grosse difficoltà ad intercettare i raggi solari, anche nei boschi più fitti.
La Betula pendulaè una specie molto adattabile in quanto a terreno, si accontenta di terreni poveri, preferibilmente acidi ed umidi, ma non disdegna quelli ricchi di humus tipici dei sottoboschi di piante decidue.
La Betulla è una pianta facile da coltivare e rustica, non necessita particolari cure ed i rari attacchi parassitari (ad esempio gli Afidi) difficilmente recano danni importanti alla pianta.

Prima di piantare una betulla nel vostro giardino tenete conto dei suoi "pregi e/o difetti": l'altezza non indifferente e la bassa longevità (l'età citata ad inizio articolo è un'età media, in condizioni non ottimali può morire "di vecchiaia" anche a meno di 50 anni).



Usi ed utilizzi :


Il legno di Betulla è molto utilizzato, soprattutto nei paesi del Nord Europa. Con esso si ricavano ottimi compensati, ma è utilizzato anche per la realizzazione di Parquet di tonalità chiare, giocattoli in legno, oggetti torniti; inoltre è apprezzato anche come legno da ardere, in quanto brucia bene e sporca poco.
La corteggia della Betulla, grazie alle sua azione disinfettante, era utilizzata, in tempi antichi, per il bendaggio di ustioni e ferite.
In fine è comunemente usata come pianta ornamentale, sebbene i prezzi siano spesso piuttosto alti.


Betula pendula bark

Frutto Betulla Bianca

Rami Betula pendula




Pacciamatura, a che cosa serve?

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"Che cos'è la pacciamatura? Qual è il suo scopo? Aiuta a proteggere le nostre piante dal gelo e dalla siccità?"

Con il termine "pacciamatura" si intende la copertura del terreno con materiale organico di varia natura ed è una tecnica molto utilizzata dagli agricoltori e anche dai semplici amanti del giardinaggio. 
"Ma perché è così importante "pacciamare" il nostro orto e le nostre piante?"


Pacciamatura con corteccePer rispondere a questa domanda dobbiamo considerare che le radici sono il cuore delle piante, esse, di fatto, forniscono i nutrienti indispensabili per lo sviluppo della pianta. Quando le radici muoiono, l'intera pianta muore, infatti, anche se la parte aerea (la chioma) fosse viva, essa morirebbe da lì a poco per mancanza di nutrimento. 
Il viceversa non è vero, in realtà capita che, dopo estese gelate, la parte aerea di una pianta sia morta, ma le radici, sopravvivendo, riescono ad emettere nuovi rami (Polloni) che diverranno i nuovi tronchi, da cui dipartiranno nuovi rami, che andranno a riformare la nuova chioma. Quindi le radici giocano un ruolo fondamentale nel determinare la resistenza al freddo di una pianta.
Questa capacità di "emettere polloni"è più o meno pronunciata a seconda della specie.


Questa premessa ci fa capire quanto la protezione delle radici sia di fondamentale importanza per la salute delle piante.


La pacciamaturaè una copertura del terreno fatta con cortecce, foglie, fieno o aghi di pino; questa "coperta" svolge un ruolo di protezione nei confronti della radici; infatti, funziona da isolante tra l'aria e la terra, mantenendo la temperatura del terreno più uniforme.


"La pacciamatura protegge le piante dal freddo e dal gelo?"

Ovviamente sì, le radici, soprattutto delle piante sempreverdi, rimangono attive anche quando la chioma ha smesso di vegetare e non vi è più l'emissione di nuove foglie.
Il terreno, a differenza dell'aria, è meno soggetto ad escursioni termiche giornaliere e, ad una certa profondità, queste sono quasi nulle. Ciò non vuol dire che il terreno, almeno nel primo metro di profondità (che è quello in cui vi è la maggior parte delle radici), sia sempre alla stessa temperatura. In Inverno, con l'accorciarsi delle giornate e con la diminuzione della radiazione solare, il terreno si raffredda sempre più ed, in molte zone, può ghiacciare.
Dato che il terreno ha minime escursioni termiche, non basterà una tiepida giornata di sole invernale per scongelarlo come se fosse brina sul tettuccio di una macchina, quindi il terreno può rimanere gelato anche per mesi.
Oltre alla temperatura, il ghiaccio rappresenta uno stato fisico completamente diverso dall'acqua, le radici in un terreno gelato hanno ridotta capacità assorbente e questo può arrecare gravi danni alla chioma sovrastante.
A parità di temperatura esterna, una pianta sempreverde come potrebbe essere un Olivo, resiste molto meglio al gelo se ha radici "tenute al caldo" sotto una buona pacciamatura rispetto a radici in un terreno ghiacciato.


"La pacciamatura protegge le piante dalla siccità?"

Pacciamatura con foglieIn estate la pacciamatura è importante nell'impedire l'evaporazione d'acqua dal terreno che, conseguentemente, rimane più umido. Questo ha un'enorme importanza per la sopravvivenza delle piante in ambienti siccitosi come spesso lo sono gli ambienti con clima mediterraneo e diminuisce drasticamente le innaffiature necessarie.
Spessi strati di pacciamatura possono anche apportare acqua al terreno sottostante, infatti sono in grado di "assorbire" la poca acqua che, di notte, si nebulizza sotto forma di rugiada, per poi cederla gradualmente; una sorta di irrigazione a goccia"naturale".


