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Dove Cresce la Pianta del Cacao (Theobroma cacao) ?

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Tutti noi abbiamo mangiato il Cioccolato ed è ormai diventato l'ingrediente principe dell'industria dolciaria, ma vi siete mai chiesti da dove provenga il Cacao, l'elemento base per la sua produzione?

La Polvere di Cacao, così come la Pasta ed il Burro di Cacao, si ottiene dai semi della specie Theobroma cacao, comunemente chiamata "Albero del Cacao", una pianta che cresce nelle foreste tropicali e di cui parlerò profusamente in questo articolo.


Theobroma cacao



Origine e Generalità :

Statua Maya con Frutto del CacaoLa Pianta del Cacao (Theobroma cacao), il cui nome scientifico tradotto significa "Cibo degli Dei", trae le sue origini nel Sud-America, è infatti nativa dell'Amazzonia e delle foreste pluviali adiacenti al fiume Orinoco.
L'utilizzo di questa specie, a fini alimentari, era noto già in tempi antichissimi; ci sono infatti testimonianze archeologiche che associano la coltivazione della Theobroma cacao al Popolo Maya.
Nella penisola dello Yucatan, ed in zone limitrofe, furono ritrovati antichi piatti e bicchieri su cui, le analisi molecolari, riscontrarono tracce di Cacao, facendo ipotizzare il suo utilizzo già diversi secoli prima di Cristo.
A quei tempi il "cioccolato" era considerato una prelibatezza riservata solo ai ceti alti della società, le virgolette alla parola sono obbligatorie, infatti il "cioccolato" da loro consumato doveva essere molto diverso rispetto a quello a cui siamo abituati.
Si ritiene che, inizialmente, il cioccolato non fosse ricavato come oggigiorno, ma fosse semplicemente un infuso in acqua calda della polpa del frutto (contenente i semi), con l'aggiunta di altre spezie come Pepe e Peperoncino.
Il Popolo Azteco diffuse ulteriormente la coltivazione del Cacao ed, alle bevande ottenute con questa essenza, dette un valore cerimoniale e religioso, associando il Cacao alla Dea della Fertilità.
Gli Aztechi riconobbero le qualità del Cioccolato nel diminuire la fatica e nell'apportare molte calorie. Per diminuire l'amarezza, alla bevanda venne aggiunta la Vaniglia e si raffinarono le tecniche produttive. I Semi di Cacao acquistarono così tanto valore da divenire una moneta di scambio con cui acquistare gli schiavi o altri beni.
Fu Cristoforo Colombo che, nel 1500, importò i semi di Cacao in Europa; inizialmente, il cioccolato, non fu ben accettato. Solo successivamente, con la rimozione delle spezie "piccanti" e l'aggiunta di Miele, si ottenne una bevanda che iniziò ad essere apprezzata dai nobili dell'epoca.
Ai nostri giorni la Pianta del Cacao è coltivata in tutte le zone tropicali umide del Mondo, dall'Asia-Oceania (Papua Nuova Guinea, Indonesia, Malesia), alle Americhe (Brasile, Ecuador), tuttavia la maggiore produzione a livello mondiale (circa 70%) è concentrata nella costa Ovest dell'Africa (Nigeria, Cameroon, Costa d'Avorio, Ghana).


Botanica e Fisiologia :

Polpa e Semi di Cacao
La Pianta del Cacao (Theobroma cacao), appartenente alla famiglia delle Sterculiaceae (o Malvaceae, secondo la classificazione APG), è una specie sempreverde che si sviluppa sotto forma di piccolo albero, raggiungendo un'altezza massima di circa 5-6 m (16-20 ft).
Le foglie sono a forma ovale, lunghe sino a 40 cm (16 in) e, una volta sviluppatesi, sono generalmente verdi, hanno un picciolo "articolato" che permette loro di orientarsi perfettamente, al fine di ottenere la giusta luminosità per un'ottimale attività fotosintetica. Le giovani foglie hanno tonalità rossastre, una consistenza tenera e sono più soggette ad infezioni fungine.
I fiori dell'Albero del Cacao sono molto numerosi e riuniti in mazzetti che sbocciano dalla cicatrice lasciata alla caduta delle foglie sui rami di oltre 2-3 anni e, a volte, addirittura sul tronco principale; questa peculiare fioritura (e quindi fruttificazione) sulle branche principali, atta a sorreggere frutti pesanti, l'avevamo già osservata parlando del Durian. I fiori hanno un diametro di circa 1 cm (0.4 in), con un calice rosa e cinque petali; la conformazione del fiore rende difficile l'impollinazione per la maggior parte degli insetti, solo alcuni moscerini sono così piccoli da poterli impollinare. Questo è forse uno dei motivi per cui solo una piccola percentuale (raramente superiore al 5%, spesso attorno all'1%) dei fiori si sviluppa in frutto.
Nuove Foglie CacaoMolte cultivars sono autosterili, è quindi necessaria la presenza di più piante e di insetti impollinatori al fine di ottenere frutti.
Nelle zone di origine la fioritura del Cacao è pressoché continua durante tutto l'anno ed è influenzata dalla temperatura e dall'umidità.
Fioritura Pianta del CacaoIn zone in cui vi sia una breve stagione secca, la produzione di fiori coincide con la ripresa delle piogge, suggerendo una correlazione tra disponibilità di acqua ed induzione a fiore. La fioritura nel periodo più piovoso dell'anno è un evento non comune; buona parte delle specie fruttifere tropicali preferisce fiorire in un momento più secco per evitare marciumi ed attacchi fungini.
I frutti del Cacao richiedono circa 5-6 mesi, a partire dalla fioritura, per giungere a maturazione. Durante questo periodo la crescita non è omogenea; appena dopo la fecondazione (primi 40 giorni) la crescita è lenta, segue poi una fase di crescita rapita. La fase di sviluppo (accrescimento) dura in tutto circa 80-100 giorni, a questa segue la fase di maturazione, in cui si ha un notevole incremento dell'attività metabolica e l'accumulo di grassi all'interno dei semi.
Il frutto del Theobroma cacao mostra un'ampia varietà di colori, dimensioni e forme ma, in linea generale, i frutti del Cacao sono dei grossi baccelli (anche se botanicamente sarebbero delle Drupe) a forma di cedro di allungato, che possono arrivare a pesare 500 gr (1,1 lb), occasionalmente di più. I frutti immaturi hanno un colore verde o giallo, mentre a maturazione virano ad un rossastro, più o meno intenso a seconda della varietà. Ogni frutto contiene in media 30-40 semi, che sono immersi in una polpa morbida, gelatinosa e ricca di zuccheri, dalla quale si ricavano bevande e confetture, ma è anche consumata al naturale dai popoli locali.
I semi del Cacao sono la parte più preziosa dell'intera pianta; sono a forma di mandorla e contengono al loro interno grassi, zuccheri, teobromina e, in piccole dosi, caffeina. Dopo la tostatura, vengono "sbriciolati" ed utilizzati per preparare il Cioccolato ed i suoi derivati.
La Teobromina è un composto chimico naturale che ha un effetto euforizzante, nonché blandamente diuretico e vasodilatatore; negli uomini viene metabolizzato velocemente, motivo per cui la sua tossicità è del tutto trascurabile. In altri animali (es. Cani) la teobromina è smaltita molto lentamente, rendendola tossica e potenzialmente letale.

Frutticini Cacao


Coltivazione, Clima ed Esposizione :

L'Albero del Cacao (Theobroma cacao) è, come il Rambutan, una specie prettamente tropicale che cresce, prospera e fruttifica solo in zone in cui vi siano minime escursioni termiche annue ed elevata umidità. Per questo motivo la sua coltivazione è relegate alle zone comprese tra il 15°N e il 15°S, dove vi siano abbondanti piogge (superiori ai 1500 mm/anno), ben distribuite sui 12 mesi.
Maturazione Frutti Theobroma cacaoPer questi motivi il Cacao, diversamente da altre specie subtropicali come il Tamarillo, non è coltivabile in Italia e neppure nelle regioni più miti del bacino Mediterraneo.
La crescita ideale del Cacao si ha con temperature massime intorno ai 28-30° C (82-86° F) e minime di 18-20° C (64-68° F), è sconsigliabile coltivarlo laddove le medie delle minime del mese più freddo non siano superiori ai 15° C (59° F); la Pianta del Cacao muore con temperature inferiori ai 10° C (50° F). Questa specie è molto sensibile agli abbassamenti termici, infatti la formazione dei fiori è fortemente inibita con medie giornaliere inferiori ai 22° C (72° F) e avviene in maniera ottimale solo con medie di 25° C (77° F), inoltre le basse temperature riducono sensibilmente la crescita in larghezza del tronco e, infine, facilitano gli attacchi da parte di Phytophthora palmivora, uno dei patogeni più pericolosi per la specie.
Le esigenze termiche del Theobroma cacao non sono limitanti solo verso il basso, è noto che prolungate temperature superiori ai 32° C (90° F) siano deleterie; possono infatti bruciare le gemme o indurre un'eccessiva emissione di nuovi germogli che debilitano la pianta e, in qualche caso, possono portarla alla morte.
Le nuove foglie, inoltre, sono più tenere di quelle vecchie e facilmente attaccabili da funghi come Moniliophthora perniciosa; i frequenti flussi vegetativi indotti dall'eccessivo caldo aumentano, di conseguenza, anche la frequenza degli attacchi fungini.
Theobroma cacaoè una specie che, in natura, cresce nel sottobosco della foresta Amazzonica dove, oltre alla copertura offerta dalle chiome delle piante più alte, vi sono cieli spesso nuvolosi. La pianta del Cacao, infatti, predilige esposizioni piuttosto ombreggiate che, negli impianti commerciali, sono ottenute con l'ombra prodotta da altre specie fruttifere come ad esempio le Palme da Cocco, Palme da Olio o specie di Leguminose arboree. Se per le piante adulte la mezz'ombra è consigliabile, per le giovani piante è essenziale, senza un'adeguata copertura morirebbero bruciate dal Sole tropicale.
Frutti di Cacao maturiLa Pianta del Cacao, pur avendo un apparato radicale particolarmente sensibile sia ai ristagni idrici che alla bassa concentrazione di ossigeno del suolo, può crescere su un'ampia gamma di terreni, tuttavia preferisce quelli profondi, permeabili, ma con buona capacità di mantenersi umidi e ricchi.
Questa specie, in natura, cresce in zone dove nel terreno vi è uno strato permanentemente umido, composto da foglie, rami, frutti e detriti a diversi stadi di decomposizione. Questo strato ricco di materia organica è l'ideale per il Cacao ma, in zone coltivate, è difficilmente ottenibile, sia per l'esposizione spesso troppo soleggiata, sia per l'assenza della biodiversità che caratterizza le fitte foreste pluviali.


Specie e Varietà di Cacao :

Delle 22 specie appartenenti al genere Theobroma, solo Theobroma cacaoè coltivata su larga scala ed i suoi semi consumati ovunque, tuttavia anche altre specie ricoprono una certa importanza alimentare, anche se solo a livello locale; tra queste T. bicolor, T. grandiflorum sono  le due più coltivate.
Anche all'interno della T. cacao esistono innumerevoli varietà che possono essere suddivise in tre gruppi:


  • Criollo (Cacao Nobile) : Varietà di Cacao molto diffusa in Messico (probabilmente sin dai tempi dei Maya) e nell'America equatoriale. E' una pianta non troppo produttiva e delicata; il suo scarso raccolto è però di ottima qualità. I suoi semi sono bianchi, poco amari e racchiusi in un frutto color porpora con striature longitudinali gialle.
  • Forastero (Cacao di Consumo) :  Rispetto a Criollo, questo gruppo contiene al suo interno piante più rustiche che ben meglio si adattano a zone diverse rispetto a quelle native del Cacao. E' infatti coltivato nell'Africa occidentale e, grazie alla sua produttività, rappresenta circa 8/10 del Cacao utilizzato per la produzione di Cioccolato. Le diverse varietà di questo gruppo mostrano differenze più marcate anche se, solitamente, i semi sono violacei e dal sapore intenso ed amaro.
  • Trinitario : E', in realtà, un ibrido tra Criollo e Forastero. Ottenuto nella zona Amazzonica in prossimità dell'estuario, è una via di mezzo tra i due gruppi esposti sopra. Produce una discreta quantità di frutti (inferiore a Forastero), i cui semi hanno un sapore pregiato (seppure inferiore a Criollo). Diffuso nell'America meridionale, ma anche in diverse zone del Sud-Est asiatico. 


Metodi di Riproduzione :

Il Cacao, a livello commerciale, si riproduce per innesto. Per millenni, e tuttora  a livello amatoriale o locale, si è riprodotto per semina.
Tuttavia i semi del Cacao sono molto delicati, hanno bisogno di un'elevata umidità per germinare e, se esposti all'aria, si disidratano in pochi giorni. La vitalità dei semi di Cacao è dunque molto ridotta e non paragonabile ai semi di molti ortaggi che sono conservabili da un anno all'altro.


Allegagione Cacao

Fiore di Cacao
Frutti di Cacao


Albizia julibrissin, un'Acacia dai Fiori Rosa che Adorna Parchi e Strade

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L'Albizia, sebbene a molti potrebbe non suonare familiare, è un genere di piante piuttosto diffuso in Italia. Tra le diverse specie, l'Albizia julibrissin (detta anche Acacia di Costantinopoli o Acacia di Persia) è quella più comune nel Nord Italia, tanto è vero che la ritroviamo in molti parcheggi, ai lati delle strade, nei parchi o nei giardini privati, dove regala abbondanti fioriture per buona parte dell'estate.

Come si deve coltivare l'Albizia julibrissin? Qual è il suo clima ideale? Quali cure necessita per ottenere abbondanti fioriture?

Fioritura Acacia di Persia


Origine e Diffusione :

Albizia julibrissinè una specie le cui origini sono da ricercarsi nel continente Asiatico, si pensa infatti che sia nativa dell'Iran e dell'Asia subtropicale.
Il nome del genere, "Albizia", fu attribuito da Antonio Durazzini in memoria di Filippo degli Albizzi, un gentiluomo fiorentino che, nel 1749, importò l'Albizia julibrissin da Costantinopoli e la diffuse nei parchi e nei bei giardini della Toscana. L'appellativo "julibrissin" deriva invece dall'italianizzazione della parola "Gul-i-Abrisham" che, in lingua Turca, significa Fiore di Seta o semplicemente Fiocco. Ai nostri giorni la specie è presente in Italia ed in tutta l'Europa che si affaccia sul Mediterraneo, oltre che negli Stati Uniti ed ovviamente nell'areale d'origine.


Pianta di Albizia julibrissin



Botanica e Sviluppo :

Albizia julibrissin appartiene alla famiglia delle Fabaceae (Leguminose), è una specie decidua che si sviluppa sotto forma di albero di medie dimensioni, potendo raggiungere un'altezza di 15 m (49 ft). 
Pur avendo un discreto sviluppo la specie è poco longeva, addirittura meno della Betulla, e raramente supera i 40-50 anni di età. La crescita, forse per compensare questa carenza, è abbastanza rapida e vigorosa e fa assumere alla pianta una forma tondeggiante e un poco tozza, la chioma dell'Acacia di Persia è, infatti, a forma di ombrello.
Le foglie di questa specie, sebbene più grosse e caduche, sono molto simili a quelle della Mimosa, essendo composte da file di piccole foglie a loro volta divise in altre foglioline.
La parte più ornamentale, nonché quella forse più caratteristica, è il fiore. I fiori dell'Albizia julibrissin sono raggruppati in corimbi che sbocciano da boccioli situati all'apice della nuova vegetazione ed emanano un fragranza delicata. Gli stami sono molto più lunghi dei petali, dando così al fiore un aspetto "a ciuffo", mentre il loro colore bianco, lilla, con sfumature violacee li rende appariscenti.
La fioritura dell'Albizia è scalare e si protrae per un periodo piuttosto lungo che, indicativamente, va da fine Maggio ad Agosto, anche se l'epoca e  la durata possono cambiare in funzione del clima. Talvolta, se la stagione calda si protrae anche nella prima parte dell'autunno, si può avere una seconda (e meno abbondante) fioritura. Quando questo si verifica la pianta avrà i frutti derivanti dalla prima fioritura e questi fiori, contemporaneamente. I frutti dell'Acacia di Costantinopoli, come tipico delle leguminose, sono dei baccelli lunghi e sottili con all'interno diversi semi di piccole dimensioni.


Foglie di Albizia julibrissin

Fiori Acacia Costantinopoli







Coltivazione, Clima e Cure :

L'Albizia julibrissinè una pianta adatta al clima italiano, gradisce estati calde e lunghe ed ha una buona resistenza al freddo, sebbene inferiore a quella di molte altre specie decidue. Benché ci siano delle differenze tra le Cultivars, si può affermare che l'Albizia può crescere fino ad una zona USDA 6 e quindi resistere, indicativamente, fino a -15° C (5° F).
L'Albizia, sebbene non ami suoli troppo acidi, è una pianta poco esigente e può crescere su un'ampia gamma di terreni, compresi quelli salmastri, che frequentemente si ritrovano lungo i margini delle coste; inoltre, una volta affrancata, è alquanto resistente alla siccità.
La notevole resistenza alla salsedine, così come all'inquinamento atmosferico, rende la sua piantumazione particolarmente indicata per zone ai margini di strade affollate, inquinate o in prossimità del mare, dove altre specie avrebbero una crescita stentata.
L'Acacia di Costantinopoli cresce sia in posizioni totalmente assolate, che a mezz'ombra, mentre sono da evitare le zone eccessivamente ventose, in quanto le ampie foglie e la forma ad ombrello della chioma potrebbero indurre danni di tipo meccanico ai fragili rami.
Questa specie mal si adatta alla coltivazione in vaso, situazione che ne compromette lo sviluppo, anticipando lo stato senile delle pianta.
La potatura si effettua in inverno, a foglie cadute, ma, da adulta, non è assolutamente indispensabile, se non per ringiovanirla con tagli di ritorno.
L'Albizia julibrissin si riproduce prevalentemente tramite innesto; è possibile anche tramite talea, sebbene, con questa specie, la percentuale di attecchimento non sia alta.
La semina, sebbene non garantisca le caratteristiche della Cultivars (leggi qua il perché), è una tecnica molto proficua, non per caso la specie è quasi infestante in alcune zone degli Stati Uniti.
L'Acizzia jamatonica, una Psilla asiatica, è stata segnalata per la prima volta in Piemonte nel 2001 e da lì si è diffusa in tutto il Nord Italia e persino in Svizzera, Francia e Slovenia.
Questo insetto parassita l'Albizia julibrissin, succhiandone la linfa grezza (quella ricca di Glucosio) e producendo una melata biancastra che, oltre ad imbrattare tutto ciò che è al di sotto della chioma, facilita l'insorgere della fumaggine.
La sottrazione di linfa grezza causa anche il deperimento della pianta, la comparsa di foglie gialle e, nei casi più gravi, l'anticipata caduta delle foglie. Questo patogeno, nel suo areale di origine, non è particolarmente nocivo ma, in Italia, non avendo i suoi naturali antagonisti, è diventato il principale pericolo per questa specie.

Albizia julibrissin leaves

Chioma di Albizia julibrissin

Fiori di Albizia julibrissin

Albizia julibrissin flowers

Cosa Guardare al Safari Park di Pombia ? Gli Animali della Savana in Piemonte

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Vedere dal vivo animali che, normalmente, abbiamo sempre visto nei documentari o sui libri è sempre un'esperienza emozionante. Solitamente, negli Zoo, gli animali sono in gabbia e i visitatori all'esterno, ma all'idea che sta alla base dei Safari Park di Pombiaè quella di invertire le cose, lasciando gli animali in libertà e le persone "rinchiuse" nelle loro "gabbie di lamiera".

Giraffe e Zebre piemonte


Ciò di cui voglio raccontare oggi è l'esperienza relativa al Safari Park di Pombia (NO), in Piemonte. Il luogo è situato sulla provinciale che collega Arona a Novara ed è facilmente raggiungibile anche da Milano, che dista circa 60 km.
Quando arriverete ad una grossa rotonda con all'interno due statue di Leoni, invece di proseguire in linea retta sulla strada Arona-Novara, dovrete girare e sarete praticamente arrivati. Comunque sia le segnaletiche sono ben posizionate e molto visibili.


Vale la pena vedere il Safari Park di Pombia? Il prezzo è proporzionale allo spettacolo offerto?

I biglietti, nel 2016, costano 17 euro per gli adulti e 12 euro per i bambini e l'apertura estiva è dalle ore 10.00 alle 19.00 (chiusura biglietterie alle 17.00).

A mio avviso il prezzo è pienamente ricompensato da ciò che vedrete.

La prima tappa è il vero e proprio Safari Park: con i finestrini ben chiusi e procedendo a passo d'uomo, si procede verso un cancello elettrico. Oltrepassandolo si entra nella prima zona, che è dedicata agli erbivori della Savana Africana. Il percorso si snoda attraverso una strada asfaltata a due corsie, una per le macchine ed un'altra per un trenino che, al costo di 2 euro, fa compiere il tour all'interno del Safari.
La strada ha diversi tornanti ed è abbastanza lunga, permettendo l'osservazione ravvicinata dei grandi erbivori che pascolano del tutto indisturbati e, a volte, invadono la strada asfaltata.

Antilope safari pombia

Zebra safari pombia


Il giorno in cui visitai il Safari, i primi animali che vidi furono delle Antilopi, le cui lunghissime corna e la pelliccia vellutata lasciavano presagire alla bellezza che la Savana può offrire. Nel proseguire, dopo un gruppetto di Impala (Aepyceros melampus) ci imbattemmo in un gruppo di Giraffe (Giraffa camelopardalis), questi animali così particolari ed unici, sono un vero prodigio dell'evoluzione.
L'animale più alto del mondo, visto dal vivo, suscita un intrinseco senso di inferiorità. Le Giraffe possono raggiungere, e a volte superare, i 5-6 metri di altezza e pesare oltre 1000 kg; il loro collo (pur avendo 7 vertebre cervicali, come tutti i Mammiferi) rappresenta quasi metà della loro altezza.
Un'altra cosa che in TV non appare così evidente è la lunghezza delle gambe, di gran lunga più alte di una persona adulta, e il tronco così piccolo. Osservando una Giraffa dal vivo si ha l'idea che sia composta solo da gambe e collo e che sia tanto alta quanto "corta", infatti la parte centrale del loro corpo è sproporzionata ed ha dimensioni simili a quelle di altri erbivori che sono alti 1/3.

Ammotrago zoo safari


Proseguendo si incontrarono le Zebre, le classiche prede che si vedono nei documentari sull'Africa. Delle 4 specie esistenti, la Zebra della steppa (Equus quagga) è quella più comune e, vista da vicina, è molto più piccola di quanto si possa immaginare.
Questo mammifero assomiglia molto ai Cavalli, che tutti noi abbiamo visto dal vivo. Pensiamo dunque che siano simili anche come dimensioni, eppure le Zebre sono visivamente più piccole dei cavalli ed hanno un'altezza compresa tra 1,1 e 1,4 metri.
Stesso discorso lo si potrebbe fare con gli Gnu (Connochaetes taurinus), animali che spesso brancolano i gruppi misti assieme alle Zebre. Gli Gnu, che io credevo fossero grandi come dei bufali, sono più o meno grossi come le Zebre.

Gnu safari pombia


Con un po' di timore passammo in prossimità di due Rinoceronti (credo "Bianchi") che, ai margini della strada, si strofinavano sui tronchi degli alberi. L'impressione che danno questi grossi erbivori è l'esatto opposto rispetto alle Giraffe. I Rinoceronti sembrano fatti solo di busto, con arti tozzi e testa incassata. Potendo superare le 3 tonnellate di peso, sono gli animali terrestri più grandi dopo gli Elefanti.
In Africa esistono due specie di Rinoceronti: i Rinoceronti Bianchi e Neri, entrambi hanno due corna centrali fatte di cheratina (non ossee), la stessa sostanza di cui sono fatte le nostre unghie.
Il Rinoceronte Bianco (Ceratotherium simum) è più grosso rispetto al Rinoceronte Nero (Diceros bicornis), ma ha un temperamento più pacifico, mentre quello nero è aggressivo e carica facilmente le Jeep, nei Safari africani.
Esistono, ma al momento non ci sono al Safari Park di Pombia, anche i Rinoceronti asiatici. Tutte le specie viventi in Asia sono a rischio di estinzione e, diversamente dai "cugini" africani, hanno un unico corno e pieghe della pelle più accentuate.

Sbadiglio Ippopotamo
Rinoceronte safari pombia



L'Ippopotamo (Hippopotamus amphibius) è un'altra specie erbivora di grandi dimensioni, potendo arrivare a pesare 1500 kg ed oltre. In realtà, sebbene solitamente mangi erba, è stato documentato che, in casi di gravi carestie, può diventare un carnivoro spazzino ed addirittura cannibale.
Solitamente vive in acqua, ma per alimentarsi si sposta sulla terra ferma, spostandosi fino a 10 km nell'entroterra. Gli Ippopotami sono gli erbivori più feroci d'Africa ed uccidono più uomini di quanti non faccia il Leone. Questa aggressività è dovuta alla loro forte territorialità; se qualcuno invade il loro spazio, verrà caricato e, sebbene siano più agili in acqua, corrono più veloce di un uomo.
Oltre alla mole, la cosa che impressiona è l'apertura della bocca che, oltre ad essere enorme, ha un angolo di apertura di 150° e, da spalancata, una distanza di oltre 1 metro tra le due labbra.
Al Safari di Pombia l'Ippopotamo era recintato, non si corre dunque il rischio di essere caricati.
In natura esiste un'altra specie di Ippopotamo (Hexaprotodon liberiensis), che è di dimensioni assai più contenute e vive, invece che nella Savana, nelle foreste tropicali della Guinea e dell'Africa equatoriale occidentale.

Ippopotamo safari pombia

Sbadiglio Ippopotamo



Il secondo, ed ultimo, erbivoro "non libero" del Safari è l'Elefante. In Africa esistono due specie di Elefanti: una prima specie (Loxodonta africana), di dimensioni maggiori, vive nella Savana, mentre la seconda (Loxodonta cyclotis) vive nelle foreste dell'Africa equatoriale.
L'Elefante è l'animale terrestre più grande al Mondo e, un maschio adulto, può pesare anche 5 tonnellate. Sono dotati di una lunga proboscide che funziona sia "da braccio", per afferrare erba, foglie e frutti, sia da "pompa d'acqua", con cui potersi fare una sana doccia.
L'Elefante Africano è più aggressivo e meno addomesticabile dell'Elefante Asiatico (Elephas maximus), vive in grossi gruppi in cui vi è un forte attaccamento tra i membri.
Sono degli ottimi "camminatori" e percorrono molti chilometri in cerca di acqua. La vita media di un elefante si attesta attorno ai 70-75 anni.
In natura, sia gli Elefanti, che gli Ippopotami, sono prede dei Leoni solo in casi di estrema carestia. Questi due erbivori possono tranquillamente uccidere il ré della Savana.

Elefante safari pombia






Fin qua abbiamo parlato di mammiferi, ma il reparto erbivori vedeva al suo interno anche degli Uccelli. Tra questi saltano all'occhio gli Struzzi (Struthio camelus), i più grossi uccelli al mondo. Questi uccelli possono superare i 100 kg di peso e sfiorare i 3 metri di altezza, queste dimensioni non consentono loro di spiccare il volo, ma compensano con una corsa molto veloce (fino a 70 km/h).
Le loro gambe muscolose e slanciate, insieme al collo lungo, me le fa associare a delle "Giraffe a due gambe". Si nutrono di erba e vegetali, ma non disdegnano neppure piccoli vertebrati.
Vi erano anche dei Pellicani, in natura ne esistono 8 diverse specie, quelli presenti credo potessero essere i Pellicani Bianchi comuni (Pelecanus onocrotalus). Questi volatili sono strettamente vincolati all'acqua e vivono in prossimità di laghi, dove si cibano di piccoli pesci e crostacei.

Struzzo safari pombia

Pellicani Pombia zoo


Finito il tragitto con gli erbivori ci si accinge ad entrare in quello dei Carnivori. Le due zone sono separate da due grossi cancelli, distanziati da un breve corridoio di sicurezza.
I primi felini che notiamo sono dei bellissimi Leoni (Panthera leo), che si muovono silenziosi tra la vegetazione, mentre un altro gruppo ozia all'ombra di un albero. In natura i Leoni vivono in branco, la caccia è prevalentemente relegata alle femmine e la vita media è di circa 15 anni.
Di vecchiaia morirebbero anche 10 anni dopo ma, allo stato selvaggio, i vecchi leoni vengono spodestati dagli arzilli giovani leoni tramite lotte, spesso letali.
Visti lì, in quel contesto, la cosa che più mi colpì fu la delicatezza con cui si muovono e quanto ben siano mimetizzati con l'erba arsa dal Sole.
Poco più avanti troviamo un gruppetto di Tigri (Panthera tigris), sicuramente un comportamento forzato dato che, diversamente dai Leoni, tendono a non avere vita sociale.
Sapevate che Tigri e Leoni possono accoppiarsi? In natura, avendo due habitat diversi (i Leoni in Africa, le tigri in Asia), non avviene, ma in cattività si sono ottenuti le Ligri (Leone maschio x Tigre femmina) e i Tigoni (Tigre maschio x Leonessa).
La Ligre, pesando oltre 300 kg, è il felino più grosso al mondo, essendo più pesante dei suoi genitori.

Leone Zoo pombia

Leoni safari pombia

Tigri Zoo Pombia
Tigre Safari Pombia




La sicurezza è garantita, vicino ad ogni felino c'è una Jeep con all'interno un osservatore che, qualora ci fosse qualche problema, potrebbe intervenire tempestivamente.
Dopo i grandi carnivori arriviamo in una zona in cui pascolano degli animali simili a tori, ma con corna di lunghezza spropositata, a forma di semiluna, rivolte verso l'alto. Facendo una breve ricerca ho scoperto che l'animale in questione è il Bue dei Watussi, una particolare razza di Toro (Bos taurus) addomesticata dalle tribù africane. Sebbene docili e mansueti, fa una certa impressione vederseli passare a pochi centimetri dalla macchina.
Nello stesso scompartimento era presente anche un Leopardo (Panthera pardus), chiamato anche Pantera, probabilmente questa specie, soprattutto se sazia, ci pensa bene prima di attaccare i Buoi dei Watussi.
Prima di concludere il percorso, sulla sinistra, vi è una gabbia con all'interno delle scimmie "dal sedere rosso", credo possano essere dei Macachi.

Bue Watussi Safari Pombia
Leopardo Zoo Pombia

Scimmie Zoo Pombia



Insetto Foglia Secca pombiaUna volta finito il giro è finito tutto? Ovviamente no, in primisè possibile ripetere il "tour Safari" quante volte si vuole e poi vi è ancora molto altro. Ci sono diverse attrattive, di cui solo poche a pagamento. Compreso nel prezzo vi è la Ruota panoramica, la Nave dei Pirati ed altre giostre.
Si è immersi in un parco giochi davvero ben curato in cui ai trenini o ai Go-kart, si intervallano punti ristoro e varie sezioni di Zoo.
Sempre gratuitamente c'è la zona Acquario, in cui sono presenti specie provenienti da tutto il mondo, tra cui spiccano delle vivaci Razze. C'è una zona dedicata gli insetti, alcuni dei quali davvero particolari, come l'Insetto Foglia Secca (Extatosoma tiaratum) che, come suggerisce il nome, si mimetizza perfettamente tra le foglie secche; inoltre ci sono molte specie di Tarantole, Ragni ed altro ancora. Ovviamente non poteva mancare la zona dedicata ai Rettili, in cui si poteva osservare il Coccodrillo delle Everglades (Florida), così come Cobra, Boa, Pitoni ed Iguane.

Coccodrillo zoo pombia

Serpente zoo pombia

Geco Zoo Pombia




Sebbene sembri già tanto, non è tutto; infatti una delle sezioni che più ho apprezzato è stata quella dei Rapaci. Verso le 13 (ma probabilmente ci sono più spettacoli al giorno) ci fu una dimostrazione. Purtroppo quel giorno il vento soffiava forte e, per motivi di sicurezza, Falchi, Aquile ed altri rapaci di alto volo, non potettero esibirsi.
Ciò nonostante lo spettacolo offerto dagli Avvoltoi, dai Gufi e da altri uccelli di cui ora non ricordo il nome, fu avvincente. Gli Avvoltoi sono veramente enormi, con un'apertura alare notevole che permette loro di coprire grosse distante con un sol battito di ali. C'erano due falconieri ai due lati dell'arena, offrendo alternativamente della carne, l'avvoltoio volava da parte a parte afferrando il cibo. Uno spettacolo simile fu offerto dal Gufo; ciò che più sorprende di questo animale, oltre all'angolo di movimento del collo, è la silenziosità del suo volo; un particolare piumaggio permette loro un volo impercettibile, indispensabile per catturare le sue prede nella quiete notturna.
Un'altra dimostrazione è stata offerta da un volatile spazzino. I due addetti nascosero del cibo nel terreno e lo misero sotto delle pietre voluminose, l'uccello fiutando trovò la loro posizione e con i possenti artigli alzò le pietre (probabilmente più pesanti di lui), mangiando il cibo sotto di esse nascosto. Il rammarico è stato quello di poter osservare Falchi ed Aquile solo nelle loro gabbie.
Carino, anche se meno di quello appena descritto, fu lo spettacolo dei Cavalli che, sotto note spagnole, trottavano a tempo di musica.


Gufo Zoo Pombia

Aquila Zoo Pombia



In ultimo vorrei menzionare i Lemuri (Lemur catta); la gabbia in cui sono presenti è accessibile al pubblico, siamo quindi noi ad entrare in gabbia e questo permette una visione ravvicinata. I Lemuri sono dei primati di piccola taglia, endemici dell'isola del Madagascar, hanno una particolare coda, lunga e colorata ad anelli bianco e neri, alternati. In natura vive in branchi composti da 20-30 individui, si nutrono prevalentemente di frutta e semi, ma talvolta anche di insetti. Allo Zoo di Pombia, l'incontro ravvicinato, permette di osservare la loro naturalezza nell'arrampicarsi e nell'usare la lunga coda come fosse l'asta degli equilibristi.

Lemuri Zoo Pombia



Se si vuole vedere per bene tutto ciò che il Safari di Pombia offre, ci vuole una giornata intera e i 17 euro richiesti, valgono pienamente ciò che viene offerto.
Quindi per la prossima gita, fateci un pensierino.

Giraffa Safari Pombia

Dove Coltivare l'Abete Rosso (Picea abies o Picea excelsa) ?

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L'Abete Rosso (Picea abies o Picea excelsa), detto anche Peccio, è una conifera che cresce spontanea su tutto l'Arco Alpino (specialmente in Alto Adige) e, in maniera più isolata, anche sull'Appennino, ad esempio quello tra la Toscana e l'Emilia Romagna.

Come si coltiva l'Abete Rosso? Quali caratteristiche climatiche sopporta? Può crescere in pianura?

L'Abete Rosso, oltre che sulle montagne italiane, è ampiamente diffuso in Scandinavia, Russia, Nord America e nell'Europa centro-settentrionale. Tutte queste zone hanno in comune una cosa: inverni freddi ed estati tiepide e piovose.
Questa specie, infatti, forma boschi omogenei (Peccete) o misti (con Abeti Bianchi e/o Larici), solo in zone con queste caratteristiche climatiche.

Rami picea excelsa



Botanica e Fisiologia :

L'Abeto Rosso (Picea abies) è una conifera sempreverde ed appartiene alla famiglia delle Pinaceae. Le sue origini si collocano nell'Europa a clima boreale, dove tutt'oggi prospera e prolifera. 
Il Peccio è una pianta imponente, che può raggiungere, e a volte superare, i 50m (164 ft) di altezza, con una larghezza di circa 10 m (32 ft) ed un tronco che, alla base, può occasionalmente arrivare ad un diametro di 2 m (6,5 ft).
L'Abete Rosso è una delle piante più longeve al mondo, analisi al carbonio-14 fatte sulla parte interna (e quindi morta) di vecchi esemplari, hanno dimostrato che queste piante possono avere età superiori ai 1000 anni ed abeti plurisecolari sono comuni su tutte le Alpi.
In Svezia, la datazione fatta sulle radici di un Abete Rosso, ha stimato un'età di oltre 9500 anni, facendolo diventare il più antico essere vivente al mondo.
Il tronco di questo Peccio ha, in realtà, "solo" 600 anni ma, nel corso degli anni, la pianta si è mantenuta in vita tramite propagazione clonale. In altre parole, se la parte aerea della pianta moriva, le radici emettevano polloni che, nel giro di pochi anni, rigeneravano la chioma.
Leif Kullman, lo studioso che scoprì questo Abete, lo battezzò con il nome di Old Tjikko, in memoria del suo defunto cane.
Il Peccio possiede una chioma a forma piramidale, molto stretta all'apice e con i rami principali che "puntano" verso l'alto. Il portamento, tuttavia, è influenzato dall'altitudine : gli Abeti che crescono in zone Alpine di bassa montagna tendono ad assumere una forma più allargata, mentre quelli che crescono ad alte quote hanno una chioma più stretta e slanciata, che conferisce loro una maggiore resistenza agli stress meccanici indotti dalla neve.
Gli aghi degli Abeti Rossi hanno una particolare sezione quadrata e sono lunghi fino a 3 cm (1.2 in). Picea abies è una specie monoica, presenta dunque sia fiori maschili che femminili, anche se, essendo l'Abete una Gimnosperma, sarebbe più giusto chiamarli coni o sporofilli. Entrambi i coni sbocciano in primavera, tra aprile e giugno a seconda dell'altitudine e della latitudine. Gli sporofilli femminili, dopo la fecondazione, si trasformano in pigne (strobili) dalla forma allungata che, a maturazione, virano dal colore verde a quello marrone e cadono a terra, disperdendo i semi.
Le radici dell'Abete Rosso sono inizialmente fittonanti, ma si trasformano ben preso in radici fascicolate. Le radici del Peccio, rispetto a quelle di molte altre conifere, sono superficiali ed espanse. La scarsa profondità, in zone particolarmente ventose, può portare all'abbattimento delle piante.
La corteccia è inspessita, di colore rossastro (anche se con gli anni tende ad imbrunirsi), squamosa ed adatta a proteggere la pianta dal freddo.

Chioma Picea abies



Coltivazione, Cure e Clima :

L'Abete Rosso, sulle Alpi, cresce preferenzialmente ad una quota compresa tra i 1200 e 1800 metri (3940-5900 ft), ciò nonostante, almeno nel Nord Italia, può essere coltivato anche in zone collinari o addirittura pianeggianti, dove però potrebbe svilupparsi con maggiori difficoltà.
Il Peccio, pur essendo moderatamente resistente alla siccità, gradisce un'elevata quantità di acqua anche durante iltrimestre estivo  e temperature calde, ma non torride; la specie è quindi poco adatta al clima mediterraneo, tipico di molte regioni italiane.
In compenso la sua resistenza al freddo è al quanto elevata e la sua crescita è possibile fino a zone USDA 2 che, come potrete leggere qua, equivalgono a temperature inferiori ai -40°C (-40°F).
Picea abiesè una specie eliofila, gradisce dunque esposizioni in pieno sole. Il terreno idealeè quello di montagna, ovvero fresco, umido e, tendenzialmente, acido, mentre non tollera salinità nel suolo.


Ruolo ed Utilizzi :

L'Abete Rosso può essere utilizzato a diversi scopi: in primis è una specie particolarmente adatta per ripristinare zone disboscate o per colonizzare terreni poveri di nutrienti. Il suo uso in selvicolturaè indicato, in quanto la specie attecchisce facilmente e, con la sua chioma, interrompe la continuità del manto nevoso, limitando di fatto le valanghe.
Il legno dell'Abete Rosso ha caratteristiche che lo rendono molto richiesto nell'ambito dell'edilizia, ma anche per la costruzione di strumenti musicali; inoltre, dalla sua resina si possono ricavare preparati cosmetici e anche lozioni curative, infatti, questa resina era già usata dagli indiani d'america per combattere abrasioni e scottature.
In ultimo, una volta adornato con lampadine luminose, può anche essere utilizzato come "Albero di Natale" per esterni o, se coltivato in vaso, anche per interni.

Pigne immature Abete rosso

Aghi Abete Rosso


Qual è la Pianta della Menta? Come si Coltiva?

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Tutti noi abbiamo mangiato almeno una volta un ghiacciolo alla Menta, ma da dove proviene la Menta? Com'è fatta la Pianta della Menta? Dove cresce e come si deve coltivare?

La Menta (Mentha in Inglese) è una pianta aromatica particolarmente resistente alle avversità climatiche che, in certe circostanze, può diventare addirittura infestante.
Il genere Mentha comprende al suo interno almeno 13 specie (la distinzione tra le specie è argomento tuttora controverso), diversi ibridi naturali ed innumerevoli varietà.
La Menta non ha una distribuzione specifica e le diverse specie crescono più o meno in tutti i continenti, preferendo le zone continentali a quelle tropicali.
La sua origine, sebbene non vi sia parere unanime, sembra essere europea ed il suo utilizzo era noto già ai tempi dei Greci e dei Romani.

Mentha piperita



Nelle prossime righe, per comodità, mi riferirò alla specie Mentha piperita, una delle più coltivate al mondo; tuttavia molte caratteristiche fisiologiche e botaniche sono condivise da quasi tutte le altre specie.


Botanica e Fisiologia :

La Menta fa parte della famiglia Lamiaceae (o Labiate), è una pianta erbacea, generalmente perenne. Il suo sviluppo lo si potrebbe considerare una via di mezzo tra quello del Basilico e del Timo, nel senso che, come il primo, non lignifica e d'inverno non lascia tracce di sé, ma, come il secondo, è una pianta che non è stagionale e, in primavera, risorge senza alcun problema, rigenerando foglie e fusti.
La specie più comune, e particolarmente diffusa nel Nord Italia, è la Mentha piperita. Questa è in realtà un ibrido inglese ottenuto incrociando le specie Menta viridis con la Menta acquatica e si distingue in Menta Nera (dagli steli rossastri e scuri) e Menta Bianca.
La pianta della Menta ha spesso un portamento prostrato e, di norma, raggiunge un'altezza compresa tra 40 cm e 90 cm (15-34 in), per contro si espande molto velocemente ed i suoi tralci possono trovarsi a diversi metri di distanza dalla posizione in cui è stata piantata.
Le foglie della Menta sono a ovali, lunghe circa 5 cm (2 in), di color verde scuro, con venature marcate e ricoperte da una sorta di peluria. Queste foglie sono particolarmente aromatiche ed emanano un forte odore e, se strofinate, impregnano le mani della loro essenza.
I fiori, numerosi e di piccole dimensioni, sono riuniti in un'infiorescenza a forma di spiga, situata all'apice della vegetazione. I fiori hanno un colore che spazia dal bianco al viola e, in molte specie, sono sterili.
La fioritura della Menta, in Italia, avviene in estate (Agosto), ma si può protrarre anche fin all'inizio dell'autunno. Essa è dunque scalare ed inizia sempre dalla parte basale dell'infiorescenza, mentre i fiori all'apice sono gli ultimi ad aprirsi.
Il frutto, qualora la specie non fosse sterile, è un formato da 4 acheni, con relativi semi.
In natura, la Menta si riproduce tramite l'emissione di stoloni che, radicando a contatto con il suolo, generano una nuova pianta, distante dalla pianta madre; questo meccanismo riproduttivo lo avevamo già incontrato parlando delle fragole.

Infiorescenze Menta



Coltivazione, Clima ed Esposizione :

La Menta è una pianta aromatica molto facile da coltivare sia in vaso, sia nell'orto ed, anzi, in quest'ultimo, se lasciata allo stato brado e senza interventi di potatura, potrebbe espandersi fin troppo.
La Mentha piperita, grazie alla sua buona resistenza al freddo, si può coltivare quasi ovunque in Italia.
Sebbene le prime gelate autunnali brucino sia foglie che fusti, i rizomi della Menta possono sopravvivere a temperature minime di -20° C (-4° F) e, se vi è copertura nevosa, anche a temperature inferiori.
Benché la crescita dei germogli possa avvenire anche con pochi gradi sopra zero, per una crescita apprezzabile sono necessarie temperature di almeno 10° C (50° F), mentre la temperatura ottimale di sviluppo è attorno ai 28° C (82° F) di giorno e 18° C (64° F) di notte.
La Menta preferisce un'esposizione a mezz'ombra ma, diversamente da altre piante aromatiche, si sviluppa piuttosto bene anche all'ombra. Se posizionata in pieno Sole la crescita è ridotta, ma l'accumulo di sostanze aromatiche all'interno delle foglie è superiore.
Questa specie ha un apparato radicale espanso, ma superficiale; per questo motivo è una pianta particolarmente avida di acqua e richiede abbondanti innaffiature estive o una buona pacciamatura.
La crescita della Menta è vigorosa ed estremamente rapida, in una stagione può "allungarsi" per metri e potature (o meglio zappature) di controllo sono vivamente consigliate.
Questa aromatica è facilmente coltivabile in vaso e si moltiplica tramite stoloni o per talea, più raramente si moltiplica per semina, anche se i semi sono scarsamente germinabili.
La Menta cresce su più terreni, tuttavia preferisce quelli fertili, ricchi di humus, freschi, umidi e a pH leggermente acido, come quelli tipici delle zone ombrose. Sarebbe meglio evitare quelli argillosi o troppo pesanti.
La Menta è attaccata da diversi funghi patogeni come la Puccinia menthae che causa la Ruggine, e da altri patogeni che ne limitano lo sviluppo e la produzione delle sue essenze.
Anche le limacce possono rappresentare un'avversità, queste lumache sono infatti ghiotte delle foglie di Menta che, inoltre, crescono proprio nel sottobosco umido, l'habitat ideale di questi molluschi.


Altre specie di Menta :

Come accennato all'inizio dell'articolo tra specie, ibridi e varietà esistono decine e decine di "tipi" di Menta, non sempre facilmente distinguibili.


  • Menta Poleggio (Mentha pulegium): specie"nana", con un sviluppo più contenuto. Le foglie sono grigiastre ed emanano un odore molto intenso, in antichità era usata per scacciare le pulci.
  • Mentastro (Mentha spicata), questa specie cresce lungo i fiumi e ruscelli, diversamente dalle altre specie, ha un odore intenso, ma poco gradevole per gli esseri umani.
  • Menta Campestre (Mentha arvensis), tipica delle zone di bassa montagna del centro Italia, ha la caratteristica di non avere fiori apicali, ma solo all'ascella delle foglie.
  • Menta Silvestre (Mentha longifolia), la si trova in montagna, ha foglie chiare, dalla forma e dimensione variabile.
  • Menta della Corsica (Mentha requienii), specie rara, endemica della Corsica e della Sardegna, si caratterizza per avere foglie molto più piccole delle altre specie ed un'altezza dei fusti molto esigua, rendendo la pianta quasi tappezzante.


Utilizzi e Proprietà :

Le foglie della Menta sono utilizzate nella preparazione di innumerevoli pietanze e bevande. Il suo aroma "fresco", la rende particolarmente indicata per produzione di cocktail (es. il Mojito ) o di Tè verde, ma anche per insaporire piatti a base di carne o pesce.
La sensazione di freschezza e di pulizia, la rende ideale per dare gusto a caramelle, gelati e ghiaccioli. In ultimo, poche altre cose sono dissetanti come un bel bicchiere di latte e menta.
Il Mentolo, estratto dalle foglie, ha proprietà antibatteriche ed, in medicina, è usato come analgesico per ridurre il mal di testa o lievi crampi. Gli estratti di menta sono impiegati anche nella produzione di collutori e dentifrici ed aiutano a combattere l'alitosi ed il mal di gola.


Foglie Menta

Fiori Menta

Disegno Menta




Che Cosa Vedere sul Lago Maggiore e Dintorni?

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Il Lago Maggiore (o Verbano) è uno dei tre grandi laghi Alpini del Nord Italia, esso divide la Lombardia (provincia di Varese) dal Piemonte (provincia Novara e Verbania) e, nella parte più a Nord, sconfina in territorio Svizzero. 
Con i suoi 65 km, il Verbano è il lago più lungo d'Italia, mentre, con i suoi 370 m di profondità, è secondo solo al Lago di Como.
Questo angolo d'Italia racchiude al proprio interno diversi microclimi e, nella parte più settentrionale, dove il lago si allarga e le montagne si innalzano in prossimità delle rive, si crea un clima di tipo mediterraneo, almeno per quanto riguarda le temperature minime invernali che, nei punti più riparati, raramente scendono sotto gli 0° C (32° F).


Ma cosa c'è da visitare sulle sponde del Lago Maggiore? Quali sono i 10 luoghi da non perdere? Cosa si può fare in Estate ed in Inverno?


Qui di seguito elencherò, senza ordine d'importanza, ma solo indicativamente da Sud verso Nord, i 10 migliori posti da guardare sul Lago Maggiore:



1) La Rocca e il Castello di Angera :

Angera è una piccola cittadina (circa 5.000 abitanti), situata sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. 
Questa zona (Sud del Lago Maggiore) permette un'osservazione ampia sia del Lago, sia delle Alpi circostanti. Per queste ragioni, in epoche remote, la Rocca di Angera rappresentava un punto strategico, da cui osservare gli spostamenti dei nemici.
Il Castello di Angera fu edificato dai Longobardi già prima del X secolo, ma le mura furono rifatte nei secoli successivi ad opera della famiglia Visconti, che possedé la fortezza fino al 1449, anno in cui venne ceduta ai Borromeo, che tuttora ne sono i proprietari. 