Inoltre la pacciamatura è utile per prevenire l'erosione del terreno ed impedire la crescita di erbe infestanti. Lo strato di pacciamatura "soffoca" le nuove erbe e piante infestanti, questo lascia un terreno libero alla base della pianta. Le radici della pianta in questione non saranno dunque in competizione con altre specie e potranno ricavare il massimo dei nutrienti dal terreno alla loro base.


"Come fare la pacciamatura?"

Personalmente faccio un primo strato con cortecce (si trovano facilmente in tutti i Garden Centers) alto circa 20 cm (8 inch), la larghezza è funzione della grandezza della pianta, solitamente lo strato di pacciamatura ha un'estensioni pari all'ampiezza della chioma. Successivamente deposito un secondo strato di foglie secche creando un ulteriore spessore di almeno 10 cm (4 inch).
Una cosa molto importante è lasciare un leggero spazio tra il tronco e la pacciamatura, infatti quest'ultima impedisce il passaggio d'aria, favorendo la formazione di muffe che, se a contatto col legno, potrebbero essere dannose.

La pacciamatura è un modo per copiare ciò che normalmente accade nel sottobosco. Qui, quando le piante si spogliano in inverno, si crea un folto strato di foglie secche che riparano le radici dal gelo invernale, così come dalla siccità estiva. Inoltre, marcendo, apportano al terreno il materiale organico "rubato" dalle radici delle piante, rendendo l'area fertile e ricca di humus.

Ancora una volta l'uomo fà sua una tecnica che in Natura esiste da milioni di anni.



Come coltivare il Ciliegio (Prunus avium)

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Chi non conosce il famoso detto "una ciliegia tira l'altra" ? Chi non ne ha mai mangiata una?

Eppure forse non tutti sanno dove cresce l'albero delle ciliege? Che pianta è il ciliegio (Prunus avium)? Qual è il suo habitat di crescita? Dove è possibile coltivare un ciliegio?



Ciliege



Le ciliege che tutti consumiamo "una dopo l'altra" sono chiamate ciliege dolci e vengono prodotte dal Ciliegio Dolce (Prunus avium). Ad uso alimentare esistono anche le ciliege acide (amarene), che vengono usate  prevalentemente in campo dolciario e sono prodotte da un'altra specie (Prunus cerasus), di cui non parleremo in questo articolo. 
Esistono, inoltre, i ciliegi ornamentali (Prunus serrulata), noti anche con il nome Sakura, e diffusi in Giappone dove, grazie alla copiosa fioritura primaverile, sono divenuti uno dei simboli della nazione. 


Origine e diffusione :

Il Ciliegio Dolce (Prunus avium), che da ora in poi chiamerò semplicemente ciliegio, appartiene alla famiglia delle Rosaceae, la stessa di molti alberi da frutto delle zone temperate, come ad esempio l'albicocco. Il Ciliegio proviene dal Medio Oriente, ma si è diffuso in tutta Europa già in epoche antiche ed è tutt'ora presente allo stato selvatico ai margini dei boschi decidui d'Italia e di altri paese europei. Oggigiorno, il Prunus avium, è ampiamente coltivato in tutte le zone temperate del mondo grazie ai suoi gustosi frutti che, oltre ad essere tra i primi della stagione, sono squisiti e venduti a prezzi piuttosto elevati.



Botanica e Fisiologia : 

Il Ciliegio è una pianta decidua che, se lasciata crescere liberamente, può superare i 20 m (65 ft) di altezza. La corteccia del Prunus aviumè molto caratteristica e possiede lenticelle orizzontali molto pronunciate. I giovani rami sono di color porpora, mentre da adulti tendono al grigio. Le gemme del ciliegio si differenziano in gemme a legno (dalla forma allungata) e gemme a fiore (più grosse e dalla forma più tondeggiante); queste ultime sono spesso raggruppate in particolari strutture denominate "mazzetti di maggio".



Tronco ciliegio


Gemme ciliegio


Gemme prunus avium



Verso metà marzo, non appena i tepori primaverili iniziano ad essere più frequenti, le gemme si schiudono. In questa fase i due tipi di gemme sono particolarmente riconoscibili.



Gemme ciliegio rigonfie



E poi, verso fine marzo, inizia la fioritura, che si protrae per due settimane e,  in alcune Cultivars, anche di più. I fiori del ciliegio, che sbocciano da ogni gemma a fiore, sono riuniti in corimbi che ne contengono un numero variabile tra 2 e 6. Questi fiori sono bianchi, con cinque petali (come tipico delle Rosaceae), ricadenti ed attaccati al legno tramite un peduncolo della lunghezza media di 4 cm (1,6 inch). I fiori del Prunus avium sono ermafroditi e, generalmente, autosterili. L'impollinazione è operata da insetti pronubi, in primis dalle Api. Alcune varietà, come ad esempio il Ciliegio Sunburst o Lapins, sono autofertili e, quindi, non hanno bisogno di altri ciliegi nei paraggi per produrre ciliege.



Boccioli fiorali ciliegio


Boccioli prunus avium


Cherry sprouts


Fiori di Ciliegio


Fiori prunus avium



Non appena i petali iniziano a cadere i frutti si ingrossano molto velocemente e, dopo solo un mese, hanno raggiunto quasi la dimensione delle Ciliege mature. La fioritura del ciliegio è contemporanea all'emissione delle nuove foglie; quest'ultime sono alternate, a forma ovale, di dimensione medio-grande, hanno margini "seghettati" e sono unite al legno tramite un picciolo che presenta delle caratteristiche, e distintive, ghiandole rosse.