A tutt'oggi il Castello di Angera è uno dei meglio conservati di tutta la Lombardia.

Il Castello è aperto al pubblico, al suo interno è ospitato il Museo della Bambola e del Giocattolo, un'esposizione con oltre 1000 bambole, collezionate a partire dal 1700.
Il Museo vuole ripercorrere le usanze ludiche e l'evoluzione delle stesse, nel corso degli anni, sia in Europa, che in altre civiltà.
Le restanti stanze del castello sono ricche di affreschi, dipinti ed arredamenti d'epoca e ci conducono alla torre posta alla sommità, posizione dalla quale si gode di un ottimo panorama a 360°.
All'esterno è possibile visitare il giardino, in stile medioevale, che circonda il Castello.

Rocca di Angera

Castello di Angera
2)  Arona e la sua Rocca :

Esattamente sulla sponda opposta ad Angera, si erge Arona, la più grande cittadina del Verbano meridionale.
Arona è molto curata e potrete fare una passeggiata di circa 2 km sul suo lungolago, oppure nel corso principale ricco di negozi o, in fine, addentrarvi nella cittadina alla scoperta delle sue chiese.
Tra l'altro vi è una zona caratteristica adibita all'attracco di piccole imbarcazioni. Questa è parallela al lungolago ed è come se fosse un marciapiede "a filo dell'acqua", su cui potrete passeggiare (se il livello del lago non è eccessivamente alto) e perché no, farvi un tuffo.

Di indubbio interesse è anche la Rocca di Arona che, oltre ad offrire un ottimo punto panoramico, permette di osservare quelle che sono le rovine dell'antico Castello di Arona, il tutto senza dover pagar alcun biglietto.
Questa fortezza era la "gemella" del Castello di Angera, fu infatti costruita nello stesso periodo e allo stesso scopo. Qui vi nacque San Carlo Borromeo (1538-1584). Purtroppo, nel 1800, Napoleone dette ordine di distruggerla e, oggigiorno, rimangono solo le mura.

Il Parco dei Lagoni di Mercurago (fraz. di Arona) è un'area protetta, accessibile solo a Piedi, che conserva, immersi nella natura selvaggia, i resti di un insediamento preistorico, risalente all'età del Bronzo.

Arona dall'alto

Mura Castello di Arona

Rocca di Arona





3)  La Statua del San Carlone:

San Carlo, una frazione collinare di Arona, ospita l'imponente statua in rame rappresentante San Carlo Borromeo.
Questo colosso, con i suoi 23,4 metri di altezza, è la statua più alta d'Italia e poggia su piedistallo di granito di 11,7 metri. L'altezza complessiva è dunque 35,1 m.
La sua costruzione, voluta dal cugino, l'Arcivescovo Federico Borromeo, iniziò nel 1624 e terminò nel 1698.
La Statua è aperta al pubblico e visitabile all'interno; tramite un scalinata quasi verticale, è possibile arrivare sino alla testa, da cui si può ammirare il panorama circostante.
Il San Carlone è la seconda statua al mondo per altezza, tra quelle visitabile all'interno. Essa è seconda solo alla Statua della Libertà di New York.

Scalinata Statua San Carlo Borromeo

Statua San Carlone



















4)  La Città di Stresa :

Questa cittadina, in provincia di Verbania, è la base di partenza sia per le Isole, che per il Mottarone (leggere più avanti).
Stresa è nota per i suoi lussuosissimi Hotels che, sfarzosi e maestosi, si affacciano sulle sponde del Lago. Parliamo di Hotels antichi e curatissimi e, per la gente comune, proibitivi. Non è raro che questi alberghi ospitino sceicchi, con tanto di servitù appresso.
La ricca Stresa è anche sede di congressi internazionali ed eventi di rilievo. Tuttavia, nelle viuzze che percorrono il suo centro storico, si può assaporare anche il lato plebeo della città.

Hotel di Stresa



5)  Le Isole Borromee :

Sebbene il Lago Maggiore conti ben 11 isole, l'Arcipelago delle Isole Borromee contiene quelle più famose ed estese.
Questo arcipelago è formato da 5 isole, anche se una è in pratica uno scoglio (Scoglio della Malghera o Isolino degli Innamorati) che, con il Lago alto, può scomparire, sommerso dalle acque. Un'altra isoletta (Isolino di San Giovanni) ospita un Palazzo Borromeo, ma è privato e non visitabile.
Le rimanenti 3 isole maggiori sono aperte al pubblico e facilmente raggiungibili tramite i traghetti.

L'Isola dei Pescatori, la più piccola delle 3, è stabilmente abitata da una sessantina di persone. Il Borgo antico è costituito da vicoli stretti e case con più piani, dotate di lunghi balconi che, un tempo, erano utilizzati per essiccare il pesce. Questa isola, dalla forma allungata e stretta, ospita la Chiesa di San Vittore, ampliata in stile gotico.

L'Isola Bellaè in buona parte occupata dal giardino botanico del Palazzo Borromeo, visitabile a pagamento. Quest'isola, come la precedente, ha un borgo antico molto caratteristico e, all'estremità, vi è una piccola piazza circondata da imponenti alberi.
Su quest'isola, anche grazie alla mitezza del Lago, è possibile coltivare diverse specie subtropicali e, quasi a guarda del grande Palazzo Borromeo, vi si possono osservare grossi esemplari di Palma Blu del Messico e Palma Cilena.

L'Isola Madreè la più grande del Lago Maggiore e, contrariamente alle altre due, è priva di un vero borgo, ma adornata da stupendi giardini dal gusto esotico. In totale libertà, tra le varie specie floricole, si possono trovare Pappagalli, Pavoni ed altri volatili.
Su quest'isola non ci sono bancherelle, bar e punti ristoro, come sulle altre isole, ma vi immergerete in un'atmosfera che definirei "senza tempo".

Isola Bella

Palazzo Borromeo
Palazzo Borromeo
Vicoli Isolee Borromee
6)  Il Mottarone :

Il Mottarone è la montagna interposta tra il Lago d'Orta e il Verbano. La sua vetta (1492 mt) è raggiungibile in macchina attraverso due strade, quella che passa da Armeno e quella passante per Gignese, quest'ultima è privata e, durante la bella stagione, si deve pagare il pedaggio. Inoltre si può raggiungere la cima anche tramite una funivia che parte da Stresa.
La peculiarità del Mottarone è quella di essere una montagna isolata, che permette la visione dell'Arco Alpino e delle sue Valli, della Pianura Padana e di molti laghi tra cui: il Lago di Varese, il Lago di Mergozzo, il Lago d'Orta, il Lago Maggiore, il Lago di Monate, il Lago di Comabbio.
In Inverno, al Mottarone, sono aperti gli impianti sciistici, che permettono di sciare in un panorama davvero unico tra le piste da sci.
In estate, invece, si possono fare stupende passeggiate o divertirsi con l'Alpine Coaster, un'attrattiva simile alle montagne russe in cui è il soggetto a decidere la velocità di discesa.

Verbania vista dal Mottarone



7)  L'Eremo di Santa Caterina del Sasso :

Questo monastero, un tempo raggiungibile solo via lago, è costruito a strapiombo sulla costa orientale del lago Maggiore, nel comune di Leggiuno (VA). Quest'eremo, incastonato tra l'acqua e le scoscese rocce, sembra quasi intagliato nella roccia.
Se si arriva via acqua, dal battello si può osservare l'eremo nella sua interezza. Dopo una breve scalinata si accede all'abbazia e l'atmosfera si fa mistica ed austera.
All'interno vi sono diversi affreschi, una chiesa che conserva i resti di un eremita vissuto qui centinaia di anni fa e un bel campanile, tuttavia non mancano attrezzi della vita comune, come un antico frantoio.
Peculiare è anche l'ascensore costruita, di recente, all'interno della roccia che, al costo di 1 euro, permette di raggiungere il paesino sovrastante, evitando la scalinata.
L'Eremo di S. Caterina è piuttosto piccolo e si visita in meno di un'ora, ma la suggestività del posto, ripaga lo sforzo del raggiungimento.

Eremo Santa Caterina del Sasso

Eremo Santa Caterina del Sasso

Scalinata Eremo S. Caterina

Frantoio Eremo Santa Caterina

Salma Chiesa Eremo Santa Caterina



Affreschi Eremo Santa Caterina

8)  Orta San Giulio ed i Sacri Monti :

Questa località, in realtà, non si trova sul Verbano, ma nel vicino Lago d'Orta. L'omonima cittadina sorge sulla riva orientale, all'estremità di un piccolo promontorio che giunge sino al lago.
Il centro storico di Orta è chiuso al traffico ma,  parcheggiando alla sua periferia, è facilmente raggiungibile a piedi. Questo borgo è composto da strette viuzze molto pittoresche e ricche di arte, mentre dalla piazza principale è possibile imbarcarsi per la vicina Isola di San Giulio, la quale ospita al suo interno l'abbazia Mater Ecclesiae, in cui i monaci benedettini lavorano, studiano e traducono antichi testi religiosi.
Il lungolago di Orta è molto lungo e man mano ci si allontana dal centro e più le case si fanno rade e la strada stretta, lasciandoci immersi nella vegetazione che costeggia il lago. Proseguendo si giunge fino a Villa Crespi, ora adibita ad Hotel e Ristorante (gestito dallo Chef Antonino Cannavacciuolo).
Il facoltoso imprenditore tessile Cristoforo Crespi (noto ai più per aver fondato lo Stabilimento "Crespi d'Adda", ora patrimonio dell'Unesco), fece costruire questa villa in stile moresco, come sua residenza estiva.
Villa Crespi, terminata nel 1879, porta in Italia uno stile tipico dei paesi Islamici (si ispirò alla città irachena di Baghdad), con i suoi stucchi ed intagli arabeggianti.

Il Sacro Monte di Ortaè uno dei nove Sacri Monti sparsi tra Piemonte e Lombardia, patrimoni dell'Unesco.
Su questo monte, situato all'apice della penisola su cui sorge Orta, vi sono 20 cappelle che, nascoste tra la vegetazione, raffigurano l'esperienze di vita di San Francesco d'Assisi.

In fine, per chi avesse ancora tempo, suggerisco di vedere la cittadina di Omegna che, soprattutto d'inverno, è particolarmente romantica.

Orta San Giulio

Lungolago Orta San Giulio

Isola San Giulio

Villa Crespi Orta

Sacro Monte di Orta

Dipinto Interno e Statue Cappella Orta

Affresco Cappella Sacro Monte Orta



9)  Verbania e Villa Taranto :

Verbania, il capoluogo più piovoso d'Italia, è la città più popolosa del lago Maggiore. Questa è in realtà formata dall'unione (voluta da Mussolini nel 1939) di due Comuni, quello di Intra e di Pallanza.
Verbania è situata nel Golfo Borromeo, sulla sponda piemontese del Verbano, di fronte a Stresa. La visuale dell'intera città è osservabile dal Mottarone.
La città ospita diversi punti d'interesse e monumenti nazionali, come la Chiesa di Madonna di Campagna (in stile rinascimentale), l'oratorio di San Remigio (stile romantico), la Basilica di San Vittore, nonché il Mausoleo contente la salma del General Luigi Cadorna.

Villa Taranto sorge all'interno di un maestoso giardino (16 ettari), adibito ad orto botanico. Questo ospita centinaia di specie vegetali provenienti da tutto il mondo, alcune delle quali molto rare.
Il percorso si snoda attraverso un sentiero ai cui margini possiamo osservare imponenti alberi, così come fiori (come nel peculiare "labirinto delle Dahlie"), passando attraverso serre, fontane e piscine adibite alla coltivazione di Ninfee, oltre al Mausoleo in cui si trovano i resti di Neil Boyd Watson McEacharn, il capitano Inglese che ideò questi giardini.

Tomba General Cadorna Verbania

Villa Taranto Verbania

Giardini di Villa Taranto

Fontana di Villa Taranto





10)  Castelli di Cannero e Cannobbio :

Cannero Riviera deve il suo nome alla mitezza del luogo, infatti Cannero è il posto più mite dell'intero lago Maggiore. Qui crescono all'aperto molte specie di Agrumi, che potrete osservare in una bellissima esposizione, aperta al pubblico.
Inoltre il lungolago, tramite cui si può accedere alle bellissime spiagge, è impreziosito da diverse specie di Palme e piante tipicamente Mediterranee.
Cannero e la vicina Cannabbio sono anche rinomate per la pulizia delle loro acque, le loro spiagge sono infatti Bandiera Blu e, in estate, sono un'ottima meta per tutti i bagnanti.

Tra Cannero e Cannobbio vi sono tre isolotti (poco più che scogli) su cui vi sono i resti di antiche fortezze, appunto i Castelli di Cannero. Questo scorcio di lago, dal sapore quasi fiabesco, riporta alla mente paesaggi medioevali e ben si presta come oggetto per gli amanti della fotografia.

Castelli di Cannero



La  sponda Piemontese (denominata sponda ricca) è quella più abitata, "mondana" e con maggiori reperti storici. La sponda Lombarda (sponda povera) è invece più selvaggia e scoscesa, con meno grosse città. Nella parte svizzera merita di essere vista Locarno ed Ascona.

P.s.

Sebbene non sia sul lago, a poca distanza da Arona, vi è il Safari Park di Pombia, che consiglio vivamente di visitare.

Stresa

Papera Lago Maggiore


Cosa Sono le Felci? Che Caratteristiche Hanno?

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Le Pteridofite (Pteridophyta), divisione a cui appartengono anche le Felci, sono comparse nel Devoniano (circa 400 milioni di anni fa) e rappresentano un passo fondamentale per l'evoluzione delle piante superiori (Gimnosperme ed Angiosperme).

Le Felci, botanicamente, le potremmo definire come lo stadio intermedio tra le Briofite (muschi) e le Gimnosperme (conifere). Queste piante, infatti, sono le prime ad avere un sistema vascolarizzato e tutti gli organi di una pianta (radici, fusto, foglie etc.), ma non hanno ancora sviluppato i tipici organi riproduttivi come fiori, frutti e semi
Le Pteridofite vengono anche chiamate Piante Crittogame Vascolarizzate: crittogame in quanto, come muschi, alghe e licheni, prive di organi riproduttivi visibili, vascolarizzate in quanto, a differenza di questi ultimi, hanno un sistema di vascolarizzazione.
Le Pteridofite, a cui appartengono anche gli Equiseti, Licopodi e Selaginelle, sono le prime piante ad assumere una forma eretta (più o meno marcata a seconda delle specie), a svincolarsi dall'ambiente acquatico e, grazie alla vascolarizzazione (e quindi la possibilità di trasportare meglio i liquidi), ad assumere maggiori dimensioni.

Pteridofite



Come Coltivare le Felci? Dove Crescono? Quali Specie Sono Diffuse in Italia?

Rispondere a questa domanda è assai complesso, infatti esistono oltre 10.000 specie di Felce, distribuite in tutte le zone umide del mondo, dalle fasce tropicali, a quelle temperate fredde. Poche specie riescono a spingersi ancora più a Nord, ai confini tra la Taiga e la Tundra.
In Italia ed in Europa, la maggior parte delle specie di Felce, hanno dimensioni contenute e non superano i 2 m (6 ft) di altezza, mentre nelle foreste tropicali possono raggiungere dimensioni ben più considerevoli.

Tutte le Felci hanno però una matrice comune, sono piante che amano ambienti umidi, tipici dei boschi decidui, così come delle foreste pluviali. Inoltre, essendo piante da sottobosco, amano un'esposizione ombreggiata o, al più, a mezz'ombra.
Quindi, qualora volessimo coltivare delle Felci, dovremo trovar loro un habitat quanto più simile all'originale, vanno bene esposizioni a Nord rispetto ad alti edifici o muri, oppure all'ombra di grandi alberi.
Se esposte in pieno sole, la maggior parte delle Felci soffrono e le foglie tendono a bruciarsi. Un loro sviluppo, in posizioni soleggiate,  è possibile solo in montagna.
Questa attitudine a crescere in zone ombrose, dove la fotosintesi è ridotta, è attribuibile alla loro fisiologia; infatti, non dovendo produrre né fiore né frutti, hanno un minor fabbisogno energetico, rispetto alle piante più evolute.

Le innaffiature devono essere frequenti, ma non eccessivamente abbondanti. Le Felci, anche per via dell'apparato radicale poco espanso, hanno un elevato fabbisogno idrico; tuttavia, se collocate in zone ombrose, dove i raggi del Sole non toccano quasi mai il suolo, si può creare un ambiente umido e ricoperto di muschio, che riduce il numero delle innaffiature necessarie.

Alcune specie come Dryopteris erythrosoraCystopteris fragilis, hanno un'elevata resistenza al freddo, e possono sopportare temperature minime inferiori ai -20° C (-4° F). Le specie di Felci più resistenti al gelo mantengono le foglie durante l'inverno, le altre hanno un comportamento deciduo o semi-deciduo, seccando tutte o parte delle loro foglie.
Con questo tipo di Felci, conviene potare nel tardo autunno, eliminando tutte le foglie secche. In Primavera ricresceranno più vigorose di prima.

Felci in Inverno



Altre specie di Felci più tropicali, si prestano bene ad essere coltivate in appartamento, ciò nonostante bisognerà prendere degli accorgimenti.
In primis collocarle in una zona luminosa, ma non assolata, poi scegliere una posizione quanto più lontana da fonti di calore (termosifoni, stufe, fornelli, elettrodomestici) ed infine, per contrastare l'ambiente secco tipico delle case, nebulizzare le foglie con acqua e tenere umido il terreno.

In Italia sono presenti circa 120 specie di Felce, che crescono da Nord a Sud e dalla pianura, fino ad oltre 2000 m (6562 ft) di altitudine.
La Matteuccia struthiopteris, diffusa prevalentemente nei boschi del Nord Italia, è particolarmente ornamentale e facilmente coltivabile nei giardini del settentrione. Questa Felce cresce nelle zone fredde di Europa, Asia ed America e predilige terreni acidi e molto umidi, non a caso cresce sovente ai bordi dei ruscelli di montagna.

La Felce Aquilina (Pteridium aquilinum) è probabilmente la specie più diffusa in Italia, la si trova dalla Sicilia, fino al Trentino. Essa, a differenza di altre specie, è piuttosto resistente alla siccità, così come alle esposizioni assolate e può formare fitti boschi di Felci.
Tra le specie "temperate"è una delle Felci con maggiore sviluppo e può raggiungere un'altezza di oltre 2 metri (6.6 ft).
E' considerata una specie infestante nei Pascoli di alta montagna o dove ci siano terreni dissestati; inoltre le fronde della Felce Aquilina contengono un principio attivo che distrugge la Vitamina B1, rendendola tossica per gli esseri umani.

Foglie Felce



Botanica e Fisiologia :

Tranne per poche specie, prevalentemente tropicali, il fusto delle Felci è rappresentato da un Rizoma, un struttura modificata sotterrata, con funzioni di riserva.
Le foglie delle felci, anche se sarebbe più corretto chiamarle fronde, sono gli organi più appariscenti e, solitamente, gli unici che compongono la parte aerea.
Sebbene le fronde delle felci possano essere intere, buona parte delle specie possiedono fronde a forma pennata, assomigliando, lontanamente, alle foglie di alcune leguminose arboree (ad esempio Mimosa ed Albizia).
All'inizio della stagione primaverile, le fronde di nuova formazione sono arrotolate (circinnate), lo srotolamento (vernazione circinnata) comincia dalle parti più interne, proseguendo verso l'apice. Questo peculiare tipo sviluppo, comune alla quasi totalità delle felci, permette la protezione delle delicate estremità. In questa fase le fronde hanno una forma molto particolare, definita "a bastone pastorale", per via della somiglianza con il bastone usato dai Vescovi nelle cerimonie religiose più solenni.
Le foglie, nelle Pteridofite, hanno un doppio ruolo. Come in tutte le piante, avviene la Fotosintesi Clorofilliana ma, come vedremo più avanti, contengono anche gli organi riproduttivi.

Rizoma Felci
Germogliamento felce
Fronde Bastone Pastorale

Srotolamento fronde felci

Sviluppo Fronde




Ciclo Riproduttivo :

Qualcuno di voi si potrebbe essere domandato : "Se non hanno semi, come fanno a riprodursi le Felci?".
In realtà, le Felci, come tutte le Pteridofite, hanno un ciclo particolare in cui si alternano fasi Aploidi (n) a fasi Diploidi (2n).
Nella pagina inferiore delle fronde, raggruppati in strutture dette Sori, sono presenti gli Sporangi. Essi producono le Spore (n), ovvero cellule aploidi che, cadendo al suolo, possono germinare, sviluppando il Gametofito (o Protallo), anch'esso Aploide.
Il Protallo (n) può essere maschile, femminile o ermafrodita, a seconda che contenga organi maschili (anteridi), femminili (archegoni) o entrambi.
Da questi organi vengono prodotti i gameti maschili (n) e/o i gameti femminili (n); questi ultimi sono immobili. In questa fase l'acqua ricopre un ruolo cruciale, essa trasporta infatti i gameti maschili, sino ai gameti femminili. La loro fusione (fecondazione = n+n) genera lo Sporofito (2n) che è diploide e, nelle prime fasi del suo sviluppo, rimane ancorato al Protallo, nutrendosi a suo discapito.

Lo Sporofito è la forma "completa", e quella che comunemente intendiamo parlando di felci. Al completamento di questa fase, lo sporofito è in grado di riformare le spore che, trasportate dal vento, inizieranno un nuovo ciclo, che si ripete ormai da milioni di anni.
Sebbene in maniera secondaria, le felci possono moltiplicarsi anche per via vegetativa. Tipicamente tramite frammentazione del Rizoma e, in alcune specie, tramite l'estremità delle foglie che, a contatto col suolo, può dare origine ad una nuova pianta, geneticamente identica alla pianta madre.

Sori delle Felci
Ferns
Bosco Felci



Quando Inizia l'Autunno? Com'è il Suo Clima?

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L'autunnoè una stagione che, da sempre, ha suscitato negli uomini le sensazioni più profonde, ispirandolo alla composizione di poesie malinconiche o a disegnare quadri struggenti. 

Ma qual è il clima dell'Autunno in Italia? E nel Mondo?

Piante in Autunno



L'autunno astronomico inizia, a seconda degli anni, il 22 o 23 Settembre, nell'emisfero Boreale (di cui fa parte l'Italia) o il 20-21 Marzo, nell'emisfero Australe. 
Queste due date corrispondono agli Equinozi, ovvero i due giorni all'anno in cui il Sole, allo Zenit, sarà esattamente perpendicolare sopra la linea dell'equatore. 
In queste due date, si avranno lo stesso numero di ore di luce e di buio su tutta la Terra. (per maggiori dettagli cliccate qua).
L'equinozio di Settembre è spostato di un paio di giorni perché, durante l'Afelio (l'Estate in Europa), la rivoluzione terrestre è leggermente più lenta.
L'Autunno si conclude con il Solstizio di Inverno che, nell'emisfero Boreale, è il 21 o 22 Dicembre, mentre in quello Australe il 20-21 Giugno.

L'autunno meteorologico, invece, inizia il primo settembre e si conclude il 30 Novembre.

Le prossime righe potremmo leggerle accompagnati dalle dolci melodie dell'Autunno di Vivaldi.






L'autunno è la stagione che associamo alla vecchiaia, nonché quella che ci condurrà all'inverno. La mestizia di questa stagione non è solo Psicologica, ma anche fisica. E' noto che le ore di Luce influiscano sul rilascio di particolari ormoni che aiutano a tenere vivo il morale.

L'autunno è la stagione in cui, nelle zone temperate, si ha il maggiore decremento di ore di luce. Alle medie latitudini, intorno all'equinozio, le giornate si possono accorciare di circa 5 minuti al giorno e continuano a farlo (seppure sempre più lentamente) fino al Solstizio d'Inverno, giorno in cui, nell'Emisfero Nord, si avranno il maggior numero di ore di Buio.

Se all'inizio dell'Autunno le ore di Luce e di Buio sono circa 12h/12h in tutto il Globo, più si procede verso il Solstizio d'Inverno e più il loro rapporto (Ore Luce/Ore Buio) varia in funzione della Latitudine.
Più vicini si è all'equatore e più tenderà a rimanere costante, in questa zona, infatti, si hanno 12 h di luce tutti i mesi dell'anno. Andando verso i Poli le ore di luce saranno via via sempre meno, fino al 20-21 Dicembre.
In corrispondenza del Circolo Polare (67° N o S) il Sole sarà sotto l'orizzonte (zero ore di Luce), solo durante il Solstizio Invernale. Spostandoci ancora più verso i Poli, i giorni in cui il sole non salirà sopra l'orizzonte aumenteranno progressivamente, fino ad arrivare al Polo Nord o Sud, in cui il Sole rimarrà sotto l'orizzonte per 6 mesi.

La sensazione di "mancanza di Luce"è anche favorita dal ritorno, verso fine ottobre, dell'ora Solare. In questo caso, da un giorno all'altro, si perde un'ora di luce alla sera e la si guadagna al mattino, facendoci uscire dal lavoro ormai al tramonto.

Foglie in Autunno



Le  peculiarità climatiche della stagione autunnale, di cui parlerò a breve, sono tipiche dell'Italia e delle altre zone temperate, mentre si fanno via via meno marcate procedendo verso l'equatore.
Senza arrivare a scomodare lo zone equatoriali (in cui tutto al più si hanno stagioni piovose o secche), anche nelle zone Sub-tropicali non si può parlare delle 4 stagioni come siamo soliti farlo e le linee di demarcazione tra una stagione e l'altra sono decisamente meno marcate di quanto non avvenga oltre il 30° Nord o Sud.

L'autunno, in Italia, è considerato romantico anche per via dei suo colori. In tutta Europa, buona parte dei boschi, sono composti da specie decidue che, in Inverno, perdono le foglie. In Autunno, queste piante, si preparano alla brutta stagione e "smettono" di alimentare le proprie foglie.
Prima di cadere, esse, assumo colori rossastri, gialli o bruni per un tempo più o meno lungo a seconda della specie. Piante come la Betulla sono davvero ornamentali durante questa fase.
I segnali che inducono la caduta delle foglie sono la diminuzione delle ore di Luce (e quindi dell'energia ricavata tramite la fotosintesi) e l'abbassamento delle temperature.
Dato che questi due segnali variano anche (non solo) in funzione della latitudine, in Europa il periodo in cui le specie iniziano a perdere le foglie è piuttosto lungo, iniziando a Nord e spostandosi di giorno in giorno verso Sud.
Non c'è quindi da stupirsi se la stessa identica specie in Lombardia abbia già perso le foglie a fine ottobre, mentre in Sicilia inizi ad ingiallirle un mese più tardi.

Un discorso analogo lo si può fare anche con l'altitudine, ed è molto ben osservabile con l'unica conifera decidua delle Alpi, ovvero il Larice.
Il periodo di caduta dei suoi aghi è vincolato alla quota, più essa è alta, più precoce sarà la perdita.

Tuttavia non tutte le piante perdono le foglie ed anzi, molte specie Mediterranee, vedono l'autunno come la stagione ideale per la loro crescita. La siccità e le alte temperature estive avevano bloccato o rallentato il loro sviluppo, il ritorno di temperature più agevoli e delle piogge autunnali hanno innescato il risveglio. Non a caso molte specie presenti nella Macchia Mediterranea, fioriscono proprio in autunno (Corbezzoli, Carrubi etc.).

Foglie Gialle in Autunno



L'altro fattore "che cambia" in autunno sono le Temperature. L'inclinazione del Sole sopra l'orizzonte, di pari passo con la diminuzione delle Ore di Luce, si riduce gradualmente con l'avanzare della stagione.
Un Sole più basso è più debole, perché l'energia viene "concentrata" su una superficie maggiore, inoltre le ombre sono più lunghe e sempre più zone iniziano ad essere ombreggiate, anche nelle ore centrali della giornata.

Questo minor irraggiamento diurno e la maggior lunghezza della notte hanno come conseguenza il raffreddamento della superficie terrestre.
L'Autunno è più freddo in zone lontane dal mare e con clima continentale come la Pianura Padane, le Valli Alpine, le zone interne del Centro e quelle Appenniniche.

In questo mese, le acque del Mediterraneo si raffreddano più lentamente rispetto alla terra ferma. Le zone costiere, specie quelle adiacenti a mari profondi come il Tirreno, godono di Autunni particolarmente miti. Come avevamo visto altrove (vedi Post 1 e Post 2), l'acqua si comporta come un volano termico, rilasciando lentamente il calore accumulato durante l'estate.

Settembreè il mese in cui si inizia ad avvertire il cambio di stagione ma, specie al Sud, può avere ancora temperature prettamente estive. Questo mese, tra l'altro, è quello in cui le acque del Mediterraneo hanno raggiunto la loro massima temperatura.

Ottobreè il mese in cui l'Autunno è avvertito in tutta Italia, ma è ancora un mese "ballerino", in seguito a fronti freddi possono già verificarsi lievi brinate da irraggiamento al piano, ma sono frequenti le "Ottobrate", che fanno schizzare il termometro sopra i 20° C (68° F) in buona parte del Nord Italia. Al Sud le temperature possono essere ancora piacevoli, ma non più estive.

Novembreè forse il mese più mesto, fredde piogge e temperature massime bassine sono presenti in tutto il Centro-Nord Italia a clima continentale e le giornate sono tra le più corte dell'anno.
La Neve, inizia a cadere sulle Alpi a quote poco più che collinari, ma può occasionalmente cadere anche in pianura.

In Autunno ritornano le piogge, le prime perturbazioni atlantiche ben organizzate riescono ad invadere la nostra penisola, regalando acqua a zone che non ne vedevano da mesi.
Nelle regioni del Centro e Sud Italia, questa è la stagione in cui si registrano maggiori accumuli pluviometrici, mentre nel Nord Italia se la gioca con la primavera, a seconda delle zone.

Alcune zone, ad esempio il Genovese o la Liguria di Levante (La Spezia, 5 Terre etc..), sono soggette ad alluvioni e a veri e propri nubifragi che, nel giro di 24 h, possono far cadere al suolo l'acqua che normalmente cade in 6 mesi.

Di seguito le temperatura e precipitazioni medie di alcune località italiane, nel trimestre autunnale



Città
Mese
Temp. Min. Media
Temp. Max. Media
Pioggia (mm)

Torino
Settembre
12.7°C (54.9°F)
    23.0°C (73.4°F)
83.8
Ottobre
7.4°C (45.3°F)
    17.3°C (63.1°F)
106.1
Novembre
1.9°C (35.4°F)
    11.1°C (52.0°F)
69.1

       Genova
Settembre
17.9°C (64.2°F)
    24.4°C (75.9°F)
136.4
Ottobre
13.8°C (56.8°F)
    20.0°C (68.0°F)
171.3
Novembre
9.2°C (48.6°F)
    15.1°C (59.2°F)
108.8

Bologna
Settembre
14.8°C (58.6°F)
    25.4°C (77.7°F)
67.5
Ottobre
10.1°C (50.2°F)
18.6°C (65.5°F)
72.3
Novembre
4.3°C (39.7°F)
11.1°C (52.0°F)
68.0

Roma
Settembre
15.2°C (59.4°F)
26.5°C (79.7°F)
73.3
Ottobre
11.3°C (52.3°F)
21.4°C (70.5°F)
113.3
Novembre
6.9°C (44.4°F)
15.9°C (60.6°F)
115.4

Palermo
Settembre
20.1°C (68,2°F)
27.5°C (81.5°F)
65.3
Ottobre
16.7°C (62.1°F)
23.5°C (74.3°F)
105.6
Novembre
12.9°C (55.2°F)
19.0°C (66.2°F)
117.5

Ancona
Settembre
14.0°C (57.2°F)
24.5°C (76.1°F)
72.6
Ottobre
10.0°C (50.0°F)
19.4°C (66.9°F)
75.9
Novembre
5.7°C (42.3°F)
13.9°C (57.0°F)
86.0

L’aquila
Settembre
11.4°C (52.5°F)
24.7°C (76.5°F)
52.8
Ottobre
7.2°C (45.0°F)
18.4°C (65.1°F)
66.3
Novembre
3.3°C (77.9°F)
12.2°C (54.0°F)
91.3

Firenze
Settembre
14.4°C (57.9°F)
26.7°C (80.1°F)
79.6
Ottobre
10.1°C (50.2°F)
20.9°C (69.6°F)
104.2
Novembre
5.1°C (41.2°F)
14.7°C (58.5°F)
81.3


Ed infine un po' di dipinti riguardanti l'autunno.


Stapleton Park near Pontefract Sun – John Atkinson Grimshaw



Reaping time Robert Zünd

Fall woods Iwan Iwanowitsch Schischkin

Le vigne Rosse - Van Gogh


Arcimboldo - Autunno


La Palma Regina (Syagrus romanzoffiana), Come Coltivarla?

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Volete una Palma che sia esteticamente simile alla Palma da Cocco, ma vivete in Italia? 
Se la risposta è "Sì", allora la Palma Regina (Syagrus romanzoffiana o Arecastrum romanzoffianum), nota anche come Queen Palm o Cocos Palm, potrebbe essere la scelta giusta.

Come si deve coltivare la Syagrus romanzoffiana? Qual è la sua resistenza al freddo? Dove può crescere in Italia?

Syagrus romanzoffiana



Origine, Habitat e Diffusione :
Chioma Palma Regina

Questa maestosa ed elegante Palma è originaria del Sud America ed è distribuita su un'ampia area compresa tra il Brasile del Sud, Nord Argentina, Paraguay e Bolivia.
L'habitat nativo della Palma Regina è molto esteso e con differenze climatiche notevoli, anche se, nella maggior parte dei casi, prospera in zone forestali umide o sulla riva dei fiumi. Tuttavia la si trova, allo stato selvatico, anche all'interno di boschi con una netta stagione secca, così come in zone paludose o costiere. Sebbene cresca in pianura, talvolta si può spingere a quote collinari o di bassa montagna, ai margini delle foreste.
Oggigiorno la Syagrus romanzoffianaè diffusa, a scopo ornamentale, in molte zone tropicali e subtropicali della Terra ed è ormai naturalizzata in molte aree della Florida, Australia, Honduras ed in varie isole dell'Oceano Indiano. Questa specie è comune anche nel Sud della California ed in tutti gli stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico.
Nel Queensland, in Australia, la specie è catalogata come invasiva e cresce spesso nelle foreste di Eucalipti. Qui, anche se non vi è un divieto ufficiale, la sua piantumazione è sconsigliata e chi la volesse coltivare è tenuto, per legge, a minimizzare i rischi di diffusione (ad esempio, raccogliendo i frutti a terra, prima che vengano rubati dagli uccelli).
La Palma Regina è poco diffusa in Italia, la si ritrova sporadicamente qua e là, negli spazi verdi demaniali oppure nei giardini privati. In Liguria, una decina di esemplari crescono rigogliosamente all'interno dei Parchi di Nervi (Genova).

Chioma Queen Palm

Stipite Syagrus romanzoffiana

Foglie Palma Regina



Botanica e Fisiologia :

La Palma Regina appartiene alla famiglia delle Arecaceae (o Palmaceae) ed alla tribù delle Cocoseae, di cui fanno parte anche la Palma da Cocco e la Palma del Cile.
Il suo nome scientifico ha avuto però un iter piuttosto travagliato: inizialmente le fu affidato il nome Cocos plumosa, ma durante gli anni '70 gli esperti iniziarono ad identificarla e nominarla come Arecastrum romanzoffianum. Solo recentemente, con l'avvento della bioinformatica, i sistematici hanno potuto collocarla nel genere Syagrus, da cui l'attuale nome scientifico Syagrus romanzoffiana.

Fioritura Syagrus romanzoffianaQuesta specie è una palma di medie dimensioni, potendo raggiungere un'altezza di 12-15 m (39-49 ft), solo raramente di 20 m (65 ft) ed una larghezza della chioma di oltre 6 m (20 ft). Diversamente da altre specie, la Palma regina mostra una crescita piuttosto vigorosa e veloce, sin dai primi anni.
Frutto maturo Syagrus romanzoffianaLe foglie della Palma Regina sono pennate, lunghe sino a 4 m (13 ft) ed hanno un aspetto quasi "soffice", questo perché tendono a piegarsi e non rimangono rigide ed erette per tutta la loro lunghezza. La chioma, dalla forma tondeggiante irregolare, ha un aspetto disordinato e ricadente, ma molto ornamentale, facendola somigliare a quella della Cococ nucifera.
In condizioni nutrizionali ottimali, le foglie sono di colore verde scuro e possono essercene quasi 20 contemporaneamente. Le vecchie foglie ingialliscono ed appassiscono, ma tendono a rimanere attaccate alla pianta per lungo tempo. E' dunque utile effettuare una potatura atta a rimuovere le foglie morte. Il tronco, di colore grigio, è insolitamente liscio ed abbastanza slanciato, raggiungendo, in età adulta, un diametro di circa 50 cm (2 ft). Su di esso si possono notare anelli ben distanziati, a testimonianza delle rapidità di crescita. Le radici non sono invasive e si espandono in profondità solo in prossimità del tronco, ma superficialmente (il primo metro di suolo) lateralmente. Non sono dunque un problema per le abitazioni e le tubazioni, ma forti venti e gli uragani (ad es. quelli che avvengono in Florida) possono far sradicare la palma.
La fioritura della Palma Regina non ha, almeno in Italia, un periodo preciso anche se, solitamente, avviene nel semestre più caldo. E' comune vedere palme identiche, piantate a poca distanza l'una dall'altra, a stadi fenologici ben diversi; alcune con frutti maturi o acerbi, altre con fiori, altre con nulla. I fiori, di colore giallo chiaro, sono numerosi e disposti su un'infiorescenza situata sotto la chioma e piuttosto lunga, sebbene non quanto quella della Brahea armata. Questa palma è monoica, produce dunque sia fiori maschili, che fiori femminili.
In seguito all'impollinazione, la Palma Regina inizia a sviluppare i suoi frutti. Inizialmente sono di colore verde oliva, mentre a maturazione virano all'arancione. Questa palma produce un'infinità di frutti (a centinaia) che, a maturazione, cadono a terra, marcendo molto velocemente ed attirando insetti di varia natura.
I frutti della Syagrus romanzoffiana hanno la dimensione di un grosso chicco d'uva e contengono un unico seme. Forse in pochi sanno che questi frutti sono commestibili, non solo per piccoli animali, ma anche per noi.
La poca polpa che avvolge il seme ha un gusto particolare, che potrebbe ricordare un misto tra il sapore dell'ananas e quello dell'albicocca, con un sentore di banana. Questa polpa è abbastanza asciutta e piuttosto fibrosa, ma nel complesso più che piacevole per il palato.

Fiori Palma Regina

Infiorescenza Syagrus romanzoffiana
Grappolo Frutti Immaturi Palma Regina

Grappolo Frutti Syagrus romanzoffiana


Coltivazione, Clima e Cure :

La Palma Regina può ambientarsi con successo nelle zone miti del Mediterraneo e, in Italia, può crescere in Liguria, nella fascia costiera tirrenica a Sud di Roma, in Sicilia e Sardegna o nel Sud della Puglia.  Syagrus romanzoffiana ha una buona tolleranza al freddo e può addirittura resistere a lievi gelate. Sebbene c'è chi sostenga abbia resistito a temperature minime di -8° C (18°F), è ragionevole credere che possa resistere ad un gelo intorno ai -4° C (25°F) o poco inferiore, a patto che sia per poche ore all'anno ed accompagnato da temperature massime positive. Questa rusticità rende la specie coltivabile, in totale sicurezza, solo in zone USDA 9b o superiori. In ambienti più freddi si può coltivare con successo in grossi vasi, da mettere al riparo durante la stagione fredda. Questa specie sopporta piuttosto bene sia la crescita in vaso che il trapianto, anche da adulta.
I semi di questa palma germogliano in circa 3-4 mesi e, nei primi mesi di vita, è conveniente usare teli ombreggianti o collocare le piante in vaso in zone a mezz'ombra.
La Palma Regina, da adulta, gradisce un'esposizione in pieno Sole anche se, in ambienti dell'entroterra torridi o quasi desertici, si avvantaggia di luce filtrata, almeno per qualche ora al giorno.
Il terreno ideale è sabbioso e ricco di sostanza organica, ma si sviluppa discretamente anche in altri tipi di terreno, purché non eccessivamente alcalini. Il suolo può essere fertilizzato con una buona concimazione primaverile, ricca sia di Potassio (K), che di microelementi, tra cui il più importante per la specie è il Manganese (Mn).
Questa pianta è considerata mediamente resistente alla siccità anche se, carenze idriche e nutrizionali, riducono sensibilmente la velocità di crescita, il diametro e la robustezza del fusto e, nei casi più gravi, possono portare all'ingiallimento delle foglie.
In linea di massima, una volta affrancata, è in grado di superare senza grossi problemi i 3 mesi di siccità tipici dell'estate Mediterranea, tuttavia qualche sporadica innaffiatura ne migliorerà il vigore e l'aspetto.
Come spesso accade, piante che crescono molto velocemente, sono anche poco longeve. La Syagrus romanzoffiana, infatti, vive non più di 50 anni, un'età inferiore a quella di molte altre palme.
Infine va ricordato che esistono ibridi ottenuti dall'incrocio tra Syagrus romanzoffiana e Butia capitata, che possono reggere temperature inferiori a quelle sopracitate.

Syagrus romanzoffiana leaves

Tre Palme Regina Nervi Genova

Palme Regina

Tronco Syagrus romanzoffiana





Climi, Piante e Paesaggi dell'Africa

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L'Africaè il continente da cui ha avuto origine la nostra specie (Homo sapiens), quello che conta il maggior numero di stati, ma anche quello più povero e mal governato.

Ma cosa c'è in Africa? Dove sono i posti migliori per andare in Vacanze? Quante e quali piante rare ci sono? Quali ambienti sono presenti? Quali animali ci vivono?

Sebbene in molti si dichiarino "affascinati" dal continente "nero", in pochi sanno realmente quali climi sia possibile trovare e quale biodiversità faunistica e floreale si possa osservare.
I più identificano l'Africa con la Savana ed i suoi animali, ma questo è solo uno degli innumerevoli ecosistemi che vi si possono trovare.

Elefanti Africani


L'Africa si estende attraverso i due emisferi (Boreale ed Australe) ed è "tagliata", circa a metà, dall'equatore.
Questo continente, dalla vaga forma triangolare, è delimitato dall'Oceano Atlantico (ad Ovest), dal Mar Mediterraneo (a Nord), dall'Oceano Indiano e dal Mar Rosso (ad Est) e dal congiungimento tra Oceano Atlantico ed Indiano (a Sud).

I limiti geografici dell'Africa sono:

  • a Nord, Capo Bianco (37° N), Tunisia
  • a Sud, Capo Agulhas (35° S), Sud Africa
  • ad Est, Capo Hafun (51° E), Somalia
  • ad Ovest, Isole Capo Verde (24° W)

Quanti climi sono presenti in Africa? Quanti stati ci sono? Quali tipi di paesaggi è possibile fotografare? Come varia il clima procedendo da Nord verso Sud? Ci sono zone fredde in cui nevica? Quanti deserti ci sono? Qual è la distribuzione dei vari animali?


Nelle prossime righe vorrei rispondere a tutte queste domande, illustrando, stato per stato, tutte le fasce climatiche presenti in Africa ed i motivi che le generano.
Il tutto accompagnato da foto dei luoghi più suggestivi, in maniera simile a quanto fatto per l'Europa.

Cartina Geografica Africa

Africa del Nord e Coste del Mediterraneo:

Questa parte, chiamata anche "Africa Bianca", è quella più vicino a noi italiani e, forse per questo, quella di cui abbiamo maggiori informazioni.
Gli stati africani che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo sono, da Ovest verso Est: MaroccoAlgeria, TunisiaLibia ed Egitto.
Nella parte più settentrionale di questi stati, il Clima è di tipo Mediterraneo Caldo ma, rispetto alle coste del Sud Europa (Sicilia, Grecia etc.), vi sono generalmente precipitazioni più scarse e temperature massime invernali più elevate.
In questa fascia d'Africa le precipitazioni diminuiscono spostandosi da Ovest verso Est e da Nord verso Sud.
Giusto per aver dei numeri, Tripoli, la capitale della Libia, registra accumuli pluviometrici di circa 350 mm/anno, Algeri circa 500 mm/anno, mentre, ad oriente, nel Delta del Nilo, ne cadono solo 150/200 mm. Se ci allontaniamo dalle coste, andando verso Il Cairo, avremo solo 14 giorni di pioggia all'anno, con 25 mm/annui di acqua. Come confronto potrebbe esser utile sapere che una città come Milano riceve circa 1000 mm di pioggia all'anno.

Marocco Panorama

Coste Mediterraneo Nord Africa


Eppure, nel Nord Africa, si può trovare anche un Clima Alpino. Nel Maghreb (la parte occidentale dell'Africa settentrionale) vi è la catena montuosa Atlantica "Atlas Mountains", la cui vetta più alta, Jbel Toubkal,  raggiunge un'altitudine di 4.167 metri (13,671 ft).
La città di Ifrane, circa 1.650 m (5,413 ft) è una rinomata località sciistica marocchina ed, in inverno, la neve cade frequentemente, creando onirici paesaggi innevati, che in pochi assocerebbero all'Africa. Inoltre è la località abitata Africana in cui è stata registrata la temperatura minima più bassa: -23,9° C (-11°F).
L'orografia di queste montagne modifica il clima. Esse, infatti, riescono ad intercettare le correnti atlantiche e a condensarle sotto forma di pioggia, facendo registrare accumuli paragonabili a quelli di molte città del Nord Italia.

Jbel Toubkal

Ifrane Innevata


In  Marocco, oltre a Rabat e Marrakesh, è consigliabile visitare le antiche abitazioni di  Aït Benhaddou.
Purtroppo, in particolar modo dopo le "primavere Arabe", molti luoghi di queste regioni sono diventati teatro di sanguinose battaglie interne e l'instabilità politica ha creato le condizioni ideali per l'ascesa di associazioni terroristiche fondamentaliste di matrice islamica.
In Libia, ed in buona parte dell'Egitto, è altamente rischioso viaggiare, mentre altrove è indispensabile usufruire di viaggi organizzati, attenersi alle regole e, per tutti gli aggiornamenti, consultare la Farnesina (clicca qui).

Ait-Benhaddou


Africa Sahariana :

Spostandoci di pochi chilometri, dalle Coste del Mediterraneo verso Sud, le piogge si fanno via via meno frequenti ed iniziano ad evidenziarsi i confini settentrionali del più esteso deserto caldo del Mondo, il Sahara.
Questo deserto sabbioso, oltre che negli stati sopracitati, è presente anche nella parte settentrionali di alcuni tra i più poveri stati dell'Africa: Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Sudan (da Ovest, verso Est). La sua estensione è di circa 9 milioni di chilometri quadrati.

Il Clima del Deserto del Saharaè estremamente asciutto, assolato e caldo durante tutto l'anno, questo anche per via della bassa latitudine. Il Sahara è infatti attraversato dalla linea del Tropico del Cancro (23°N), quindi è collocato in parte nella zona tropicale ed in parte in quella subtropicale.
Le temperature massime sono elevatissime ed, in estate, possono raggiungere i 50° C (122° F) all'ombra. Tuttavia, la lontananza da masse d'acqua, la scarsa umidità dell'aria, l'assenza di vegetazione e il terreno sabbioso, fanno si che questo deserto abbia enormi escursioni termiche tra il giorno e la notte, anche di 30° C (54° F).
Nelle zone più a Nord, in inverno, si possono verificare lievi gelate notturne. La neve è un evento più unico che raro, l'ultima nevicata con accumuli al piano, risale al febbraio del 1979.

Dune Deserto Sahara

Palme Deserto Sahara


Ma  perché non piove mai nel deserto del Sahara?

Ciò avviene per una concomitanza di eventi, spesso legati ed influenzati vicendevolmente.
In primo luogo il deserto del Sahara è lontano dai mari o da altri bacini idrici che, normalmente, sono portatori di umidità. In secondo luogo, su buona parte di esso, non ci sono catene montuose che possano intercettare o modificare i flussi d'aria. In fine è situato in una zona subtropicale in cui vi è un fortissimo irraggiamento solare, piuttosto costante durante tutto l'anno.

Nel Deserto del Sahara si instaura un fortissimo, e stabile, anticiclone. L'aria è spinta dalla Troposfera verso il suolo, questo previene l'evaporazione, impedendo la formazione di nuvole e mantenendo rovente l'aria sovrastante il deserto, inoltre impedisce l'arrivo dell'umida aria oceanica (i venti soffiano dall'entroterra verso gli oceani, e mai viceversa).
Infine, la catena montuosa Atlantica (leggi sopra) agisce da blocco orografico, nei confronti di alcuni fronti umidi atlantici.
La porzione centro-orientale del Sahara (sul confine tra Libia, Sudan ed Egitto), è quella più arida in assoluto e può competere con i Deserto di Atacama per quanto concerne i Record Mondiali di siccità.
In molte località del Deserto Libico potrebbe non piovere per diversi anni e le zone più umide raramente superano i 5 mm di pioggia all'anno.