Foglie ciliegio



Il frutto si accresce velocemente e raggiunge maturazione da metà a Maggio a inizio Luglio a seconda della varietà e del clima, impiegando in tutto circa 2 mesi. Le ultime ciliege che si trovano sul mercato provengono da cultivars tardive coltivate in montagna (intorno agli 800 m di altezza). Le ciliege sono delle drupe (il Prunus avium appartiene alla sottofamiglia delle Drupacee) del diametro medio di 2 cm (0,8 in) e contengono un unico seme centrale. I frutti di questa specie si possono distinguere in due sottocategorie:

  • Duroni : Frutti di dimensioni maggiori, polpa soda e colore rosso molto scuro, che tende al nero.
  • Tenerine : Ciliege dalla polpa tenera e, generalmente, di colore rosso veneziano o più chiaro.

Sebbene la maggior parte delle ciliege abbiano colore che varia dal rosso chiaro al rosso "quasi nero", bisogna sapere che esistono anche cultivars che producono ciliege dall'insolito colore giallo.





Allegagione ciliege


Ciliege immature


Invaiatura ciliege


Prunus avium fruits


Ciliege mature


Prunus avium berries



Coltivazione, esposizione e cure : 

Il ciliegio (Prunus avium) è una specie che cresce bene in climi temperati e freddi, non ha problemi a superare anche gli inverni più rigidi ed, anzi, ha un elevato fabbisogno di freddo. Inoltre raramente è danneggiato dalle gelate primaverili.
Il ciliegio ama una posizione soleggiata ma, per essere una pianta da frutto, è piuttosto tollerante ad un certo grado di ombreggiatura. Le radici sono piuttosto espanse, tuttavia il Prunus aviumnon ama particolarmente i terreni troppo secchi e siccitosi. Questo fatto, unito all'elevato fabbisogno di freddo invernale, rendono il ciliegio una pianta più adatta al clima del Nord Italia, rispetto a quello del Sud Italia.

Questa specie si sviluppa in maniera particolarmente ordinata anche in assenza di potature. La potatura del ciliegio deve essere fatta in maniera costante, ma non eccessiva, in quanto i grossi rami mal sopportano le potature. Per mantenere i ciliegi entro dimensioni contenute, e non dovere usare alte scale per la raccolta, è consigliabile eseguire la potatura ogni anno, solo sui rami di 1 o 2 anni, eliminando i rami che si incrociano e quelli che puntano troppo in alto. Ricordate che la potatura migliore è "quella che non si vede", se lasciate crescere liberamente un ciliegio per 8 anni e poi volete abbassarlo con un un'unica potatura, dovrete farla drastica con conseguente denaturazione della chioma e sofferenza da parte della pianta.

Il Ciliegio è soggetto ad attacchi di Moniliache, in fase di fioritura o di maturazione frutti, può arrecare ingenti perdite di produzione. La Monilia è favorita da ambienti umidi e da frequenti piogge, queste sono infatti molto dannose nei periodi sopraindicati.
Meno gravi sono gli attacchi da parte del Corineo che, con attacchi lievi, comporta solo un'anticipata caduta delle foglie. Non è raro vedere Ciliegi, attaccati da questo patogeno, perdere le foglie già a fine Agosto o inizio Settembre.


Varietà : 

Le cultivars di Ciliegio, selezionate nel corso degli anni, sono moltissime, qui di seguito citerò le più diffuse o quelle con caratteristiche atipiche:


  • Ciliegio "Lapins" : Autofertile, portamento assurgente, ciliege grosse, costanza di produzione.
  • Ciliegio "Bigarreau Burlat" : Autosterile, lenta messa a frutto, vigoria elevata, maturazione precoce.
  • Ciliegio "Napoleon" : Autosterile, elevata produzione, frutto grosso di color rosso chiaro e giallo. 
  • Ciliegio "Durone di Vignola I, II, III" :  In realtà esistono 3 cultivars (I, II e III) che differiscono per l'epoca di maturazione, tutte e tre producono ciliege rosso scuro-nere, gustose.
  • Ciliegio "Sunburst" : Autofertile, fioritura prolungata (perciò ottimo impollinatore), frutto grosso, maturazione uniforme.
  • Ciliegio "New Star" : Autofertile, precoce messa a frutto, chioma espansa, vigoria scarsa, frutto rosso brillante.
  • Ciliegio "Limona" : Varietà nota per il colore dei frutti, che sono gialli chiaro.
  • Ciliegio "Imperiale di Caserta" : Anche questa fa frutti gialli, il colore è più intenso rispetto alla precedente.
  • Ciliegio "Kordia" : Autosterile, produzione non abbondante, epoca di maturazione medio-tardiva, messa a frutto precoce.

Molte varietà sono innestabili su un portainnesto nanizzante(es. Gisela) che ha la caratteristica di diminuire la vigoria del ciliegio sovrainnestato e, conseguentemente,  rende possibile sesti di impianto con densità superiore.



Dove cresce il frutto dell'Ananas (Ananas comosus) ?

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Se pensiamo ad un frutto tropicale, l'Ananas (o Ananasso) è, assieme a Banana e Cocco, uno dei più famosi e consumati nei paesi occidentali.
Ma da dove proviene l'Ananas? Qual è la pianta dell'Ananas? che clima ha bisogno per essere coltivata?