Nel Sahara vivono pochissime persone, perlopiù tribù nomadi che campano di bestiame, spostandosi da un'Oasi all'altra. Queste condizione estreme non permettono la crescita vegetale, se non nelle aree circostanti le oasi.

Cammelli Deserto Sahara

Oasi Deserto Sahara



Nilo, Egitto e Mar Rosso :

L'unico vero corso d'acqua di questo deserto è il fiume Nilo, sulle cui sponde si è potuta sviluppare la più grande tra le antiche civiltà, quella Egiziana. La maestosità e la tecnologia di questo popolo, sono tutt'oggi testimoniate dalle mastodontiche Piramidi di Giza e dalla sua sfinge.

Il Nilo, con i suoi 6.853 km (4,258 mi), è il secondo fiume più lungo al Mondo ed è preceduto, di soli 84 km (52 mi), dal Rio delle Amazzoni, nel Sud America.

Il Nilo, pur attraversando per buona parte zone aride, sorge in un clima ben diverso, sugli altopiani equatoriali del Burundi. Qui è solo un ruscello ma, alimentato dalle abbondanti piogge locali si ingrossa e, unendosi all'emissario del Lago Vittoria, prende il nome di "Nilo Bianco".
L'altro "braccio" del Nilo ("Nilo Azzurro") sorge a Nord-Est ed è l'emissario del Lago Tana, nell'altopiano etiope. Nilo bianco ed azzurro si uniscono, in Sudan, proseguendo poi il loro tragitto attraverso il Sahara, per sfociare infine nel Mar Mediterraneo.
Nelle acque del Nilo vive uno dei più grandi rettili al Mondo, il Coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus).

Nilo in Egitto

Coccodrilli del Nilo

Immagine Satellitare Nilo Egitto


Per tutta la sua lunghezza, il Nilo, fornendo la preziosa acqua, ha strappato al deserto qualche chilometro di territorio. Ma basta discostarsi di 10 km (6 mi) dalle sue rive, per ritrovarsi immersi nel deserto. Solo all'estremo Nord dell'Egitto, dove c'è l'estuario, la vegetazione si espande su un'area considerevole. Il verde della vegetazione che segue il corso del fiume e il bianco della sabbia sono ben osservabili dalle immagini satellitari.

Nota, e tutto sommato sicura, è la località turistica di Sharm el-Sheikh, che si affaccia sul Mar Rosso, qui il clima è rovente in estate e mite in inverno. Come temperature, i mesi più piacevoli per visitarla sono Marzo-Aprile e Ottobre-Novembre.

Sfinge Giza Piramidi

Sharm el-Sheikh


Savana Africana Nord Equatoriale :

Con il termine "Africa Sub-Sahariana" ci si riferisce a tutti quei posti situati a Sud delle barriera geografica rappresentata da questo deserto ed è nota anche come "Africa nera".
Appena a Sud, ai margini del Sahara, si estende la Savana Africana nord equatoriale. Qui troviamo stati come il Burkina Faso, la Nigeria, il Ciad meridionale etc..

La Savana Africana settentrionale si trova all'interno del Tropico del Cancro. In questa zona le temperature sono sempre piuttosto elevate, ma vi è una netta contrapposizione tra due stagioni.
Durante la stagione delle piogge, che di solito coincide con il periodo di maggiore insolazione (la "nostra" estate), si hanno acquazzoni violenti, alternati a schiarite, ma può piovere quasi tutti i giorni. I temporali avvengono, di solito, nelle ore centrali della giornata.
Il periodo della stagione piovosa può durare oltre 6 mesi, ma diminuisce più ci si sposta verso Nord. Nella stagione secca, invece, si hanno 6 o più mesi di siccità, in cui potrebbe non cadere neppure una goccia d'acqua ed avviene, quasi ovunque, in concomitanza dell'inverno boreale.

Questo clima è una via di mezzo tra quello desertico e quello equatoriale (di cui parlerò dopo).
In linea generale, la durata della stagione secca e di quella piovosa varia con la latitudine, più si va a Nord (verso il Deserto del Sahara) e più prevarrà la stagione secca, più si scende a Sud (verso l'Equatore) e più la stagione delle piogge sarà lunga.

Nella Savana il periodo di siccità è troppo prolungato per permettere la sopravvivenza di tutte le piante; infatti prosperano solo arbusti e poche specie di alberi (ad es. il Baobab), ma sono distanziati e non formano mai boschi.
Il resto della vegetazione è di tipo erbaceo che, seguendo la stagionalità, secca e ricresce.

In Africa ogni anno muoiono circa 100 persone attaccate dai Leoni, 100 dagli elefanti e ben 500 dagli Ippopotami, ciò nonostante la popolazione ha imparato a convivere con queste bestie feroci e territoriali.

Leone Africa

Impala nella Savana

Savana

Fiume in Secca nella Savana

Savana, Prima e Dopo le Piogge



Africa Occidentale e Golfo di Guinea :

La costa Atlantica, indicativamente dal Senegal fino alla Sierra Leone, ha un clima tropicale fortemente influenzato dal Monsone Africano. Il periodo delle piogge va da Maggio-Giugno, sino ad Ottobre-Novembre e le temperature massime diventano via via più roventi spostandosi verso l'entroterra.
Una menzione a parte merita Capo Verde; questo arcipelago di origine Vulcanica è il punto più occidentale dell'Africa e le sue isole si trovano mediamente a circa 500 km (310 mi) dalle coste del Senegal e a 1600 km (994 mi) a Sud-Ovest delle Isole Canarie.
Qui il Clima è semi-desertico e la stagione delle piogge è poco intensa e dura solo da Agosto ad Ottobre. Le temperature sono mitigate dall'Oceano e dagli Alisei, con massime che, solitamente, sono di 27-29° C (81-84° F) in estate e 2-3 gradi in meno in inverno.
Qui troverete spiagge desertiche di sabbia fine, mare cristallino, grotte, relitti per gli amanti delle immersioni e venti costanti per gli appassionati di Windsurf.

Il Golfo di Guinea si estende in direzione Ovest-Est, poco a Nord dell'equatore. Ne fanno parte stati come la Costa D'Avorio, Ghana, Nigeria e Camerun.
Su questa parte di costa Atlantica il clima inizia a diventare tropicale umido, con una stagione secca che, in molti casi, non supera i 2-3 mesi. La vegetazione diventa rigogliosa e compaiono le prime foreste tropicali. In questo angolo d'Africa è diffusamente coltivato l'Albero del Cacao, dai cui semi viene prodotto circa il 70% di Cioccolato consumato a livello mondiale. Purtroppo, gran parte del lavoro di raccolta, viene svolto da bambini, sfruttati per pochi soldi.

Pianta di Cacao

Vegetazione del Centro Africa

Africa Tropicale

Panorama Capo Verde
Spiagge Capo Verde



Africa Equatoriale :

In questa zona, data la vicinanza all'equatore, non vi sono grosse differenze di temperatura durante l'anno. Nei diversi mesi, esse variano più in funzione della copertura nuvolosa, che delle piccole variazioni di altezza del Sole sopra l'orizzonte.
In questi territori non esistono stagioni ed il clima è tropicale umido. Le piogge cadono durante tutto l'anno, in alcune zone addirittura quasi tutti i giorni.
Qui si formano dense foreste pluviali, attraversate da ruscelli e cascatelle, al cui interno crescono specie sempreverdi dall'aspetto lussureggiante. Questa fitta vegetazione, insieme all'umidità dell'aria, aiuta a mitigare il clima, rendendolo caldo tutto l'anno, ma non torrido e con minime escursioni termiche tra il giorno e la notte.
Indicativamente si hanno 30° C (86° F) di giorno e 22° C (72° F) di notte. Queste foreste pluviali sono la dimora dei Gorilla.

Fanno parte di questa fascia il Gabon, il Camerun meridionale, il Congo, la Repubblica Democratica del Congo etc.

Procedendo verso Est, pur rimanendo a livello equatoriale, il clima muta e, all'estremo oriente troviamo un clima costantemente caldo (massime oltre 30°C, tutto l'anno) ed arido.
La Somalia (ed in generale il Corno d'Africa) è insolitamente secca per la sua latitudine e in alcune zone cadono 50 mm/anno, non permettendo la crescita vegetale.
Dove non c'è il clima semi-desertico, troviamo delle Savane, in cui si hanno però due stagioni delle piogge all'anno (in corrispondenza degli Equinozi).

Foresta Pluviale

Sottobosco Foresta Pluviale

Gorilla con Cucciolo


Gli Altopiani Etiopici, il Lago Vittoria ed il Kilimangiaro :

In Etiopia sono presenti degli altopiani che occupano un'area molto estesa del Paese, sconfinando anche nella parte Settentrionale dell'Eritrea e nel Nord della Somalia.
Questo ampio altopiano, con vette che vanno dai 1.500 m (4,921 ft) agli oltre 4.500 m (14,763 ft) di quota, è chiamato "Tetto d'Africa".
La vicinanza all'equatore fa si che le temperature siano costanti durante tutto l'anno, tuttavia sono ben più basse rispetto alle altre zone equatoriali pianeggianti.

Molte città dell'Etiopia sono collocate a quote superiori ai 2.000 m (6,562 ft), qui vi un clima monsonico, con una breve stagione secca (da Novembre a Gennaio), con temperature massime di circa 22-24° C (72-75° F) e minime di 10-12° C (50-54° F).
Al culmine della stagione delle piogge si hanno massime leggermente inferiori e minime leggermente superiori per via della copertura nuvolosa, che limita l'irraggiamento, sia notturno, che diurno.
Questo clima tropicale, umido, ma non troppo caldo ed esente da gelate è l'habitat ideale per la coltivazione del Caffè.

Altopiani Etiopia

Piantagione di Caffè
Alture dell'Etiopia

Il  Lago Vittoria (noto anche come Nam Lolwe) è il più esteso lago d'Africa, nonché il più grande situato in zone tropicali. Esso è collocato su un altopiano, a circa 1.100 m di quota (3,609 ft), ha una forma tendenzialmente tondeggiante ed una profondità assai contenuta, raggiungendo un picco massimo di 80 m (262 ft). Giusto per raffronto, il ben più piccolo Lago Maggiore, nel Nord Italia, raggiunge i 370 m (1,214 ft).

Le sponde del Lago Vittoria sono condivise da tre stati: Uganda, Tanzania, Kenya e su di esse sorgono importanti città ed industrie.
Questo lago dà sostentamento e nutrimento alle popolazioni locali ma, a partire dalla seconda metà del '900, la crescita demografica, e la poco controllata gestione dei rifiuti industriali, ha seriamente danneggiato questo ecosistema.
Il Lago Vittoria, essendo l'unico grande bacino idrico della zona, ha richiamato sulle sue rive l'intera popolazione, la quale ha usato le sue acque come discarica, sia per rifiuti organici, sia per i ben più nocivi scarti delle lavorazioni industriali, tra cui il pericolosissimo mercurio.
Inoltre, introducendo il Pesce Persico del Nilo (Lates niloticus) a scopo alimentare, ha alterato l'equilibrio della fauna ittica, portando sul filo dell'estinzione numerose specie endemiche. Oggigiorno, data la pesca intensiva e l'inquinamento delle acque, anche il Pesce Persico del Nilo corre gravi rischi e le sue dimensioni medie si sono notevolmente ridotte.

Nonostante quanto detto, alcune zone del Lago Vittoria sono ancora incontaminate e meta ambita di tutti i turisti. Sto parlando delle Isole Ssese, un arcipelago di 84 isole situato a Nord-Ovest, in territorio Ugandese. Qui è possibile fare stupende passeggiate immersi nelle magnifiche foreste pluviali, dove è possibile osservare molte specie di uccelli, un'ottima destinazione per gli amanti del Birdwatching.

Il Clima del Lago Vittoria è di tipo tropicale, con piogge ben distribuite, sebbene ci possa essere una breve stagione secca, specie a Sud-Est.
Le temperature, sia per l'altitudine, che per l'effetto mitigatore del lago, non sono torride come in altre località poste alla medesima latitudine.

Lago Vittoria

Pescatori Lago Vittoria

Palude Lago Vittoria

Isole Ssese

Uccelli Isole Ssese




Il  Kilimangiaro (o Chilimangiaro), con i suoi 5.895 m (19,341 ft), è la montagna più alta dell'Africa e la sua vetta risulta perennemente innevata, anche se il Surriscaldamento Globale sta innalzando sempre più la soglia.
Il Kilimangiaro è un vulcano quiescente, ovvero, pur non eruttando da moltissimi anni, contiene ancora magma nel proprio bacino e sono presenti segnali dell'attività vulcanica (fumarole etc.).
Questo vulcano è situato a Nord-Est della Tanzania, appena a Sud dell'equatore e non troppo lontano dalla pianura del Serengeti, nota ai più per i documentari sugli animali della savana.
Il Kilimangiaro è composto da 3 crateri, posti a diverse quote.
In questa regione vi sono due stagioni delle piogge ma, anche nei restanti periodi dell'anno, non si può parlare di una vera e propria stagione secca.

Il tipo di vegetazione è prevalentemente influenzata dall'altitudine:

  • Fino a 2800 m (9,187 ft) : qui, la vicinanza all'equatore, permette lo sviluppo della Foresta Tropicale Pluviale, sino in alta montagna. Essa è composta da alberi ad alto fusto (ad es. Macaranga kilimandscharica) e, nel sottobosco, da diverse specie erbacee ed orchidee. Più ci si avvicina alla soglia di questa fascia e più gli alberi diventano radi ed isolati.
  • Da 2800 m (9,187 ft ) a 4000 m (13,124 ft) : in questa zona la temperatura notturna può avvicinarsi ed a volte scendere sotto gli 0° C (32° F), una temperatura troppo bassa per lo sviluppo delle piante ad alto fusto. Qui troviamo la Brugheria, composta da piccoli arbusti, per lo più isolati. Nella parte bassa di questa fascia troviamo l'Erica arborea, ma la specie sicuramente più spettacolare è l'endemico Senecio Gigante (Dendrosenecio kilimanjari). Questa pianta molto particolare è una lontana parente della Lattuga (stessa famiglia), ma è dotata di tronchi lungi fino a 7 m (23 ft), che fungono da veri e propri serbatoi d'acqua. All'apice vegetativo sono presenti foglie appuntite e dalla consistenza carnosa, che hanno il compito di avvolgere e proteggere dal freddo le gemme apicali, che produrranno la nuova vegetazione. Le vecchie foglie, morendo, non si staccano come solitamente avviene nelle altre specie, ma essiccano e rimangano saldamente ancorate al tronco, fornendo così un effetto coibentante, che aiuta il Senecio a sopravvivere in questo clima impervio. Il Dendrosenecio kilimanjari ci fornisce uno splendido esempio di evoluzione all'ambiente.
  • Da 4.000 m (13,124 ft) a 5.000 m (16,405 ft): qui si trova il Deserto Freddo e, sebbene la notte sia gelida, di giorno il Sole allo Zenit è così forte da scaldare le nude rocce e permettere lo sviluppo di licheni e muschi, oltre a poche specie di erbe. 
  • Oltre i 5.000 m (16,405 ft) : La cima del Chilimangiaro, che tra l'altro è spesso sopra le nuvole, rappresenta un ambiente estremo. Vi sono ghiacciai perenni (es. ghiacciaio di Rebmann sulla sommità) e le temperature notturne possono scendere sotto i -20° C (-4° F). Questo, unito all'aria estremamente rarefatta, permette lo sviluppo di pochissime specie di licheni, i quali sfruttano i sassi sui quali il Sole tropicale ha sciolto la neve.
Kilimangiaro

Senecio Gigante

Dendrosenecio kilimanjari

Senecio del Kilimangiaro tra la Nebbia


Coste Atlantiche dell'Africa Meridionale :

Questo settore di Africa è occupato da due grossi stati. Più a Nord troviamo l'Angola, uno stato che ha al suo interno climi molto diversi, dal tropicale umido a Nord, sino al desertico delle coste meridionali.
A nord-ovest di questo paese si trovano le "Kalandula Falls" che, con i loro oltre 100 m di altezza (325 ft) e 400 m di larghezza (1,376 ft), sono tra le più imponenti e spettacolari cascaste africane. Nelle zone più umide dell'Angola vi sono estese coltivazioni di Banani, i cui frutti vengono poi esportati in tutto il mondo.

Kalandula Falls Angola

Banani in Angola

Banane in Angola



Più a Sud, indicativamente tra il 17° S e il 25° S, incontriamo la Namibia, lo stato meno densamente popolato dell'Africa. Il clima di questa regione d'Africa varia dal semi-arido al desertico e le piogge diminuiscono muovendosi da Nord-Est, verso Sud-Ovest.
Le pianure sono collocate solo nelle immediate vicinanze della costa, mentre le località interne sono poste su un altopiano, in cui vi sono vette di circa 2.000 m (6,562 ft). La stessa capitale, Windhoek, è ad un'altitudine di 1.700 m (5,600 ft).

Diversamente dagli altopiani dell'Etiopia, qui ci troviamo relativamente lontani dall'equatore, vi è dunque una certa stagionalità anche per quanto riguarda le temperature.
Durante il semestre più caldo (da Ottobre a Marzo), che  coincide con la stagione delle piogge (o quella "meno secca"), le temperature massime si aggirano attorno ai 30° C (86° F).
In inverno (Giugno-Luglio-Agosto), le temperature massime sono di circa 21° C (70° F), mentre le minime possono essere molto fredde. Ciò è conseguenza del fatto che queste zone sono in quota, "pianeggianti" e povere di vegetazione; ovvero hanno tutti gli elementi che favoriscono un fortissimo irraggiamento notturno.
Di notte il calore accumulato di giorno è disperso velocemente verso il cielo, facendo precipitare le temperature che, all'alba, sono mediamente di 7° C (44,6° F) ma, in talune circostanze, possono addirittura scendere sotto gli 0° C (32° F).
Le coste della Namibia sono bagnate dalle freddi correnti del Benguela. Queste, se da un lato rendono le acque molto fertili e ricche di pesce, dall'altro impediscono l'arrivo di perturbazioni foriere di pioggia e sono la principale causa dell'aridità di queste coste.
Le correnti in quota sono compresse e raffreddate in prossimità delle coste, generando nuvole basse e nebbia. Di mattina, la densa nebbia penetra frequentemente nell'entroterra, creando un ambiente surreale, spettrale ed incantato che, con la sua umidità, fornisce la poca acqua necessaria alle specie che popolano queste terre.

Queste condizioni climatiche hanno creato il Deserto del Namib (o Deserto della Namibia), che si estende lungo tutta la costa della Namibia e quella meridionale dell'Angola, addentrandosi fino ad un massimo di 160 km (100 mi). Il Deserto della Namibia è tra i più antichi al mondo ed è piuttosto variegato, si possono infatti trovare gigantesche dune di sabbia dal caratteristico color rosso ("Red Desert") o gialle ("Yellow Desert"), zone pianeggianti, zone rocciose che somigliano al "suolo lunare".
Sebbene nella fascia più interna di questo deserto ci possano essere sia temperature superiori ai 40° C (104° F), che inferiori a 0° C (32° F), la fascia costiera del Deserto del Namib è insolitamente fresca tutto l'anno. Nonostante la latitudine, la fredda corrente del Benguela mantiene le temperature massime intorno ai 20° C (68° F), anche in piena estate e con il Sole allo zenit.

Margini Deserto Namib

Namibia

Sabbia del Deserto della Namibia

Deserto Namibia sulle Coste Atlantiche
Duna Deserto della Namibia



La  parte costiera settentrionale della Namibia prende il nome di Skeleton Coast (la "Costa degli Scheletri"). Questo luogo è particolarmente inospitale e difficilmente raggiungibile, le dune del deserto del Namib si spingono sino a riva e l'oceano, a causa della corrente del Benguela, è burrascoso e sferzato da venti impetuosi. Le precipitazioni sono di pochi millimetri all'anno e la vegetazione è praticamente inesistente.
Le tempeste possono trasportare ingenti quantità di sabbia verso il mare, modificando periodicamente le "dune sottomarine". Questo, unito alla forza del mare e alla nebbia, ha contribuito allo spiaggiamento di oltre 1000 navi, che ora giacciono come relitti.
Questo tratto di spiaggia, prevalentemente sabbioso, deve il suo nome (Skeleton Coast) proprio alla presenza di questi "Scheletri di Acciaio" incagliati nella sabbia o nell'acqua bassa, in prossimità della riva.

Relitto Skeleton Coast

Relitto Skeleton Coast

Nebbia nel Deserto del Namib

Nave Incagliata Skeleton Coast



In  questo deserto, e solo qui, è possibile osservare la Welwitschia mirabilis, uno dei vegetali più strani al mondo. Questa pianta, infatti, pur essendo una specie forestale, si è perfettamente adattata alla vita in uno dei posti più aridi del mondo.
La Welwitschia mirabilisè botanicamente più unica che rara, essa è costituita da un corto (e spesso) tronco, una radice a fittone e due foglie gigantesche. Queste ultime, che possono essere lunghe sino a 5 m (16 ft), crescono in continuazione dalla parte basale mentre, procedendo verso l'estremità, si sfilacciano, "imbruniscono" e muoiono.
Sebbene questa specie abbia sempre e solo 2 foglie, l'aspetto è quello di una matassa informe di foglie, attorcigliate ed afflosciate sul terreno.
Queste immense foglie (spesso frastagliate) sono porose ed hanno lo scopo di assorbire le goccioline di acqua che si condensano dalla nebbia proveniente dall'Oceano Atlantico.
Questa pianta può essere considerata un fossile vivente, infatti è l'unica specie della sua famiglia (Welwitschiaceae), inoltre presenta una fisiologia unica. Diversamente da tutte le altre piante, la Welwitschia mirabilis non produce nuove foglie, ma continua a far crescere per tutta la vita le prime (ed uniche) due foglie emesse.
Questa specie, pur appartenendo alle Gimnosperme (come LariciAbeti, Tuie, etc.), potrebbe rappresentare l'anello di congiunzione tra Gimnosperme ed Angiosperme (Piante con Fiori). I suoi coni maschili, infatti, ricordano gli stami dei fiori e anche lo Xilema (condotto che trasporta la linfa nel tronco) ha delle caratteristiche tipiche delle Angiosperme.
Darwin la definì "L'ornitorinco del regno vegetale", quest'animale, infatti, pur essendo un mammifero con alcuni tratti tipici (pelo, allattamento della prole etc.), ha alcune caratteristiche degli uccelli (depone le uova, ha il becco etc.), collocando questa specie come quella di passaggio tra uccelli e mammiferi.
La Welwitschia mirabilis può raggiungere i 1000 anni di età, ma analisi al carbonio-14 hanno dimostrato come alcuni esemplari abbiano un'età di circa 2000 anni ed è plausibile che singole piante ne possano avere ancora di più.

Welwitschia mirabilis

Welwitschia mirabilis

Fiori Welwitschia mirabilis



Africa Orientale, Coste dell'Oceano Indiano, Seychelles e Madagascar :

Le coste del Mozambico, sull'Oceano Indiano, hanno più o meno la stessa latitudine del Deserto della Namibia, eppure qua il clima è opposto.
Lungo tutte le coste vi è il clima della Savana, con la contrapposizione di una stagione piovosa ed una secca. Nella parte meridionale, l'entroterra è molto più secco delle coste e vi è un clima semi-arido e desertico.
A cavallo tra Malawi, Tanzania e Mozambico troviamo il Lago Malawi (o Lago Niassa), il terzo più grande lago d'Africa. La sua lunghezza è di quasi 600 km (373 mi) ed ha una larghezza massima di 75 km (47 mi).
Il Lago Malawi ha un'elvatissima biodiversità ittica, le sue acque contengono più specie di pesci di qualsiasi altro lago. Diversamente dal Lago Vittoria, il Lago Niassa non è intensivamente sfruttato dall'uomo ed, essendo patrimonio dell'Unesco, è tutelato dall'inquinamento.
Le temperature hanno pochi gradi di variazione durante l'anno ed oscillano tra i 27-32° C (81-90° F) di giorno e 15-21° C (59-70° F) di notte. Le piogge sono più abbondanti nella porzione settentrionale del lago ed avvengono da Novembre ad Aprile.