L'Ananas che tutti conosciamo è il frutto della specie Ananas comosus o (A. sativus), della famiglia delle Bromeliaceae. Tuttavia, il genere Ananas, comprende altre sei specie dal basso valore commerciale ed usate prevalentemente ad uso ornamentale, come ad esempio Ananas bracteatus, dal caratteristico frutto di color rosso


Frutto di Ananas comosus



Origine e diffusione :


Tutte le specie del genere Ananas sono originarie della zona tropicale compresa tra il Centro america e il Sud America
Ananas comosus, la specie commestibile e dal maggior valore commerciale, proviene dal Sud America e si pensa sia nativa delle aree limitrofe al fiume "Paraguay" a confine tra Brasile e Paraguay.
La specie fu diffusa, da queste aree, verso il resto dell'america latina già in tempi remoti, vi sono infatti testimonianze del frutto dell'Ananas già nelle antiche civiltà Maya ed Azteche
Oggigiorno, l'Ananas, è diffuso un po' in tutte le zone tropicali del mondo e, grazie alla buona conservabilità del frutto, può essere esportato laddove il clima non ne permetta la coltivazione.


Botanica e fisiologia :


L'Ananas (Ananas comosus) è una pianta erbacea che può raggiungere un'altezza compresa tra 1 e 1,5 metri (3,3-4,9 ft). Le foglie sono lunghe e strette, appuntite e dai margini seghettati, possono esser lunghe fino ad 1 m (3,3 ft) e sono disposte, alla base della pianta, in maniera circolare, formando una rosetta fitta che può superare il metro e mezzo di diametro (5 ft).
Inoltre un ciuffo di foglie, sebbene più corte e dalla forma più tozza, è presente anche alla sommità del frutto. Le infiorescenze  dell'Ananas sono composte da numerosi fiori di colore blu, solitamente, autosterili. L'impollinazioneè un evento raro, effettuato da insetti pronubi, ma anche da Colibrì;  tuttavia, anche in assenza di fecondazione , ogni fiore si sviluppa in frutto (partenocarpia).
Nella realtà, l'Ananas, è formato da moltissimi frutti saldati tra di loro che, insieme alla spiga, vanno a formare l'infruttescenza carnosa che tutti conosciamo.
La presenza di semi, data la bassissima percentuale di frutti impollinati, è davvero esigua; per questo motivo la riproduzione, almeno a scopo commerciale, è quasi esclusivamente asessuata (ad es. facendo radicare i getti alla base della pianta o la corona del frutto).


Impianto di Ananas comosus






Coltivazione, clima e terreno :

L'Ananas (Ananas comosus), come accennato in precedenza, è una pianta tropicale; tuttavia, pur preferendo un clima costantemente caldo lungo tutto l'anno, può essere coltivata anche in zone subtropicali e resistere ad effimeri abbassamenti di temperatura fino a 0° C (32°F).
Il range ottimale di crescitaè compreso tra 18° e 32°C (65-90° F), mentre lunghi periodi con temperature costantemente sotto i 10° C (50° F) causano l'arresto vegetativo, un ritardo nella produzione e frutti dal sapore notevolmente più acido.
L'Ananas si sviluppa senza una grande richiesta di acqua, sono infatti sufficienti 50 mm (2 in) di acqua al mese, per un normale sviluppo.
In ambienti non strettamente tropicali, o con frequenti coperture nuvolose, l'esposizione soleggiataè consigliata, mentre in zone tropicali aride e assolateè preferibile una esposizione a mezz'ombra.
In alcune zone del mondo, l'Ananas viene coltivata in consociazione con le Palme da Cocco oPapaie; queste, filtrando parzialmente i raggi solari, creano sotto di loro un ambiente ideale per lo sviluppo dell'Ananas.
Questa specie può essere coltivata anche in zone miti non tropicali ma, sebbene si possa sviluppare, difficilmente riesce a fruttificare e, nei rari casi in cui ci riesca, la qualità dei frutti è inferiore.
L'Ananas gradisce un terreno acido (pH 5-6) e ben drenante. Rispetto a molte altre piante da frutto tollera anche terreni poveri, dove però diminuisce la produzione. Sono da evitare i terreni pesanti e compatti, infatti, l'asfissia radicale (mancanza di ossigeno nel terreno), favorisce gli attacchi dei patogeni presenti nel terreno.


Varietà e tecniche di coltivazione :

Vi sono innumerevoli varietà della specie Ananas comosus, che differiscono per la presenza più o meno accentuata di spine sulle foglie, per la dimensione e forma del frutto, così come per il sapore (più o meno dolce). Le varietà di Ananas del gruppo Cayenne sono le più diffuse e coltivate, presentano un frutto mediamente dolce e dal colore giallo chiaro, sono particolarmente adatte per essere inscatolate. La varietà Queen produce un frutto molto dolce, colore giallo intenso e sono ottime per il consumo fresco, mentre Spanish ha frutti dal gusto più acidulo che, essendo ricchi di fibre, sopportano bene il trasporto.
La densità di impianto può essere elevata (circa 60.000 piante per ettaro), ma si può ridurre per ottenere frutti di maggiori dimensioni.
Dopo l'impianto, si ha una prima fase vegetativa (12-15 mesi), a cui segue la fioritura e la formazione del frutto (circa 4 mesi).  Dall'impianto al frutto maturo, passano mediamente 18 mesi, anche se, in condizioni climatiche perfette, possono ridursi.
E' difficile stabilire a priori quando un Ananas sia maturo, ma è fondamentale raccoglierlo solo a maturazione avvenuta in quanto, una volta raccolto, la produzione di zuccheri è fortemente inibita.
Il frutto dell'Ananas matura partendo dalla parte basale e, a maturazione, se colpito, produce un suono sordo.


Campo Ananas Polinesia

Ananas field







Come proteggere le piante dal freddo e dal gelo?

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Ogni pianta ha una propriaresistenza al freddo, alcune possono superare, senza protezioni, anche il più rigido degli inverni alpini, altre, invece, hanno bisogno di essere protette dal freddo anche in Sicilia.
"Come possiamo proteggere le piante sensibili al gelo ? E' utile il Tessuto Non Tessuto (TNT) ? Come si deve usare il tessuto non tessuto?"


Protezione con tessuto non tessuto


C'è una sottile linea tra la vita e la morte di una pianta, tra una zona dove è possibile coltivarla e dove no e piccoli accorgimenti possono fare la differenza tra il successo e l'insuccesso.
La passione spinge le persone a cercare nuove sfide, così capita spesso che un appassionato di giardinaggio si spinga fino al limite cercando piante che, in natura, prosperano in una zona USDA più alta (più calda).

Per prima cosa ci si deve spingere fino al ragionevole, cioè sino ad una pianta che "potrebbe farcela", non una che "sicuramente morirà di freddo". Se qualcuno volesse coltivare una Papaya, all'aperto e senza serre professionali, in mezzo alla Pianura Padana, sicuramente fallirà nell'impresa.

Un volta scelta la candidata è fondamentale piantarla nella zona più riparata (ad es. vicino ad un muro esposto a Sud), anche un piccolo giardino ha, al suo interno, molteplici microclimi.
Inoltre conviene prendere una pianta già abbastanza grande che, di norma, ha una maggior resistenza al freddo rispetto ad una piccola.
Se le piante sono in vaso si possono mettere sotto un porticato o una tettoia; queste hanno un duplice vantaggio:

  • Proteggono le piante dalla pioggia e dalla neve (spesso l'umidità rende le piante più suscettibili al gelo)
  • Di notte trattengono il calore che, per irraggiamento, si disperderebbe nel cielo, creando un ambiente più mite, con temperature minime superiori anche di qualche grado.

Sia per piante in terra che, a maggior ragione, per piante in vaso, sarà fondamentale eseguire una buona pacciamatura. Avere le radici "al caldo"è di cruciale importanza per la sopravvivenza al gelo.

La protezione con tessuto non tessuto (tnt) deve essere usata oculatamente, un mal utilizzo potrebbe creare più danni che benefici. Il tnt è un tessuto sintetico che, consentendo il passaggio di aria, lascia "traspirare" la pianta, inoltre permette il passaggio dei raggi solari.

E' importante non avvolgere direttamente le piante, specie se sempreverdi, con TNT; il tessuto non tessuto, infatti, trattiene l'umidità e, se fosse a diretto contatto con le foglie, le terrebbe molto più umide rispetto a foglie a contatto con l'aria. Questo, unito ai maggiori sbalzi termici, brucerebbe le foglie e debiliterebbe le nostre piante più di quanto succederebbe con piante non protette.
L'effetto sarebbe ancora peggio se, al posto di tessuto non tessuto, utilizzassimo altri materiali. 
La plastica o materiali che impediscano il circolo di aria sono da evitare.


Ma allora come si deve usare il tessuto non tessuto?

Scheletro per copertura pianteBisogna creare uno scheletro, ad esempio utilizzando canne di bambù o sostegni di ferro, attorno alla pianta da proteggere. Questo "scheletro" deve essere sufficientemente lontano dalle foglie e deve delimitare uno spazio non troppo angusto. 
Attorno ad esso si "arrotolano" un paio di strati di TNT, fissandoli con delle mollette ai paletti di sostegno; è importante che la copertura parti dal basso della pianta e non sia aperta alla sommità. Il calore viene infatti ceduto dal terreno verso l'alto e, se potesse disperdersi lateralmente o uscire dall'alto, non apporterebbe quel minimo vantaggio che questa protezione offre. Si deve evitare che le foglie siano a contatto diretto con il tessuto non tessuto.


Che vantaggi ottengo con una copertura con tessuto non tessuto?

Una struttura fatta col TNT ha il vantaggio di creare un ambiente più riparato, di protegge dal vento e dal contatto con la brina (che rimane all'esterno della struttura).
Tuttavia, contrariamente a quel che si creda, la temperatura internaè notevolmente più alta solo di giorno col sole che ci batte contro generando un effetto serra.
Le differenze delle temperature minime tra interno ed esterno sono spesso irrisorie, questo perché, di notte, il raffreddamento è rapido e, anche se la dispersione di calore attraverso il TNT è attenuata, la temperatura interna va in equilibrio con quella esterna.
In altre parole ci vorrà semplicemente più tempo per raggiungere le stesse (o quasi) temperature, questo è comunque un vantaggio perché riduce le ore di esposizione alla temperatura minima.

Il TNT accumula calore e lo trattiene più a lungo, ma per accumulare calore ci deve essere una fonte, di giorno è il sole, di notte l'unica fonte di calore arriva dalla terra, ma è poca roba.