Lago Malawi

Lago Niassa



L'arcipelago delle Seychelles (o Seicelle), situato nell'Oceano Indiano a circa 1600 km (994 mi) dalle coste del Kenya, è composto da oltre 100 tra isole, isolotti ed atolli, sparsi su una vasta area e spesso lontani centinaia di km l'uno dall'altro.
La maggior parte di queste isole sono disabitate ed adibite a riserve naturali e si possono dividere in base alla propria natura in "Isole Granitiche" ed "Isole Coralline" composte, rispettivamente, da granito o da detriti di coralli.
Le Seychelles sono la realtà di quelle "Isole Tropicali" stilizzate nella mente di ognuno di noi. Il mare cristallino, le spiagge vellutate, la fauna e la flora incontaminate e le temperature costantemente alte durante tutto l'anno, ne fanno una meta ambita per tutti gli amanti della natura e del relax.
Il Clima delle Seychelles è mitigato dall'oceano, le temperature massime difficilmente superano i 32° C (90° F), con minime escursioni termiche tra il giorno e la notte. La temperatura minima degli ultimi 40 anni, registrata nella capitale (Victoria), è di pochi decimi inferiore ai 20° C (68° F).
Non c'è una stagione secca e può piovere tutto l'anno, sebbene i maggiori accumuli si registrino da Novembre a Febbraio. Tuttavia le perturbazioni sono veloci e spesso sono temporali notturni che, di giorno, lasciano ampio spazio al Sole tropicale.
Questo clima permette lo sviluppo di una fitta foresta pluviale che, su alcune isole, cresce a pochi passi dalle spiagge paradisiache.
Rispetto ad altre foreste tropicali dell'Africa continentale, quelle presenti alle Seychelles sono esplorabili in tutta sicurezza, dato che non vi sono grandi predatori e le uniche 3 specie di serpenti sono del tutto innocue.

Isole Seychelles

Scogli Isole Seychelles

Mare Seychelles

Spiagge Seychelles


Sull'isola di Praslin e Curieuse è presente il Coco de Mer o Cocco di Mare (Lodoicea maldivica), una palma che produce un frutto, il cui seme è il più grosso dell'intero regno vegetale. Esso ricorda molto da vicino il bacino femminile e, contrariamente alle Noci di Cocco, non galleggia sull'acqua e questo gli ha impedito la colonizzazione di altre isole, confinandolo alle due sopracitate.

Giungla Valle de Mai Seychelles


Lodoicea maldivica

Seme del Cocco di Mare

Il  Madagascar, situato nell'Oceano Indiano di fronte alle coste del Mozambico, è l'isola più grande dell'Africa e la quarta al mondo. Essa si estende per circa 1600 km (994 mi) in direzione Nord-Sud ed è compresa tra il 12° S e il 26° S.
L'altopiano centrale, con altitudine variabile da 800 a 1.800 m (2,625-5,906 ft), divide la costa orientale da quella occidentale, modificando notevolmente le correnti ed il clima.
Vuoi per la notevole estensione lungo i paralleli, vuoi per l'orografia complessa, il Madagascar presenta al suo interno climi ben diversi.
Il Madagascar si è originato oltre 100 milioni di anni fa, a partire dal super-continente dell'Emisfero Sud (il Gondwana).
In un primo momento il Gondwana si spaccò in due parti: Africa-Sud America ad Ovest e Madagascar-India-Antartide ad Est, successivamente il Madagascar si isolò dall'India.

Questa evoluzione allontanò, in epoche remote, il Madagascar dal resto del mondo, creando delle barriere geografiche (Oceani) che confinarono gli animali e le piante del Madagascar sull'isola, permettendo loro un'evoluzione autonoma e non influenzata da eventi esterni.
Non è un caso se il Madagascar è il luogo al mondo con maggiore endemismo vegetale ed animale, ovvero il posto in cui crescono il maggior numero di specie che non vivono in nessun altra parte del Mondo.

La stagione delle piogge dura, in linea generale, da Novembre a Marzo, ma con nette differenze nelle varie zone dell'isola.
Le coste orientali del Madagascar ricevono l'umidità dell'Oceano Indiano, che si trasforma in pioggia anche nei mesi che dovrebbero essere secchi. L'elevata piovosità (anche oltre 3.000 mm/anno), distribuita in tutti i mesi dell'anno, permette lo sviluppo di rigogliose foreste pluviali.
La costa occidentale è meno piovosa e, nelle pianure adiacenti, prevale la Savana, tranne a Sud-Ovest in cui l'elevata aridità lascia spazio solo a deserti o a foreste spinose. Questo perché le alte montagne del centro dell'Isola creano un'ombra pluviometrica.
Le temperature sulle coste sono alte tutto l'anno anche se, nella parte meridionale, vi è una lieve stagionalità (ricordate che le stagioni sono invertite rispetto all'Europa).
Sugli altopiani le temperature sono più fresche e, specie in inverno nel Sud dell'Isola, si può verificare qualche lieve gelata. Qui troviamo foreste decidue secche e praterie.

Baobab nella Stagione delle Piogge

Baobab senza Foglie

Foresta Spinosa

Villaggio Altopiani Madagascar

Risaie in Madagascar



Come accennato sopra, l'isolamento geografico ha preservato dall'estinzione antiche specie ed ha favorito l'evoluzione di nuove specie.

In Madagascar, e solo qui, crescono 6 delle 8 specie di Baobab, piante gigantesche, dal tronco immenso e dalla chioma che, durante la stagione secca, perde le foglie.
Quest'isola ospita oltre un migliaio di specie di orchidee, di cui il 90% endemiche, sparse nelle varie foreste. Anche le palme sono molto diffuse e vi sono presenti circa il triplo delle specie presenti in tutto il resto dell'Africa.
Una delle piante simbolo del Madagascar è l'Albero del Viaggiatore (Ravenala madagascariensis). Sebbene erroneamente associato alle Palme, questa specie è un parente prossimo del Banano.
Si tratta di una pianta erbacea, ad alto fusto, le cui foglie, somiglianti a quelle del Banano, sono disposte a ventaglio, con la punta rivolta verso l'alto e possono raggiungere altezze considerevoli.

Albero del Viaggiatore

Ravenala madagascariensis

Fiori Ravenala madagascariensis


La  famiglia delle Didiereaceae, anch'essa endemica del Madagascar, annovera al suo interno numerose specie, con altezze variabili da un paio di metri (7 ft), sino ad oltre 15 m (49 ft).
Le diverse specie di Didiereaceae crescono nelle foreste spinose del Madagascar Sud-Occidentale e, per poter prosperare in ambienti così xerofili, hanno evoluto meccanismi adattivi simili a quelli dei Cactus, diffusi nel resto del mondo, come ad esempio aver le foglie ridotte ad aghi per ridurre al minimo le perdite d'acqua per evaporazione.
Su quest'isola cresce anche una pianta succulenta, nota come "Palma del Madagascar" (Pachypodium lamerei) che, pur non essendo della stessa famiglia delle Palme, sviluppa foglie solo alla sommità del tronco, dove produce anche fragranti fiori bianchi. Questa specie ben si presta alla coltivazione in appartamento e, data la facilità di riproduzione, è piuttosto diffusa a tale scopo, laddove il freddo non ne permetta la coltivazione all'aperto.

Bosco di Didiereaceae Madagascar

Pachypodium lamerei

Palme del Madagascar

Fioritura Pachypodium lamerei


La  ricchezza del Madagascar non si limita alla sua Flora, la Fauna è altrettanto generosa ed affascinante. L'animale endemico più noto, quasi un'icona di Stato, è il Lemure, un piccolo primate dagli occhi enormi, perfettamente adattatisi per la vita notturna.
Parlando di Lemuri dovremmo però usare il plurale, esistono infatti un centinaio di specie, alcune delle quali molto simili tra di loro, che hanno colonizzato diverse nicchie ecologiche.
Il loro unico predatore, nonché il mammifero predatore più grosso del Madagascar, è il Fossa o Fosa (Cryptoprocta ferox). Quest'animale, che vive solo su quest'isola, è un carnivoro lungo circa 180 cm (6 ft), metà dei quali sono coda, con la quale insegue e cattura i Lemuri sugli alberi (funge da asta d'equilibrio). A prima vista potrebbe sembrare un Puma in miniatura, dalla forma slanciata.
Il 40% delle specie di Camaleonti della Terra vive in Madagascar, mentre gli unici Anfibi presenti sono Rane, di oltre 200 specie, tutte endemiche tranne un paio.
Anche le acque sono ricche di pesci, sebbene, rispetto alle specie terrestri, vi sia un minor endemismo. Nelle acque dolci vivono i Coccodrilli del Nilo, mentre le calde acque dell'Oceano ospitano diverse specie di Squali e Cetacei di grosse dimensioni.

Lemuri in Madagascar

Fossa Cryptoprocta ferox


Un'ultima curiosità, la terra del Madagascar, ricca di ferro, ha un atipico colore rosso acceso che la rende distinguibile tra tutte le altre.


Botswana. Zambia, Zimbabwe e Sud Africa :

Nell'Africa australe vi sono tre grossi stati che non hanno sbocchi sul mare: Zambia, Zimbabwe, Botswana (da Nord verso Sud). Il Clima, generalmente di Savana, diventa più arido andando verso Sud.
Il 70% del Botswana, insieme a parte dello Zimbabwe, Namibia e Sud Africa, forma il Deserto del Kalahari, posto ad un'altitudine media di 1.000 m (3,282 ft).
Questo deserto di sabbia rossa, che sotto molti aspetti assomiglia più al deserto australiano, ha una brevissima stagione "delle piogge" (2-3 mesi, durante l'estate australe), mentre l'inverno è secco e, data la quota e la latitudine, sono possibili gelate notturne.
Il Deserto del Kalahari è meno arido rispetto al Sahara e al Namib ed in alcuni punti possono cadere oltre 200 mm di pioggia all'anno; ciò permette lo sviluppo di piccoli arbusti, specie xerofile ed erbe stagionali, le quali danno sostentamento a più specie di animali, anche di grosse dimensioni.

Deserto del Kalahari

Deserto Kalahari Botswana


Sul  confine tra Zambia e Zimbabwe, a circa metà tragitto del Fiume Zambesi, si trovano le Cascate Vittoria, tra le più spettacolari al Mondo.
La loro altezza è circa due volte quella delle Cascate del Niagara, ma è la loro conformazione a renderle uniche. Il fronte delle cascate è rettilineo e lungo circa 1,5 km (0.93 mi) e l'acqua cade in una gola profonda. Nella "parte alta" del Fiume, prima del dirupo, vi sono diversi isolotti che, a seconda della stagione e della portata d'acqua, dividono il flusso principale in più parti.
La spettacolarità di queste cascate è data anche dal punto da cui è possibile osservarle. La geografia del luogo permette di vederle dall'esatto lato opposto rispetto a dove precipitano. In pratica è come se fosse un Canyon, in cui lo spettatore è su un lato e, di fronte a sé, vede l'altro lato da cui il fiume inizia a sprofondare nel baratro compreso tra le due sponde del Canyon.

Cascate Vittoria


La  parte più meridionale del continente africano è composto dal Sud Africa, al cui interno vi è lo stato del Lesotho (un po' come San Marino, all'interno dell'Italia).
Il Sud Africa ha un clima variegato ed, escludendo le coste, è prevalentemente un altopiano piuttosto arido, in cui si hanno forti escursioni termiche tra giorno e notte. Città come Johannesburg, poste a 1700 m (5,577 ft), durante l'inverno, possono registrare temperature negative.
Queste alture, in molti casi, non arrivano al piano tramite leggeri declivi, ma facendo delle vere e proprie scarpate.
Sulla Costa meridionale del Sud Africa vi è un Clima Mediterraneo, con scarse escursioni termiche ed inverni umidi e miti. Qui, contrariamente a quanto avviene nella Savana, la stagione secca coincide con quella estiva.
Nel Sud dell'Africa è possible trovare molte specie di Aloe, tra cui la stupenda Aloe saponaria.

Il tratto di mare in cui le acque dell'oceano Indiano si mischiano a quelle dell'oceano Atlantico è tra i più burrascosi al mondo. Nel corso degli anni decine di navi sono naufragate e sprofondate nei suoi abissi. Tuttavia queste acque sono particolarmente ricche di nutrienti, richiamando specie a tutti i livelli della piramide alimentare.
L'Isola delle Foche (Seal Island), situata a poca distanza da Città del Capo, ospita una delle più grandi comunità di Otarie al Mondo. Questi mammiferi devono procacciarsi il cibo in acqua, diventando a loro volta prede degli Squali.
Questa fascia di mare è, insieme all'Australia, l'unica in cui è possibile osservare il grande Squalo Bianco (Carcharodon carcharias) balzare fuori dell'acqua brandendo le sue vittime (le Foche).
Inoltre è possibile osservare un animale che in pochi assocerebbero ai climi caldi dell'Africa; mi riferisco al Pinguino del Capo o Pinguino Africano (Spheniscus demersus) che qui, e su alcune isole della Namibia, ha trovato acque ricche di Krill, di cui si nutre.

Squalo Attacco a Foca in Sud Africa

Pinguino Africano


Il  Lesotho è l'unico stato al mondo ad essere interamente collocato oltre i 1.350 m (4,429 ft). L'altitudine, la latitudine non più tropicale e la lontananza dal mare fanno si che vi sia un Clima Continentale, con estati calde ed inverni decisamente freddi.

Paesaggio in Lesotho


Ed  infine le mappe che mostrano le precipitazioni medie annue e la densità di popolazione in Africa.

Cartina Precipitazioni Annue in Africa

Cartina Densità Popolazione Africa

Bignonia (Campsis radicans), Come Coltivare un Rampicante dai Fiori Arancioni ?

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I fiori hanno i colori più disparati eppure, alcuni sono più frequenti di altri. Volete una pianta che faccia fiori arancioni durante l'estate e che sia pure rampicante? Se la risposta è affermativa la Bignonia (Campsis radicans o Campsis grandiflora) potrebbe far per voi.

Ma come si coltiva la Bignonia? Dove può crescere in Italia? Quali cure necessita per aver abbondanti fioriture? Quali temperature regge?

Fioritura Bignonia radicans


Origine, Diffusione ed Ibridi :

Prima di tutto dobbiamo fare un distinguo, col nome Bignonia ci riferiamo essenzialmente a due specie, entrambe appartenenti al genere Campsis, ovvero la C. radicans e la C. grandiflora.
Queste due piante, sebbene abbiano un aspetto molto simile, hanno grosse differenze sia di origine, sia di rusticità.

Quali sono le differenze tra Campsis radicans Campsis grandiflora ?

La Campsis radicans, la più diffusa in Italia, è nativa dell'America del Nord, dove cresce spontanea nella parte orientale degli Stati Uniti, sviluppandosi ai margini dei boschi, arrampicandosi sugli alberi. In alcuni stati è così nota, tanto da meritarsi il nome di uno di essi: "Gelsomino della Virginia".
La Campsis grandiflora, invece, è originaria dell'estremo oriente dell'Asia e cresce  in Cina e Giappone.

La Campsis radicans, detta anche Tecoma radicans, ha fiori simili a quelli della C. grandiflora, ma in quest'ultima sono più larghi, dalla forma meno "ad imbuto" e più numerosi.
L'altra grossa differenza riguarda la resistenza al freddo e la vigoria, entrambe superiori nella Campsis radicans.
Infine la Campsis grandiflora produce meno radici avventizie e viticci, ha quindi maggiori difficoltà ad arrampicarsi su superfici con pochi appigli, inoltre la sua fioritura è leggermente più precoce rispetto a quella della C. radicans.

Circa a metà '800, gli ibridatori incrociarono C. radicans con C. grandiflora, ottenendo un ibrido a cui fu dato il nome di Campsis x tagliabuana. Questo nome fu attribuito in onore dei fratelli Tagliabue, presso la cui azienda vivaistica, il botanico Roberto De Visiani, ottenne l'ibrido.
Campsis x tagliabuana, nota anche con l'appellativo "Madame Galen" (la varietà più diffusa), rappresenta il perfetto connubio tra le due specie, unendo le migliori caratteristiche di entrambe.
Questo ibrido ha fiori grandi e numerosi (come C. grandiflora), sebbene la pianta abbia rusticità, vigoria e resistenza al freddo paragonabili a quelli della  C. radicans.

Oggigiorno la Bignonia, nota anche come "Trombetta rampicante", è cresciuta a scopo ornamentale in tutta Italia ed in buona parte delle zone temperate del Mondo, dove è ampiamente utilizzata come rampicante per decorare muretti, recinzioni e pergolati.


Botanica e Fisiologia :

Entrambe le specie di Bignonia sono arbusti rampicanti decidui.
Ora, salvo diversamente indicato, mi riferirò alla più diffusa: Campsis radicans, tuttavia tolte le differenze sopraelencate, i tratti in comune tra le due specie sono molti.

Campsis radicans flowersLa Bignonia appartiene alla famiglia delle Bignoniaceae e, se lasciata crescere liberamente può raggiungere un'altezza di 12 m (40 ft).
Le foglie, che possono raggiungere una lunghezza di circa 30 cm (12 in), sono caduche, alternate, pennate ed ognuna composta da 4-6 paia di foglioline. Il nuovi tralci crescono in maniera assai vigorosa e con molti viticci (meno nella C. grandiflora), i quali permettono una presa efficace.
Sebbene esistano varietà dai fiori gialli (Es. "Flava"), la maggior parte delle Cultivars ha fiori con sfumature che variano dal Rosso tenue all'Arancione. I fiori della Begonia, larghi fino ad 8 cm (3 in), sono riuniti in racemi che appaiano all'apice dei nuovi tralci. Essi hanno una forma piuttosto particolare, allungata alla base e larga alla sommità, ricordando un imbuto o una trombetta e sono piuttosto simili ad un altro fiore, il Vilucchio.
Questi fiori, per essere di piante da climi temperati, hanno un altissimo contenuto di nettare, il quale attira numerosi insetti pronubi.
La fioritura, dato che avviene sulla vegetazione dell'anno, non comincia prima di Giugno, tuttavia è piuttosto duratura, garantendo fiori per l'intera estate e, nei climi più caldi, anche per le prime settimane d'autunno. Ciò nonostante il picco massimo di produzione fiorale coincide con il primo flusso vegetativo.
Campsis radicans produce dei frutti che possono ricordare, sia per forma che per dimensione, i baccelli delle Fave. All'interno di essi sono contenuti molti semi dalla forma appiattita e con una sorta di ali alla loro estremità. Questo permette loro di essere efficacemente trasportati dal vento e di poter germinare lontano dalla pianta madre.

Gemme Bignonia

Boccioli Campsis radicans



Coltivazione, Clima e Cure :

La Bignonia è una pianta rustica, facile da coltivare ed, in Italia, può essere piantata praticamente ovunque. La C. radicans ha un'ottima resistenza al gelo e può sopportare temperature minime inferiori ai -30° C (-22° F), mentre la C. grandiflora è leggermente più sensibile e sarebbe meglio coltivarla in zone USDA non inferiori a 7, corrispondenti a circa -15° C (5° F).
L'esposizione ideale, nonché quella che garantisce una copiosa fioritura, è in pieno Sole; tuttavia in ambienti molto caldi ed assolati, come quelli del Sud Italia, la si può coltivare anche a mezz'ombra.
Le Campsis hanno una buona resistenza alla siccità e, una volta affrancate, possono sopravvivere a lunghi periodi senza piogge. Ciononostante, dopo settimane di Sole ininterrotto, un'annaffiatura può giovare al suo aspetto ed aumentare la quantità di fiori prodotti.
Come detto in precedenza, questa pianta ha un'elevatissima vigoria che rende indispensabile un'energica potatura. Il periodo miglior per potarla è l'inverno, quando la pianta ha perso le foglie ed è in riposo vegetativo. La potatura può essere anche drastica e, dato che la fioritura avviene sulla vegetazione emessa in primavera, non ne compromette la successiva produzione di fiori.
La Bignonia può crescere su un'ampia gamma di terreni, anche moderatamente poveri, tuttavia è essenziale che siano ben drenanti.
Foglie Campsis BignoniaLa concimazione, almeno in terreni "medi", non è necessaria, ma qualora si volesse aumentare la fertilità del suolo potrebbe essere utile usare lo stesso tipo di concime, ricco di Potassio (K), usato per le Rose o per altre Piante da Fiore. Questo rampicante si può coltivare anche in prossimità del Mare in quanto è resistente alla salsedine, presente nell'aria. La Bignonia, date le sue dimensioni, mal si presta ad essere coltivata in vaso, preferendo la messa in campo.

Tronco Campsis Bignonia

Varietà e Riproduzione :

Esistono innumerevoli cultivars di Bignonia, che si differenziano soprattutto per vigoria, colore dei fiori e durata della fioritura. Alcune delle più importanti e diffuse, sono elencate di seguito:

  • Bignonia "Judy" : Fiori bicolore, gialli esternamente e rossi all'interno. Rami lunghi, flessibili e leggeri, lunga fioritura. 
  • Bignonia "Mme Galen" : Ibrido già menzionato in precedenza. Fiori numerosi, color salmone.
  • Bignonia "Flamenco" : Fiori color rosso, tendente all'arancione. Foglie dal colore verde più scuro e fioritura in giovane età (anche l'anno dopo la moltiplicazione).
  • Bignonia "Flava" : Fiori color giallo tenue, di dimensioni medio-piccole.
  • Bignonia "Indian Summer" : Ibrido (Campsis x tagliabuana) dai fiori arancio, con sfumature rosse nella parte più interna. Dimensioni più contenute.
  • Bignonia "Serena" : Fiori arancioni, con sfumature giallo oro nella parte più interna. Profonde venature color rosso sui margini interni dei petali.
  • Bignonia "Stromboli" : Fiore rosso scuro-porpora, dall'estremità più allargata rispetto alla specie tipo.
  • Bignonia "Speciosa" : Portamento meno rampicante, si può tentare la coltivazione arbustiva. E' mediamente più piccola della specie tipo. Il colore dei fiori è giallo nella sottovarietà "Speciosa lutea" e rosso in quella "Speciosa rubra".

Campsis radicans si riproduce prevalentemente tramite talea semi-legnosa, la quale va effettuata interrando rami non ancora lignificati, in un vaso contenente sabbia e torba. Questa operazione va eseguita ad inizio estate (Giugno), mentre la radicazione avviene circa due mesi dopo. Durante questo periodo si dovrà tenere il terreno umido, collocare il vaso in una zona ombreggiata, ma calda.
La Bignonia si moltiplica, sebbene più raramente, anche tramite propaggine o innesto.


Fiori-campsis-radicans

Frutti Bignonia

Pianta-Bignonia-Campsis-radicans


Margaronia o Tignola Verde dell'Olivo (Palpita unionalis), Che Danni Provoca ai Germogli e alle Nuove Foglie?

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L'Ulivo (Olea europaea), la pianta simbolo del Mediterraneo, è soggetta all'attacco da parte di diversi patogeni, sia animali che fungini.
Tra tutti i parassiti, la Margaronia dell'Olivo (Palpita unionalis) è facilmente riconoscibile dai danni provocati. Questo insetto attacca i germogli, i rami in allungamento e le nuove foglie che, a prima vista, sembrano "smangiucchiate", mentre le vecchie foglie risultano perfettamente sane.
Nella maggior parte dei casi, le lesioni sono quindi localizzate sull'apice vegetativo e non diffuse su tutta la pianta.
Questa malattia, a volte, può essere confusa con quella provocata da un Coleottero, noto come Oziorrinco dell'Olivo. Tuttavia, in quest'ultimo caso, le foglie sono mangiate in maniera più simmetrica e possono essere colpite massicciamente anche foglie già sviluppate.

Qual è il ciclo biologico del Palpita unionalis? Quali specie sono maggiormente colpite? Come si può prevenire o combattere la Margaronia dell'Olivo? Quali effetti si hanno sulle piante e sulla produzione di Olive? Come difendere le piante colpite?

Foglie Olivo colpite da Margaronia



Ciclo Biologico del Parassita:

La malattia causata dagli insetti della specie Palpita unionalis è nota con diversi nomi; Tignola Verde dell'OlivoMargaronia dell'OlivoPiralide dell'Olivo.
Palpita unionalis è un insetto che appartiene all'ordine dei Lepidotteri ed è diffuso in tutto il Bacino Mediterraneo, dalla Spagna, alla Grecia, passando per l'Italia.
L'adulto di questa specie è una sorta di farfalla di colore biancastro che, diversamente dalle sue larve, non arreca danni alle piante. Questa "farfallina" compare nei campi ad inizio Primavera, ma la sua individuazione è un evento raro. Questo perché, di giorno, la Palpita unionalis rimane nascosta nel fogliame e solo all'imbrunire esce per cibarsi di nettare e di altre sostanze zuccherine.
Dopo l'accoppiamento vengono deposte le uova che, a temperatura ottimale (circa 25°C o 77° F), si schiudono nel giro di 3-4 giorni, tuttavia a temperature di 10° C (50° F) possono impiegarci anche un mese.
Le larve di Margaronia, inizialmente gialle, si accrescono nutrendosi dei teneri germogli dell'Olivo. Esse compiono 4 mute e, nell'ultimo stadio, sono in grado di mangiare anche foglie più coriacee e persino frutti.
Palpita unionalis riesce a compiere, a seconda del clima, 4 o 5 generazioni all'anno, ognuna delle quali dura in media 35 giorni. Lo svernamento avviene in tutti gli stadi larvali successivi alla prima muta, così come Crisalide (Pupa), ma mai nello stadio adulto.