Per capire questo concetto pensate ad un giaccone, quando lo mettete in una fredda nottata invernale, avvertite un senso di calore. Questo perché noi, contrariamente alle piante, emaniamo calore, che "rimane intrappolato" nel giaccone, invece che disperdersi nell'ambiente. Se sotto il giaccone non ci fosse un "termosifone naturale", durante una nottata la temperatura dentro e fuori dal giaccone sarebbe più o meno la stessa.
Un altro esempio potrebbe essere la macchina: provate a lasciare una bottiglia d'acqua all'interno durante una notte a 0° C (32°F), vedrete che, la mattina seguente, sarà ghiacciata, cosa che invece non succederebbe con una giornata di sole, anche se la temperatura esterna fosse la stessa.


Come posso aumentare le temperature minime all'interno della struttura costruita col tessuto non tessuto?

Dato che le piante non emanano calore, se vogliamo temperature notturne più miti, dovremo fornire calore alla struttura. Un modo semplice e non troppo dispendioso è quello di collocare delle lampadine (tipo quelle di natale) alla base della pianta. Nelle notte più gelide sarà sufficiente tenerle accese, il calore emanato per tutta la notte da queste lampade di natalesarà trattenuto dal tessuto non tessuto e l'ambiente interno si manterrà diversi gradi più caldo rispetto all'esterno.
Un altro metodo più economico, ma anche più rischioso, è quello di collocare alla base della pianta (non troppo vicino al tronco), 4-5 bottiglie da 2 litri riempite con acqua molto calda. Alla mattina le troverete ghiacciate ma, per diventare tali, avranno ceduto molto calore, mantenendo l'interno "meno gelido" dell'esterno.
Ovviamente l'operazione è da ripetersi ogni sera e, più la struttura è grande, e più litri di acqua bollente saranno necessari.

Un corretto utilizzo degli strumenti sopraelencati può essere per proteggere piccole piante e permettere loro di diventare grandi, sorpassando i primi (e i più) delicati inverni. Tuttavia non garantiscono miracoli e, se si vuole coltivare una pianta climaticamente troppo lontana dalle nostre zone, sarà indispensabile adottare un rimedio alternativo, come ad esempio una serra calda, ma di questo parleremo altrove.

Copertura tnt

Pacciamatura

















Larice Comune (Larix decidua), una conifera un po' particolare

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Nell'immaginario collettivo le Conifere sono piante di montagna, slanciate e, soprattutto, sempreverdi. 
Eppure esiste una Conifera decidua.
"Sapete qual è l'unica Conifera, presente in Europa, a perdere le foglie (aghi) durante il periodo invernale?". 

Ebbene, il Larice Comune (Larix decidua) è l'unica specie europea di Larice, nonché l'unica Conifera deciduapresente solo in Europa.
Nella realtà, il Larice Siberiano (Larix sibirica), sebbene non nativo dell'Europa, lambisce la parte nord-orientale del nostro continente ed è presente in Finlandia, ma qui non lo prenderemo in considerazione. 

Ma cerchiamo di capire che pianta è il Larice Comune, da dove proviene, come si sviluppa e dove è presente in Europa ed in Italia.


Larice comune



Origine, Habitat e Diffusione :

LaricetoIl Larice Comune (Larix decidua), detto anche Larice Europeo, appartiene alla famiglia delle Pinaceae e, come suggerisce il nome, è di origine Centro-Europea. Tutt'oggi è diffuso nelle zone montuose del nostro continente, dalle Alpi ai Carpazi, sino ai Monti Tatra.

In Italia il laricecresce spontaneo su tutto l'arco Alpino dove, a seconda dell'altitudine, forma boschi misti (insieme a Pini ed Abeti), boschi puri (Lariceti) oppure, alle quote più elevate, è presente come albero via via più isolato. Sulle Alpi, l'altitudine ideale per il suo sviluppo, è compresa tra i 1200 m e 2200 m, mentre è assente lungo tutta la catena Appenninica. Nelle catene montuose a Nord delle Alpi l'optimum di altitudine è inferiore e lo si può trovare a partire dai 500-600 m.

I Lariceti sono boschi non molto fitti, in cui ogni pianta è ben esposta al sole e creano un sottobosco particolarmente luminoso in cui prosperano diverse specie erbacee.


Biologia, Fisiologia e Clima:

Il Larice comuneè anche chiamato "albero del Sole", la sua spiccata eliofilia rende la specie pioniera nel colonizzare zone di alta montagna, prive di vegetazione arborea e, dunque, particolarmente assolate.
Larix decidua è una specie dotata di un'elevata resistenza al gelo, e può sopportare temperature anche di -50° C (-58° F), ciò le permette di sopravvivere anche in ambienti di alta montagna, infatti non è raro trovare Larici fino a 2500 m ed, esemplari isolati, possono spingersi anche più in alto.
Questa conifera si sviluppa al meglio in ambienti freddi, con temperature medie inferiori ai 10°C (50° F), ma preferisce ambienti in cui vi siano lievi escursioni termiche tra giorno e notte, questo particolare microclima è tipico di forti declivi di alta montagna.
Fiore femminile LariceLe precipitazioni annue ideali  si aggirano attorno ai 900-1100 mm, a patto che siano ben distribuite e non concentrate solo nei mesi invernali.
Il Larice è una pianta che prospera in posizioni estreme, spesso su pendii (a volte quasi dirupi) di alta montagna battuti da impetuosi venti; non è raro vedere esemplari "piegati e deformati" dal vento, dalle neve e dalle intemperie, ma ancora lì vivi e sani. Il Larice comune è una pianta tollerante nei confronti del terreno, si accontenta, infatti, anche di quelli poveri di nutrienti dove altre piante non potrebbero crescere.
Larix deciduaè una specie estremamente longeva, con una vita media di 800 anni, anche se non è raro vedere Larici millenari.
Il Larice comune è una pianta imponente, che può raggiungere, e talvolta superare, i 40 m di altezza (130 ft) con un diametro del tronco anche di 2 m (6,5 ft). La chioma è rada e 20-30 foglie (aghi) sono riunite in "ciuffetti" attaccati a corti rametti, chiamati brachiblasti. Ogni foglia di Lariceè lunga tra 1 e 4 cm, larga solo 1 mm e, diversamente da altre conifere, poco pungenti. I colori degli aghi sono verde tenero in primavera, verde intenso in estate e giallo-arancione prima della caduta invernale.
Il Larice è una pianta monoica, con fiori femminili grandi e di color rosa-viola e fiori maschili più piccoli e giallastri. Alla fioritura segue la formazione delle pigne, al cui interno sono presenti i semi. Le pigne sono lunghe circa 4 cm e, a maturazione, sono di color bruno.