Larva Palpita unionalis

Adulto Palpita unionalis



Danni e Piante Colpite:

La Tignola Verde è in realtà una specie polifaga che, oltre a colpire l'Olivo, attacca anche altre specie della stessa famiglia (Oleaceae), quali Frassino, Gelsomino e Ligustro.
Più raramente sono stati osservati attacchi anche a specie di altre famiglie, come Apocynaceae, Ericacea Umbelliferae.
La Margaronia causa danni che, estetica a parte, sono spesso trascurabili. Tuttavia, vi è una forte correlazione tra età delle piante e gravità della malattia e, in alcune condizioni, i danni possono diventare seri.                    
I problemi maggiori si hanno con giovani esemplari, con piante appena innestate o con Olivi che hanno subito una drastica potatura (Capitozzatura); in altre parole in tutti quei casi in cui la "nuova" vegetazione, che è quella preferita dal parassita, prevale sulla "vecchia".
Se questo patogeno "divora" i nuovi germogli, può compromettere la riuscita di un innesto, oppure modificare la forma d'allevamento nei nuovi impianti.
Se l'attacco è massiccio anche le piante "adulte" possono subire danni: in primis le Drupe diventano "cibo" per gli stadi larvali terminali, compromettendo così la loro maturazione; in secondo luogo attacchi tardivi possono indurre un ritardo nella ripresa primaverile, che si può ripercuotere sulla produzione dell'annata successiva.

Infine non dimentichiamoci dell'aspetto estetico, una pianta ornamentale è tale anche per la bellezza delle sue foglie. Una bella pianta di Ligustro o di Gelsomino le cui foglie, dopo esser state mangiate, sono ridotte ad una "lisca di pesce", diventano oggettivamente brutte alla vista.

Margaronia foglie Ligustro


Difesa e Lotta Biologica:

Trattamenti chimici, su Olivi adulti, sono sconsigliabili in quanto, come detto in precedenza, raramente la Margaronia comporta gravi perdite in termini di resa. In questi casi, semmai, è consigliabile una buona potatura, come ad esempio la "spollonatura" che, eliminando i vigorosi polloni che generano molte nuove foglie, riduce la quantità di "cibo disponibile" per le larve.
Palpita unionalis ha diversi antagonisti naturali. Molto attive risultano diverse specie del genere Apanteles e Nemorilla (ad es. Apanteles xanthostigmus o Nemorilla maculosa), tuttavia molte di esse parassitano l'insetto della Margaronia, uccidendolo solo negli stadi larvali finali.
Questo tipo di lotta biologica è utile per impedire la diffusione e la riproduzione della Tignola Verde, ma non riduce efficacemente i danni, qualora l'infezione fosse già in atto.
Nelle fasi iniziali dell'infezione può essere impiegato il batterio sporigeno Bacillus thuringiensis, il quale produce delle tossine innocue per l'uomo, ma  nocive per gli stadi giovanili delle larve di Palpita unionalis.
I trattamenti devono essere fatti precocemente, in quanto gli stadi larvali tardivi (III° e IV° stadio) sono poco sensibili a Bacillus thuringiensis.
Altri predatori sono rappresentati da diverse specie di ragni e da Syrphus corollae, un sirfide le cui larve si nutrono di quelle della Tignola Verde.
Trattamenti chimici specifici vengono, normalmente, evitati, anche perché risultano efficaci quelli utilizzati per combattere l'infezione di un altro insetto (la Mosca dell'Olivo).
In casi estremi (forti attacchi, su nuovi impianti monocauli o su giovani innesti di piante in Vivaio) si sono dimostrati efficienti Methidathion Tetrachlorvinphos ed, in generale, è bene utilizzare insetticidi che agiscano localmente e che non vadano in circolo, agendo in maniera circoscritta al punto di applicazione.
Il trattamento deve essere ripetuto più volte, in Aprile, a fine Giugno ed in Agosto.

Danni Margaronia Foglie

Tignola Verde dell'Olivo


Come Coltivare il Fico d'India (Opuntia ficus-indica)? Dove Cresce in Italia?

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Il Fico d'India (Opuntia ficus-indica) è una pianta grassa che, sul finir dell'estate, produce squisiti frutti, oggigiorno facilmente acquistabili in ogni supermercato.

Come si coltiva il Fico d'India? Dove può essere piantato in Italia? Qual è il suo clima ideale? Resiste al freddo intenso? Qual è il periodo di raccolta?

Fichi d'India



Origine e Diffusione :

Poiché il Fico d'India è coltivato, a scopo alimentare, sin da tempi antichi, la sua esatta origine geografica non fu facilmente individuabile. Ai giorni nostri le ricerche sono però concordi nel ritenere che la specie Opuntia ficus-indica sia originaria degli aridi altopiani del Messico, da dove fu importata in Europa già nel sedicesimo secolo e diverse fonti citano la sua presenza in Marocco già oltre 400 anni fa.
Per i nativi messicani la specie era nota come cactus "Nopalli", mentre il suffisso "d'India" fu coniato in seguito, da Cristoforo Colombo, il quale pensava di esser approdato in India.
Oggigiorno il Fico d'India è particolarmente diffuso in tutto il bacino Mediterraneo, nel Nord Africa, in California e Texas, nel Sud America ed in Medio-oriente, ma è presente un po' in tutte le zone miti ed aride del Mondo, persino in Namibia.
Il Fico d'Indio, in Italia, è comune in tutto il Mezzogiorno, tanto da diventare uno dei simboli della Sicilia, ciò nonostante prospera e ben si sviluppa anche nelle zone costiere poste a latitudini maggiori e persino nei microclimi più miti del Nord Italia, come ad esempio sulle sponde più riparate del Lago Maggiore.
La coltivazione del Fico d'India si concentra in Sicilia, rendendo così l'Italia uno dei maggiori produttori ed esportatori a livello mondiale.

Frutti Maturi Fico d'India

Nuova Pala Fico d'India
Biologia e Fisiologia :

Opuntia ficus-indica è il nome scientifico della pianta comunemente chiamata Fico d'India (o Ficodindia); ma non facciamoci trarre in inganno dal nome, i Fichi d'India non sono minimamente imparentati con i classici Fichi (Ficus carica), l'unica cosa che condividono è l'areale di crescita.
Opuntia ficus-indica appartiene alla famiglia delle Cactaceae ed al genere Opuntia, il quale annovera numerose specie di Cactus, utilizzate prevalentemente a scopo ornamentale. Opuntia ficus-indica, pur non essendo l'unica specie a produrre frutti commestibili, è l'unica pianta del genere per cui valga la pena la coltivazione come pianta da frutto.
Tra le oltre 200 specie del genere Opuntia, sono molte quelle che donano frutti "mangiabili"; ciò non vuol necessariamente dire che abbiano un buon sapore, ma semplicemente che non siano tossici. Un esempio è l'Opuntia cardiosperma, la quale produce frutti commestibili e di bell'aspetto, ma dal gusto particolarmente aspro.

Il Fico d'India è una pianta succulenta che raggiunge un'altezza media di circa 4 m (13 ft), con un notevole sviluppo orizzontale.
Il fusto è rappresentato da cladodi (noti come "Pale"), ovvero rami modificati che suppliscono alle funzioni normalmente ascrivibili alle foglie.
I cladodi dell'Opuntia ficus-indica hanno una consistenza coriacea, una forma ovale ed appiattita e possono misurare fino a 50 cm (1,6 ft) e, pur non essendo foglie, svolgono la Fotosintesi Clorofilliana.
Le Pale, al fine di limitare la perdita d'acqua, sono ricoperte da cera e fungono da veri e propri serbatoi. Un altro meccanismo evolutivo che ha permesso loro di svilupparsi in ambienti così aridi è noto come "Fotosintesi CAM" ed è condiviso anche da altre specie come Agave ed Ananas.
Per capire come funziona dobbiamo ricordarci che, nella fotosintesi, si produce ossigeno (O2) e glucosio (C6H12O6), mentre si consuma acqua (H2O) ed anidride carbonica (CO2).
In tutte le piante gli scambi gassosi con l'ambiente avvengono tramite particolari fessure, chiamate Stomi, che possono essere aperte o chiuse.
L'apertura degli stomi permette il passaggio di CO2 (che entra) e di O2 (che esce), ma anche la perdita di acqua, tramite traspirazione.
Nelle piante normali gli stomi sono aperti durante il giorno, permettendo lo svolgimento della fotosintesi. Invece, le piante con metabolismo CAM, tra cui appunto i Fichi d'India, mantengono gli stomi chiusi durante il giorno, mentre li aprono durante la notte. In altre parole sono in grado di assorbire CO2 di notte ed immagazzinarla per il giorno seguente, quando sarà nuovamente disponibile luce per svolgere la fotosintesi.
Questo è un perfetto esempio di adattamento Xerofitico, di notte, infatti, l'umidità atmosferica è superiore e le temperature inferiori, limitando di fatto la perdita d'acqua dai tessuti. Tutto ciò si traduce in un netto risparmio; la quantità di acqua necessaria per trasformare 6 molecole di CO2 in una di C6H12O6 è fino a 5 volte inferiore, rispetto alle piante con un normale ciclo fotosintetico.

Le Pale "spuntano" da altre Pale, un po' come, nelle "piante classiche", i rami si generano da altri rami. Il Fico D'India ha una crescita veloce e risulta formato da numerosi cladodi fusi l'un l'altro, dando l'impressione che sia una pianta priva di tronco e rami.
E' importante menzionare il fatto che i cladodi svolgono la funzione di "foglie" solo nei primi anni di vita, dal quarto anno in poi, infatti, lignificano, cessano l'attività fotosintetica ed acquisiscono un ruolo prettamente strutturale, come fossero dei veri e propri tronchi.

Cladodi e Spine Opuntia ficus-indica


Ma  allora i Fichi d'India, ed in generale i Cactus, non hanno mai foglie?

Anche se all'apparenza non sembrerebbe, anche Opuntia ficus-indica produce delle "vere" foglie. Queste sono verdi, ricurve, di dimensioni assai contenute (pochi millimetri) e dalla vita estremamente effimera; infatti sono presenti solo sulle nuove pale e cadono nel giro di pochi giorni.
In altri termini, le foglie degli Opuntia, sono un retaggio evolutivo e si possono considerare degli organi vestigiali, ovvero organi che in un antico antenato avevano un ruolo, ma col passare del tempo hanno perso la loro funzione. In effetti la presenza di "vere" foglie comporterebbe un cospicuo dispendio di acqua che, in un ambiente desertico, non permetterebbe loro di sopravvivere.
Analisi genetiche hanno dimostrato che molte specie di Cactus possiedono ancora i geni per un corretto sviluppo delle foglie, ma questi geni sono "tenuti" spenti, facendo così cadere le foglie negli stadi precoci.
Le foglie, prima di cadere, sono riunite in "ciuffetti", alla cui base si trovano particolari strutture, dette areole, che altro non sono che ascelle fogliari modificate. Dal tessuto che compone le areole si sviluppano due tipi di spine: glochidi e le spine vere e proprie.
Areole Fico d'India
I glochidi sono esili spine setolose a forma di uncino, molto irritanti e a comportamento caduco, ovvero, qualora fossero urtate da qualche animale intento a cibarsi delle succulente pale, si conficcherebbero nella pelle del malcapitato, provocando bruciore, irritazione e dolore. Inoltre la loro conformazione e struttura, renderebbe difficile l'estrazione, lasciandole all'interno della cute per molto tempo. Le "vere" spine hanno una lunghezza di un paio di cm (0.8 in), ovvero circa 10 volte più grandi rispetto ai glochidi, sono di colore bianco-grigiastro, saldamente ancorate alle pale, rigide e cave all'interno. Il loro scopo, più che irritare, è quello di provocare delle ferite. Esistono varietà di Opuntia ficus-indica, quasi prive di quest'ultima categoria di spine.

Ogni cladode contiene in media un centinaio di areole, il cui tessuto, oltre a generare spine, si può differenziare anche in germogli e foglie (ovvero formare nuove pale), in radici avventizie e persino in fiori.

Ricapitolando, il Fico d'India è una pianta succulenta che ha dei tronchi/rami che in realtà assomigliano e svolgono la funzione delle foglie, delle vere foglie che durano pochi giorni e che vengono sostituite da spine. Insomma una pianta un po' diversa da quelle "classiche", che si conoscono sin da bambini.

I Fiori del Fico d'India sono ermafroditi, a forma di coppa, con petali generalmente gialli, ma talvolta anche rosa o arancione tenue e si formano dalle areole presenti sui cladodi. Questi fiori hanno un diametro di circa 5 cm (2 in), stami ben sviluppati  e, con il loro polline e nettare, attraggono numerosi insetti pronubi, i quali provvedono all'impollinazione.
La fioritura avviene nella tarda primavera (Maggio-Giugno), ma qualche fiore isolato può aprirsi anche nel periodo autunnale.
Se si eliminano i fiori della prima fioritura (operazione nota come scozzolatura), lo stress indurrà una seconda fioritura, che genererà frutti tardivi, chiamati "Bastardoni", particolarmente ricercati per la loro bontà e la minor quantità di semi.
La localizzazione dei fiori non è casuale, infatti i fiori si originano generalmente all'estremità delle pale e ce ne possono essere fino a 30 su ogni singola pala, sebbene spesso se ne contino circa una decina.
La fioritura è concentrata sulle pale di un anno di età, ciò nonostante possono fiorire anche quelle di 2-3 anni, raramente quelle dell'annata. Inoltre le fioriture più copiose avvengono sui cladodi meglio esposti ai raggi solari.

Fioritura Fico d'India

Fiore Opuntia ficus-indica

Opuntia ficus-indica Flower



I Frutti del Fico d'India sono delle bacche carnose di forma cilindrica più o meno allungata a seconda del periodo di maturazione, della varietà e dell'esposizione al Sole ed, in Italia, maturano tra Agosto e Settembre ("Agostani") o, in seguito a scozzolatura, tra Ottobre e Novembre ("Bastardoni").
Sebbene verdi da acerbi, a maturazione i frutti possono aver diverse colorazioni, sia della buccia, sia della polpa, dal bianco-giallo, sino al rosso porpora.
Sull'epidermide dei frutti si trovano numerosi glochidi, i quali rendono complicata la raccolta, rendendo indispensabile l'uso di spessi guanti. La polpa è commestibile, saporita e dal gusto dolce, tuttavia in essa sono immersi innumerevoli piccoli semi (anche 300 per frutto), di consistenza coriacea, che rendono ostica la masticazione. Sarebbe auspicabile selezionare nuove varietà che abbiano meno semi o che ne siano addirittura prive (Apirene) ma, negli anni, non credo si siano fatti particolari sforzi in questa direzione.
Contrariamente a quel che si credi, l'apparato radicale dell'Opuntia ficus-indicaè poco profondo e localizzato, prevalentemente, nel primo mezzo metro di suolo (20 in). Per contro queste radici sono molto espanse, robuste ed in grado di sgretolare la roccia o inserirsi nella più minuscola fessura.

Frutti Maturi Fico d'India

Polpa e Semi Opuntia ficus-indica



Coltivazione, Clima, Potatura e Cure :

Opuntia ficus-indica è una pianta succulenta e, come tale, si è evoluta per crescere in ambienti molto aridi, se non quasi desertici. Il loro habitat naturale è rappresentato dai pendii assolati di zone miti e secche, tuttavia l'ambiente di coltivazione della specie si è esteso notevolmente, tanto da poter esser considerata naturalizzata in tutte le zone a clima Mediterraneo.
Nella realtà il Fico d'India ha una resistenza al freddo più alta di quanto comunemente si pensi, e non subisce danni da freddo fino a temperature di -6° C (21° F) e, se per brevi esposizioni, non muore neppure con temperature minime inferiori. Ciò nonostante, per un'ottima produzione, è consigliabile coltivarli solo in zone in cui raramente le temperature invernali scendano sotto gli 0° C (32° F). In altre parole hanno una rusticità paragonabile a quella degli Agrumi meno resistenti al gelo (ad es. Limone).
Tuttavia, in ambienti tropicali, la produzione fruttifera sarebbe limitata; questo perché le basse temperature favoriscono lo sviluppo di fiori. E' stato osservato che, nel range di temperatura tra 5 e 15° C (41-59°F) la produzione di fiori è circa 10 volte superiore rispetto alla produzione di nuove pale, tra 15 e 25° C (59-77° F) vi è un egual produzione, mentre tra 25 e 35° C (77-95° F) le nuove pale sono 10 volte superiori ai fiori. Riassumendo, le basse temperature favoriscono la produzione di organi riproduttivi, mentre le alte quelli degli organi vegetativi.
Il Fico d'India può crescere in zone torride, senza subire danni e sopportare temperare massime che ucciderebbero la maggior parte delle altre piante. Questi Cactus, infatti, riescono a sopravvivere anche con temperature superiori ai 50° C (122° F), alcuni autori riportano che le cellule di questa pianta possano non morire, anche dopo brevi esposizioni a 65° C (149° F).
Opuntia ficus-indicaè una specie spiccatamente eliofila e un'esposizione in pieno Soleè consigliata. All'ombra la crescita è stentata e la produzione di fiori (e frutti) nulla.
Come più volte accennato, questa Cactacea è assai resistente alla siccità e può crescere su un'ampia gamma di terreni, pur preferendo quelli sabbiosi o rocciosi, ben drenanti, a pH neutro o leggermente alcalino; inoltre è nota la sua tolleranza alla salinità del suolo e alla salsedine dell'aria, non a caso è presente sui declivi costantemente esposti alle brezze marine. La concimazione a base organica, pur aumentando le rese, non è necessaria.
Frutticini Fico d'IndiaLa potatura va effettuata dopo la fruttificazione e prima della ripresa vegetativa. Si effettua eliminando le Pale maldisposte, che si incrociano od entrano in contatto, nonché quelle danneggiate dagli agenti atmosferici.
Il Fico d'India è piuttosto resistente nei confronti dei patogeni e può fruttificare anche senza trattamenti chimici. Ciò nonostante può essere attaccato da più specie di insetti fitofagi appartenenti al genere Dactylopius. Queste cocciniglie, tramite la saliva, iniettano nei cladodi una sostanza tossica, che provoca la comparsa di numerose macchie biancastre dall'aspetto cotonoso. La Mosca Mediterranea della Frutta (Ceratitis capitata) sverna solo nelle regioni più miti d'Italia, le larve della specie si nutrono della polpa dei frutti, preferendo quelli zuccherini e privi di acidità. I Fichi d'India maturano in un periodo in cui molti altri frutti estivi "dolci" sono già maturati, diventando così un ottimo bersaglio per questo insetto.
Temperature invernali sub-letali, possono inibire la fruttificazioni e i ristagni idrici (poco tollerati) facilitano l'attacco di funghi e provocano marciumi radicali.

Frutti Immaturi estremità Pale


Frutti Immaturi sui cladodi

Varietà, Riproduzione ed Utilizzi :

In Italia sono presenti essenzialmente tre tipi di cultivars: Muscaredda (Bianca), Sulfarina (Gialla) e Sanguigna (Rossa), che si differenziano per la colorazione dei frutti e della loro polpa. Esiste anche una varietà chiamata "Apirena", un nome ingannevole, dato che questa non è senza semi, ma ne ha semplicemente meno.
Il Fico d'India è facile da propagare, i suoi cladodi (o anche dei frammenti) radicano molto velocemente, è dunque semplice la riproduzione per via vegetativa, tramite Talea. La pianta si può moltiplicare anche tramite semina, tuttavia, qualora si volesse una cultivar specifica, si dovrà ricorrere al primo metodo.
Il fatto che i frutti abbiano numerosi semi e che le pale, a contatto col suolo, formino facilmente nuove radici, ha permesso una veloce diffusione della specie che, nelle condizioni climatiche ottimali, è diventata addirittura infestante, crescendo persino tra le rocce.
Piante moltiplicate tramite talea iniziano a fruttificare a partire dal terzo anno e rimangono altamente produttive fino a circa 35-40 anni di età.
Opuntia ficus-indicaè una pianta coltivata, prevalentemente, per la produzione dei Fichi d'India, soprattutto in zone aride in cui poche altre piante fruttificherebbero. Si possono ottenere frutti, senza irrigazione, anche in zone in cui cadono meno di 300 mm/anno, ovvero la metà di quelli che cadono a Catania.
La specie ha un ottimo rapporto Biomassa/Acqua e si stima che possa produrre 1 kg di Biomassa secca (peso dopo disidratazione) ogni 150 litri di acqua consumata. Questa peculiarità, se sfruttata a dovere, porterebbe alla produzione di grandi quantità di Biogas e Bioetanolo. Purtroppo, in Italia, la specie è spesso abbandonata a sé stessa, ma non è così in tutto il mondo, nel Sud America (Cile e Brasile) vi sono impianti di Biogas, alimentati dalla Biomassa prodotta da questo Cactus. Anche i semi trovano impiego, essi contengono infatti sino al 30% di Olio.
In Italia, oltre ai frutti, vengono utilizzate anche le Pale, sia come foraggio per gli animali, sia per l'alimentazione umana. In ultimo non dimentichiamoci la bellezza della specie, che permette il suo impiego anche come pianta ornamentale in giardini privati, orti e parchi pubblici.

Frutti in Maturazione Ficodindia

Opuntia ficus-indica

Pala Fico d'India

Cosa Vuol Dire Aploide e Diploide? Qual è la Differenza tra Organismi Aploidi e Diploidi?

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Molti di voi avranno sentito parlare di Cellule Aploidi o Diploidi o addirittura di interi organismi Aploidi (N) o Diploidi (2N), ma all'atto pratico quali sono le differenze? Cosa si intende per "Ploidia" di una specie?

Facciamo un passo indietro e ricordiamoci che tutti gli organismi viventi (dai batteri ai mammiferi, passando per le piante) possiedono all'interno delle proprie cellule una molecola chiamata DNA, che contiene l'informazione genetica necessaria per il loro sviluppo e la loro sopravvivenza. 
I Geni null'altro sono che "frammenti" di DNA che, fusi tra di loro, formano i Cromosomi.

Partiamo dalla nostra specie; l'Homo sapiensè un organismo Diploide che possiede 46 Cromosomi, tuttavia sono 23 paia di Cromosomi, ovvero ne abbiamo una coppia per ogni cromosoma. (Sebbene la ventitreesima coppia, sia composta da Cromosomi sessuali che, nel caso dei maschi, sono diversi e vengono indicati come Cromosoma X e Cromosoma Y, ma non soffermatevi su questo dettaglio che è ininfluente per capire il concetto di "Aploide-Diploide"). L'insieme di tutti i cromosomi di una specie viene detto Cariotipo.

Cariotipo Umano


Ma  cosa vuol dire questo?


Supponiamo che il Cromosoma 1 contenga il Gene "Colore degli Occhi" e il Gene "Colore dei Capelli" (nella realtà ci sono centinaia di geni su ogni cromosoma). Ognuno di noi avrà due Cromosomi 1 e, di conseguenza, 2 Geni "Colore Occhi" e 2 "Geni Colore Capelli". La stessa cosa potremmo pensarla anche per i restanti cromosomi.

Gli Alleli sono le varianti di uno stesso Gene, se prendiamo un'intera popolazione ed analizzassimo il "Gene Colore Occhi", presente sul Cromosoma 1, noteremmo che esistono più alleli, ad es:


  • Gene Colore Occhi "Blu"
  • Gene Colore Occhi "Verdi"
  • Gene Colore Occhi "Marroni"
  • Gene Colore Occhi "Neri"

Ogni organismo Diploide contiene sempre e solo 2 alleli (uno per cromosoma) per ogni gene. Se un individuo ha due alleli identici per un determinato gene si definisce Omozigote, altrimenti si definisce Eterozigote per quel carattere e, in quest'ultimo caso, prevarrà l'allele dominante.


Esempio:

Individuo 1, Omozigote, entrambi alleli "Occhi Blu", avrà gli occhi Blu
Individuo 2, Omozigote, entrambi alleli "Occhi Marroni", avrà gli occhi Marroni
Individuo 3, Eterozigote, ha un allele "Occhi Marroni" e uno "Occhi Blu". In questo caso l'allele "Occhi Marroni"è dominante (e conseguentemente "Occhi Blu", recessivo), quindi l'individuo 3 avrà gli occhi Marroni, come l'individuo 2.