Utilizzi :

Il legno di lariceè apprezzato per la sua durezza e robustezza, inoltre l'alto contenuto resinoso conferisce una notevole durevolezza. Il suo bel color rosso, unito alla resistenza alle intemperie, lo rende particolarmente adatto per la falegnameria da esterni.
Essendo resistente ai marciumi è utilizzato anche per costruzioni navali, oltre che per la produzione di pali da recinzione.
Il miglior legno è quello ottenuto da Larici cresciuti in alta montagna.


Tronco di Larice

Larix decidua




Perchè nevica? dove di più in Italia?

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La Neve è una dellecondizioni meteo più affascinanti, forse perché trasforma ambienti rumorosi in ambienti ovattati, forse perché la vediamo raramente, forse perché esalta la bellezza di un paesaggio o chissà per cos'altro.


  • Ma come si forma la neve? 
  • Quali condizioni climatiche ci devono essere affinché possa nevicare? 
  • Quali sono le zone in cui nevica di più in Italia e perché?




Paesaggio innevato




Una bella Nevicataè, in Italia e in pianura, un evento raro, che può verificarsi solo con particolari condizioni di temperatura ed umidità. Il primo mito da sfatare è "Se fà troppo freddo non può nevicare", se così fosse non vi sarebbero nevicate invernali sulle Alpi e le pianure Siberiane sarebbero sempre brulle. 

Il freddo è dunque necessario (e non è mai troppo), ma non sufficiente; ci deve infatti essere anche una perturbazione che apporti la giusta umidità.

Un fiocco di neve null'altro è che vapore acqueo sublimato o goccioline d'acqua solidificate a cristallo di ghiaccio. Questi cristalli si formano in nubi stratificate al cui interno vi è, di solito, una temperatura di poco inferiore ai -10° C.
Questi cristalli di ghiaccio, durante la loro discesa, possono fondersi assieme generando un fiocco di maggiori dimensioni. Ciò avviene con temperature attorno agli 0° C (o leggermente superiori), a temperature inferiori i cristalli di ghiaccio, non sciogliendosi, rimangono separati.

I cristalli di neve hanno forme diverse a seconda della temperatura e della saturazione della nuvola che li genera. Solitamente la forma a "sei punte" (quella stilizzata nei cartoni animati) avviene a temperature meno basse rispetto alla forma "a prisma".


Forma della neve



Tutte le nevicate sono uguali?

Ovviamente no, anzi sarebbe più corretto dire l'esatto contrario. Ogni nevicata ha una storia a sé, anche se, a grosse linee, è possibile categorizzarle.

Quando tutta la colonna d'aria sovrastante è a temperatura negativa, laddove vi saranno precipitazioni, saranno certamente a carattere nevoso. 
Questa "tipologia" di neve è particolarmente asciutta, i fiocchi si posano sul terreno senza sciogliersi, riescono ad imbiancare anche corpi vicini a fonti di calore come i davanzali o le strade trafficate. L'aspetto di questa neve è "farinoso" e l'accumulo aumenta molto velocemente.

I famosi "Blizzard", neve ghiacciata accompagnata da gelidi e forti venti (oltre 40 km/h, con temperature inferiori ai -25° C) e visibilità sotto il chilometro, tipici di alcune città Americane sono, in Italia, eventi mai avvenuti, se non in alta montagna.
Sul Nord della nostra penisola, con cadenza di un paio di episodi per decennio, possono verificarsi dei "mini-Blizzard", in cui la neve è accompagnata da un repentino calo di temperatura e sostenuta da impetuosi venti, sebbene più caldi e lenti dei veri e propri Blizzard Americani.


Strati d'aria e neve


La tipologia di neve più comune sulle Pianure italiane è quella denominata "Neve Bagnata" o "Acquaneve" ed avviene con temperature al suolo superiori agli zero gradi.
Supponiamo, che sopra il suolo vi sia uno strato di 100-300 metri di aria di poco superiore al punto di congelamento. Il fiocco di neve raggiunge questa zona solo dopo un lungo percorso in cui si ha avuto tempo di formarsi, di aggregarsi ad altri cristalli di neve e di raffreddarsi.
Se il cristallo di neve, nel breve strato di aria prima di toccare il suolo, non riesce a fondersi completamente, giungerà a terra sotto forma di neve bagnata. A seconda della temperatura, della velocità di discesa e dello spessore dello strato d'aria "calda", avremo neve più o meno bagnata.

Se invece gli strati d'aria sono discontinui potrebbero esserci temperature negative al suolo e ad alta quota, con in mezzo una zona con aria a temperature positive. Queste sono le condizioni ideali per la formazione di Neve Congelatesi (Gelicidio o Pioggia Congelante), ovvero la neve formatasi in quota fonde ad acqua nella zona intermedia per poi ricongelarsi solo a contatto col suolo gelido.

Neve tonda (chiamata comunemente nevischio, anche se inesatto): si forma quando un fiocco di neve, incontrando uno strato d'aria con temperature positive durante la sua discesa, si fonde parzialmente per poi trovare, nell'ultimo strato a contatto col suolo, aria nuovamente sotto gli 0° C.
Se lo strato d'aria fredda vicino al suolo è sufficientemente spesso il "fiocco scongelato" ricongela, dando origine ad un fiocco di neve tondo che rimbalza a contatto col suolo.


Neve sull'Appennino





Effetti della neve sul clima e sulle piante :

Un proverbio popolare recita "Sotto la neve, il pane", questo perché un manto nevoso garantisce, sotto di esso, temperature "meno fredde" rispetto all'aria sovrastante, in altre parole è una sorta di pacciamatura naturale.
Se da un lato la neve protegge le radici, dall'altro può essere deleteria per la parte area di una pianta, specie se sempreverde. La neve, infatti, è bianca e questo colore assorbe minori radiazioni solari rispetto ad un terreno brullo.
L'effetto Albedo si basa su questo principio: un terreno innevato assorbe meno calore di giorno e, in notti serene in assenza di vento, lo perde più velocemente di quanto non faccia un terreno senza neve; questo genera una fortissima inversione termica.
In zone soggette ad inversione termica, quando il cielo si rasserena, si possono registrare temperature minime notturne anche 4° C inferiori rispetto ad analoghe situazioni meteo, ma col suolo privo di neve.
Infine la neve, specie se bagnata e pesante, può indurre danni di tipo meccanico ai rami, sopratutto delle specie sempreverdi che, con le loro foglie, "trattengono" maggior volume di neve.


Olivo piegato dalla neve




Che cos'è la "Quota neve" e da cosa dipende? :

Per un meteorologo è molto difficile prevedere una nevicata, questo perché, alle nostrelatitudini, è raro che tutta la colonna d'aria sovrastante sia a temperature negative.
In pianura, il più delle volte, nevica con temperature leggermente superiori agli 0°C e la quota neve può essere influenzata da molteplici elementi.

La neve cadrà solo se non si scioglierà completamente attraversando lo strato d'aria a temperatura positiva.
Quindi per calcolare la quota neve, ovvero l'altitudine più bassa in cui si avranno precipitazioni nevose, si dovrà considerare :


  • Spessore dello strato a temperature positive tra il suolo e la quota dello zero termico e quanto esse sono superiori agli zero gradi.
  • L'intensità delle precipitazioni : quanto più intensa è una precipitazione, quanto più velocemente percorrerà lo "strato caldo" e, conseguentemente, percorrerà una distanza superiore prima di sciogliersi. A parità di altri parametri, più la precipitazione  sarà intensa e più sarà bassa la quota neve rispetto alla quota delle zero termico. Se una precipitazione debole ha quota neve 300 m sotto lo zero termico, una forte può far nevicare anche 800 m sotto lo zero termico.
  • Orografia del territorio : nelle valli più strette e sottovento rispetto alla perturbazione, la quota neve può essere diverse centinaia di metri inferiore, rispetto a valli aperte e meno protette.


Quali condizioni climatiche fanno nevicare in Italia? Quali sono le zone in cui nevica di più ? :

Sulle Alpi italiane (versante Sud della Catena Alpina), le nevicate sono copiose quando arriva aria umida dai versanti meridionali che, per effetto Stau, si converte in precipitazione. Viceversa, quando la perturbazione arriva da Nord, sarà il versante opposto ad essere interessato da nevicate, mentre quello Italiano godrà (di norma) di un clima secco e mite (venti di Fohn o Favonio, vedi qua per maggiori dettagli).

In altre parole il versante sopravento ad una perturbazione è quello in cui vi saranno precipitazioni.

Le perturbazioni da Nord sono più fredde delle perturbazioni da Sud. Questo implica che, in linea generale, i versanti Alpini ed Appenninici esposti a Sud avranno una quota neve più alta di quelli esposti a Nord.


Stau




Una classica tipologia di nevicata nella Pianura Padana (specie occidentale) è quella chiamata "Nevicata da scorrimento". Questa si verifica quando l'aria gelida, accumulatasi al suolo dopo un'irruzione fredda, viene "scalzata" da una perturbazione umida e più mite (es. una Perturbazione Atlantica). Quindi il "cuscinetto" freddo presente converte l'aria umida in arrivo in neve.

Sulle Coste italiane la neve è un evento raro ed effimero. Il più delle volte si verifica a seguito di un'irruzione d'aria di origine continentale proveniente da Nord o Nord-Est.
In questo caso il versante Adriatico è più esposto e registra maggiori accumuli, mentre il versante Tirrenico, protetto dall'Appennino, è meno soggetto a nevicate.


Orografia e quota neve


Neve sul ponte


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