Gli alleli che si posseggono formano in Genotipo, mentre l'aspetto esteriore di un carattere viene chiamato Fenotipo. Nell'esempio sopra l'individuo 2 e 3 hanno lo stesso fenotipo ("Occhi Marroni"), pur avendo un diverso genotipo.


Alcuni Alleli dominanti o recessivi per l'uomo



In  molti geni non ci sono più alleli, ma ce ne è uno solo. In questo caso, tutti gli uomini, sono omozigoti per quel gene e ne contengono due copie identiche.


Lo stesso discorso vale per TUTTI gli organismi Diploidi, una Pianta Diploide avrà 2 coppie di ognuno dei suoi geni.


Ma che vantaggio c'è nell'essere Diploidi?

Per prima cosa avere una coppia di ogni gene potrebbe permette la sopravvivenza, anche qualora uno dei due fosse mutato o non funzionante. In secondo luogo, come spiegherò a breve, ciò permette di avere una maggiore variabilità genetica, grazie alla riproduzione sessuata.

Prendiamo una pianta diploide, tutte le sue cellule conterranno 2N cromosomi, dove N è il numero di "paia" di Cromosomi e varia da specie a specie. Ad esempio l'Albicocco, ha 8 paia di Cromosomi e, in totale, ogni sua cellula ha 2 x 8 = 16 Cromosomi.
Potremmo dire che il corredo cromosomico "Aploide" dell'Albicocco è N = 8, oppure che il suo correndo cromosomico "Diploide"è 2N = 16, mentre la Betulla ha 2N = 28 o N = 14 etc..


Ma quindi tutte le cellule dell'Albicocco sono diploidi?

Quasi tutte, ma non tutte. Le cellule che daranno origine alle cellule sessuali maschili (Polline) ed alle cellule sessuali femminili (Ovuli), vanno incontro ad un processo noto come Meiosi, tramite cui una cellula "diploide" si trasforma in una cellula "aploide", dimezzando il numero dei propri cromosomi.

Tutte le cellule sessuali sono aploidi, ovvero ogni granulo di polline ed ogni cellula uovo del fiore, contengono solo 1 un cromosoma di ogni coppia di cromosomi.

Facciamo un esempio pratico:
tutte le cellule che compongono le foglie, i rami, i frutti e le radici della nostra pianta diploide (nell'esempio l'Albicocco) conterranno 2N cromosomi. Sotto sono indicate le 8 paia di cromosomi (con i numeri dall'1 all'8), mentre i due cromosomi di ogni coppia sono indicati con la lettera A, oppure B. Tutte le cellule diploidi di una stessa pianta hanno esattamente gli stessi cromosomi.


1A-1B
2A-2B
3A-3B
4A-4B
5A-5B
6A-6B
7A-7B
8A-8B



Le cellule sessuali (Polline ed Ovuli) avranno solo uno dei due cromosomi 1 (o 1A o 1B), solo uno dei due cromosomi 2 (o 2A o 2B) e così via. Dato che prendere A o B è un evento casuale, si intuisce che praticamente ogni cellula sessuale avrà un diverso assortimento di Cromosomi.


Per esempio un granulo di Polline potrebbe avere i seguenti Cromosomi:


1B
2A
3B
4B
5B
6A
7A
8B

Mentre un altro potrebbe avere:

1A
2A
3B
4A
5B
6B
7B
8A



Durante l'impollinazione, una cellula di polline (Aploide) feconda un ovulo (Aploide). Questa fusione ripristina la Diploidia (N + N = 2N), permettendo lo sviluppo di una nuova pianta. Il fatto che ogni cellula di polline (ed ogni ovulo) non sia identico all'altro, fa si che ogni seme sia un po' diverso da un altro, generando una pianta un po' diversa da un'altra, sebbene la pianta madre sia la stessa (clicca qua per maggiori dettagli).

Riproduzione Sessuale



Nelle piante superiori, così come nell'uomo, l'organismo intero è Diploide e le cellule sessuali (Aploidi) non potrebbero vivere vita autonoma. Ma alcune piante, come le Alghe e le Felci, possono svilupparsi e crescere, alternando una fase Aploide (Gametofito), con una Diploide (Sporofito), in un meccanismo noto come Ciclo Aplodiplonte
Altre piante, invece, sono addirittura poliploidi; ad esempio i Banani, che producono le banane che tutti noi mangiamo, sono triploidi (3N) e sterili. Ogni loro cromosoma è presente in triplicato.

I Batteri, i Protozoi, ma anche altri organismi esistono solo nella forma Aploide (N).

Negli Animali pluricellulari esistono casi particolari, come ad esempio quello dell'Ape (Apis mellifera).
L'Ape Regina è diploide (2N), mentre  le sue uova sono aploidi (N). Queste uova possono essere fecondate o meno ma, in entrambi i casi, daranno origine ad una nuova ape. Se non vengono fecondate rimangono Aploidi ed originano il maschio dell'Ape (Fuco), se invece vengono fecondate si sviluppa l'Ape femmina, che è Diploide. Quindi, in questa specie, il sesso dell'Ape è determinato dalla ploidia. Fuco (N) e Ape Femmina (2N).

Ciclo Aplodiplonte

Dove Crescono i Papaveri Rossi (Papaver rhoeas)? Quando Fioriscono?

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Tra le molte specie di Papaveri, quella più diffusa e comune in Italia è sicuramente il Papavero Rosso o Rosolaccio (Papaver rhoeas) che, in primavera, compare nei prati, diventando addirittura infestante. 

Come si coltivano i Papaveri? In che periodo fioriscono in Italia? Quante e quali specie di Papavero ci sono nel Mondo? Quando si semina?

Papaver rhoeas

Col nome generico "Papaveri" ci riferiamo alle quasi 50 diverse specie, tutte appartenenti al genere Papaver. L'origine del Papavero Rosso, così come delle altre specie, non è del tutto chiara, ma si pensa sia nativo delle zone temperate comprese tra Europa, Nord Africa, Nord America ed Asia, escludendo un'origine in zone tropicali.
Alcune specie di Papavero, come ad esempio il Papaver orientale, sono perenni, ovvero, ricrescono di anno in anno, proprio come avviene per alcune bulbose (es. Narcisi). Questa prima tipologia di Papaveri si riproduce spesso per via vegetativa ed ha una scarsa produzione di semi.
La seconda categoria è rappresentata dai Papaveri Annuali o Biennali, i quali vivono, rispettivamente, uno o due anni. Queste specie, tra cui il Papaver rhoeas, producono un'abbondante quantità di semi, che si disperdono facilmente nell'ambiente circostante.
Le maggiori differenze tra Papaveri perenni ed annuali sono quelle sopraelencate, tuttavia le differenze morfologiche ed estetiche tra le specie sono marcate anche all'interno di questi due raggruppamenti.

Fioritura Papaveri


Botanica e Fisiologia :

Foglie e Steli PapaveroIl Papavero Comune o Rosolaccio (Papaver rhoeas) è una pianta annuale a sviluppo erbaceo, che appartiene alla famiglia delle Papaveraceae. Raggiunge un'altezza di circa 60-70 cm (24-27 in), con i fiori posti alla sommità del fusto. Le foglie di questa specie sono concentrate nella parte basale del fusto, sono di color verde, dalla forma lanceolata e coi margini seghettati. Il fusto è cosparso da peli semi-rigidi, che conferiscono un aspetto rugoso. Le infiorescenze del Papavero, che partono dall'ascella fogliare, sono lunghe, ispide ed erette, tranne alla sommità che si ripiega sotto il peso dei boccioli fiorali. Questi ultimi assomigliano sia per forma, che per dimensione ad una grossa oliva verde da mensa. I fiori del Rosolaccio sono composti da 4 petali Rossi, talvolta macchiati di nero alla base, in corrispondenza degli stami (anch'essi neri). Dopo la fioritura, i Papaveri producono i loro frutti, al cui interno sono conservati i preziosi semi, i quali vengono sparsi dal vento e dagli animali, garantendo il propagarsi delle specie anno dopo anno. L'efficienza riproduttiva è talmente alta che i Papaveri Rossi sono considerati infestanti, colonizzando prati erbosi, margini stradali, campi di grano, ma anche binari ferroviari, fessure tra i mattoni o crepe nei marciapiedi.
La fioritura del Rosolaccio, in Italia, avviene tra fine Aprile e Maggio, ma è fortemente condizionata dall'andamento climatico. In zone con estati fresche, come quelle tipiche dei paesi nord-europei, la fioritura può essere tardiva e prolungata. Qui non è raro vedere fiori di Papavero anche in Giugno, Luglio e talvolta Agosto.
Oltre all'ovvia funzione di "propagazione", i semi di Papavero trovano impiego in cucina, vengono infatti aggiunti a pane, focacce e a qualche dolce, donando un aroma piacevole.

Fiore Papavero Rosso

Coltivazione, Propagazione e Clima :

Il Papavero Comune è ideale per l'inselvatichimento e può essere seminato in autunno. La specie non teme il freddo e può reggere anche geli intensi, germogliando ad inizio primavera. Le specie di Papavero perenni, oltre che per semina, vengono moltiplicate anche per Talea. In quest'ultimo caso le nuove piantine vanno piantate ad inizio primavera.
I Papaveri sono vegetali molto rustici e possono crescere su un'ampia gamma di terreni. Questi fiori amano la luce ed è consigliabile coltivarli in zone assolate, tuttavia hanno un discreto sviluppo anche in zone di mezz'ombra, specie in luoghi torridi ed aridi.
Non temono la siccità, anche perché il loro sviluppo termina prima dell'arrivo delle alte temperature estive; per contro sarebbe meglio evitare zone eccessivamente ventose che danneggerebbero i teneri fiori.
Le precipitazioni primaverili sono più che sufficienti in quasi tutte le zone d'Italia, l'innaffiatura è dunque tranquillamente dispensabile.
Sia le specie annuali (o biennali), sia quelle perenni, seccano in inverno. Nel primo caso la pianta non rinascerà, mentre nel secondo caso spunterà esattamente laddove aveva fiorito l'anno precedente. Per le specie annuali è più difficile fare aiuole fiorite che si "auto-rinnovino" ogni anno, questo perché il vento spargerebbe i semi in maniera casuale, su un'area piuttosto grande. Le perenni, invece, si potranno piantare scegliendo la giusta collocazione, che verrà mantenuta anche negli anni a venire.


Quali sono le specie più diffuse di Papavero? Quali sono le loro differenze? :

  • Papaver rhoeas : Specie più volte nominata nell'articolo. Pianta rustica che produce fiori rossi tra la tarda primavera e l'estate. Diffusa in Italia, dai prati in pianura, fino a quelli di montagna.
  • Papaver alpinum : è diffuso sulle Alpi ed è caratterizzato da un modesto sviluppo, raggiungendo a stento i 15-20 cm (6-8 in). I fiori hanno petali o bianchi o gialli, mentre le antere, ed il loro polline, sono gialle.
  • Papaver nudicaule : noto anche come Papavero Islandese, è nativo delle zone Subpolari d'Europa ed Asia, ma ora particolarmente diffuso in Islanda. La specie selvatica ha fiori di tonalità chiare (giallo paglierino o bianco); tuttavia, a scopo ornamentale, sono state ottenute numerose varietà dai colori più disparati. La pianta contiene elevate quantità di Alcaloidi (una classe chimica, spesso tossica) ed è pertanto potenzialmente velenosa.
  • Papaver somniferum : ovvero il Papavero da Oppio. Sebbene la specie abbia fiori molto ornamentali, dal colore bianco con sfumature viola e lilla, viene coltivata per altri scopi. Dalle pareti dei frutti immaturi di Papaver somniferum si preleva, in seguito ad incisione, una sostanza biancastra, ricca di Alcaloidi (principalmente Morfina e Papaverina). Con questo lattice biancastro si ricava l'Oppio, i cui principi attivi hanno un enorme potenziale farmacologico, ma lo rendono anche una droga a tutti gli effetti; in passato, infatti, veniva utilizzato anche come "energizzante" dai lavorati nelle miniere. Dall'Oppio, oggigiorno, si possono ricavare droghe ancora più distruttive, come l'Eroina
  • Papaver orientale : è una specie perenne, resistente al gelo, originaria dell'Asia centrale. In estate, dopo la sfioritura, le foglie seccano e la pianta "scompare", lasciando una buca. Questo è un meccanismo evolutivo che permette loro di sopravvivere alla siccità estiva.
  • Papaver californicum : questa pianta erbacea è endemica della California. Dotata di antere molto lunghe, vegeta bene in zone aride ed è tra le prime specie a colonizzare zone colpite da incendi.
  • Papaver dahlianum : denominato Papavero delle Svalbard, è il fiore simbolo di questo arcipelago Norvegese. E' tra le poche specie a crescere a latitudini così elevate (78-80° N) e lo si ritrova anche in Groenlandia. Le dimensioni sono più contenute rispetto a quelle di altri papaveri ed i fiori sono di color giallo molto tenue, con sfumature via via più chiare fino al bianco della sommità dei petali.
  • Papaver radicatum : questo papavero cresce ancora più a Nord rispetto al precedente ed è presente a Kaffeklubben Island (83°N), nel Nord della Groenlandia. E' probabilmente il fiore selvatico più vicino al Polo Nord.
Papavero da Oppio Papaver somniferum


Boccioli Papavero Rosso


Papaver rhoeas flowers

Campo Fiorito di Papaveri



Cos'è il Fototropismo nelle Piante? Come Funziona?

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Chi non ha mai coltivato una pianta in casa, magari vicino alla finestra? Penso nessuno e penso anche che molti di voi avranno notato che se la pianta non viene mossa o girata, dopo un po' di tempo indirizzerà le proprie foglie ed i nuovi rami verso la finestra (o la fonte luminosa).

Questo fenomeno è noto come fototropismo, ma qual è il suo ruolo? Come fanno le piante a percepire la direzione da cui proviene la luce? Quali sono i meccanismi che spostano le foglie verso il Sole? Quando e perché succede?

Fototropismo nel Corbezzolo


Tutte le piante devono svolgere una reazione per loro fondamentale, la Fotosintesi Clorofilliana che, come avrete letto, necessita dell'energia solare. La luce è dunque essenziale per le piante e un ambiente innaturale e poco luminoso, come l'interno di un'abitazione, esacerberà il fototropismo.
Questo meccanismo si è evoluto per poter intercettare il massimo delle radiazioni luminose, mantenendo le radici ancorate al suolo.


Ma quindi piante cresciute all'aperto non sono soggette a questo fenomeno?

Ovviamente le piante non possono muoversi e non possono scegliere dove nascere. Un seme può essere trasportato dal vento e trovare terreno fertile, anche in una zona ombrosa, magari dietro ad un albero o a un grosso muro. Il fototropismo gli permetterà di crescere nella direzione opposta rispetto all'ostacolo, permettendo alla pianta adulta una migliore esposizione a raggi solari
Se prendessimo due piante con elevato fabbisogno di Sole e le seminassimo in una stessa posizione ombrosa, quella che si "muoverà" di più verso la luce, svolgerà una fotosintesi più efficace, riuscirà a produrre più frutti e, di conseguenza, a spargere più semi. Avrà dunque un enorme vantaggio evolutivo, rispetto alla pianta poco avvezza a direzionarsi verso la luce. 

Quindi il fototropismo è ben evidente anche negli ambienti naturali ed esterni, ma l'entità di questo fenomeno non è identico in tutte le specie. Questo perché ogni specie  ha un diverso fabbisogno di luce solare: alcune piante si accontentano di poche ore di luce diretta al giorno ed, anzi, un'eccessiva esposizione al Sole è per loro dannosa; altre piante, invece, sono particolarmente Eliofile (amanti del Sole) e cercheranno di stare, quante più ore possibili, esposte ai raggi solari diretti .

Se prendessimo l'Edera noteremmo che non è molto soggetta al fototropismo, infatti riesce a fiorire e a riprodursi anche in luoghi ombreggiati. Se invece osservassimo la Mimosa, ci accorgeremmo che la sua chioma cresce spesso sbilanciata e rivolta dalla parte opposta rispetto all'ostacolo (case, muri, grossi alberi, dirupi etc.).
Una delle piante più eliofile in assoluto (l'Olivo) è talmente soggetta al fototropismo da indirizzare le proprie foglie verso il Sole (nell'emisfero boreale, verso Sud), anche se cresciuta in pieno campo e godendo del Sole dall'alba al tramonto. Qualora vi perdeste in un campo di Olivi, guardare le foglie e saprete che "guardano verso Sud".




Ma ci sono effetti negativi nel fototropismo?

Certamente sì, in primisuna chioma sbilanciata non giova di certo all'estetica di una pianta quindi, se una specie ornamentale si "piega troppo", sarà meglio intervenire con opportune potature.
In secondo luogo, una pianta sempreverde "storta", in zone in cui nevica, può essere più soggetta a danni meccanici da neve.
La neve può rappresentare uno stress non da poco; essa è infatti pesante e se non è equi-distribuita sulla chioma può facilmente spezzare rami, anche di un certo diametro.


Ma quali sono le basi molecolari di questo fenomeno? Come fanno le piante a "sentire" la luce ed ad attuare una risposta? Perché le foglie si piegano verso la sorgente luminosa?


Il fototropismo delle piante fu studiato già a partire da inizio '800. Il botanico svizzero Augustin Pyrame de Candolle (1778-1841) osservò che le piante si piegavano verso la luce e dedusse che la causa di questa asimmetria fosse attribuibile ad una diversa velocità di crescita delle cellule poste sul lato esposto all'ombra, rispetto alle altre. Tuttavia non riuscì a comprendere come questo avvenisse e come la radiazione solare potesse influenzare la velocità di crescita.

Una settantina di anni dopo, Charles Darwin e suo figlio Francis investigarono ulteriormente il fenomeno. Provarono a crescere dei germogli ed osservarono che, sin dai primi istanti di vita, i coleottili (stadio del germoglio in cui vi è la prima, ed unica, foglia) si piegavano tutti verso la fonte luminosa e che se la luce veniva spostata, allora anche i coleottili cambiavano il proprio orientamento; fin qua nulla di nuovo.

Ripetettero l'esperimento con quattro coleottili:

  • Al primo venne tagliato l'apice vegetativo (la punta o estremità)
  • Al secondo fu applicato un un nastro opaco, all'apice vegetativo
  • Al terzo fu applicato un nastro trasparente, all'apice vegetativo 
  • Al quarto fu applicato un nastro opaco alla parte basale del germoglio
  • Il quinto venne lasciato crescere normalmente (controllo).

I Darwin osservarono che i germogli 1 e 2 non si piegavano più verso la luce, mentre i 3,4,5 sì. In altre parole se veniva rimosso l'apice vegetativo o veniva "tenuto al buio" da un nastro opaco, la pianta non era più soggetta al fenomeno del fototropismo. E' interessante notare che il nastro opaco di per sé non inibisce il fototropismo, lo fa solo se "oscura" l'estremità, mentre non ha effetto se "oscura" la parte basale.

Darwin dedusse che ci dovesse essere una qualche sostanza, prodotta dall'apice vegetativo, in seguito ad esposizione alla radiazione luminosa e che questa sostanza andasse a regolare la crescita delle cellule sottostanti (parte basale della pianta), causando l'incurvatura.
Esperimenti di Darwin sul Fototropismo



Nel 1913 il Danese Boysen-Jensen diede un'ulteriore dimostrazione che la "sostanza segnale del fototropismo" dovesse passare dall'apice, alla parte basale del germoglio. Per fare questo tagliò l'apice, inserì uno strato di gelatina (Agar) o di mica (un materiale impermeabile all'acqua) ed infine ci ricollocò sopra l'apice rimosso in precedenza.
Egli notò che il fototropismo si manifestava solo dopo l'inserimento dello strato di gelatina e ne dedusse che la sostanza ignota dovesse essere di origine chimica e che potesse diffondere (come l'acqua) attraverso la gelatina, ma non attraverso la mica.

Peter Boysen-Jensen fece anche un altro esperimento: inserì un pezzettino di mica sul lato illuminato o su quello in ombra.
Egli notò che quando il pezzo di mica era inserito nel lato rivolto verso la luce, il germoglio era soggetto a fototropismo e si indirizzava verso la luce, esattamente come il controllo "naturale".
Se invece la lamina di mica era inserita sul "lato oscuro", allora il germoglio perdeva la capacità di flettersi.
In altri termini, se il pezzetto di mica impediva il passaggio del segnale chimico dall'apice alle cellule "in ombra", allora si bloccava il fototropismo.

Questo suggerì che il segnale chimico prodotto dall'apice vegetativo dovesse stimolare solo le cellule del lato in ombra, facendole crescere di più rispetto a quelle presenti sul lato assolato.


A metà degli anni '20, lo scienziato Frits Went recise l'apice dei coleottili e li depose a contatto con l'Agar, in corrispondenza del taglio. Dopodiché mise il tutto in una stanza buia ed aspettò che "la sostanza ignota" diffondesse dall'Apice reciso all'Agar.
Successivamente appoggiò il pezzo di Agar centralmente, sopra al germoglio reciso ed osservò che esso iniziò a crescere diritto. Ripetette l'esperimento, posizionando l'Agar in maniera asimmetrica, più spostato verso uno dei lati della "piantina recisa" ed osservò che la pianta si piegava nella direzione opposta rispetto al punto di applicazione dell'Agar.
Come controllo usò un pezzetto di Agar che non era venuto a contatto con niente e nulla si mosse, suggerendo che non era l'Agar in sè a far crescere il germoglio.
Ne dedusse che questo "fattore di crescita", prodotto dall'Apice del Germoglio, fosse diffuso nell'Agar e che il pezzetto di Agar intriso di questa sostanza chimica potesse comportarsi come l'Apice vero e proprio.
Inoltre capì che solo la linea di cellule sottostanti all'Agar (e quindi a questa sostanza chimica) erano indotte a crescere.

Esperimenti Boysen-Jensen e Went Fototropismo



Questo fattore di crescita (ormone) venne nominato Auxina ("Auxein", che in Grego significa "aumentare"), ma ci vollero altri 20 anni per avere un'identificazione chimica. Nel 1931 Kogl Haagen & Smit Thirmann scoprirono che l'Auxina è un acido carbossilico: l'acido indol-3-acetico (IAA).

L'ultimo tassello da capire è come ci possa essere, naturalmente, una distribuzione così asimmetrica dell'Auxina. Inizialmente si credeva che la radiazione luminosa degradasse o rendesse inattiva l'Auxina; quindi nelle cellule apicali del germoglio, poste in ombra, c'era una più alta concentrazione di Auxina o una più alta concentrazione di Auxina "funzionante".
Successivamente, altri esperimenti, evidenziarono come la radiazione luminosa alterasse la velocità di diffusione, alterando il flusso di Auxina tra la parte in ombra e quella illuminata. In altre parole, il flusso netto di Auxina era nella direzione Cellule Illuminate verso Cellule in Ombra e, di conseguenza, determinava un maggiore accumulo di questo ormone nel lato ombreggiato.
A tutt'oggi non si ha ancora una risposta univoca; la cosa più probabile è che siano vere entrambe le ipotese e che i meccanismi che controllano l'Auxina siano molti ed interconnessi tra di loro.


RIASSUMENDO:

La luce colpisce l'apice vegetativo dei germogli, questi rispondono producendo l'Auxina. Questo ormone sarà meno concentrato dalla parte dell'apice maggiormente esposto alla luce. L'Auxina provoca la crescita delle cellule "in ombra", al di sotto dell'apice vegetativo (parte basale del germoglio). Questa crescita differenziale fa si che le cellule sul lato ombroso siano più lunghe, determinando la piegatura del germoglio verso il lato opposto (quello assolato).


Effetti di Luce e Auxina sulle Cellule

Pianta piegata verso la luce



Dove Cresce la Palma da Olio (Elaeis guineensis)? Come Si Ricava l'Olio di Palma?

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L'Olio di Palma è largamente utilizzato in ambito dolciario e non solo; tuttavia in molti sostengono che sia poco salutare o, peggio ancora, pericoloso e, ultimamente, il suo "non utilizzo"è pubblicizzato dai maggiori produttori di biscotti e merendine.

Quali vantaggi e/o svantaggi offre l'Olio di Palma, rispetto all'Olio d'Oliva o di Girasole? E' realmente così dannoso? Qual è la pianta da cui viene estratto questo Olio? Come e dove si può coltivare una Palma da Olio  (Elaeis guineensis)?

Casco Frutti Palma da Olio


Origine e Diffusione :

La Palma da Olio (Elaeis guineensis) è originaria dell'Africa Occidentale ed in particolare del Golfo di Guinea. Le prime informazioni su questa specie risalgono al XV secolo, quando gli esploratori portoghesi la trovarono in Liberia.
L'habitat nativo della Elaeis guineensis è rappresentato dalle foreste pluviali in prossimità dell'equatore e la distribuzione naturale della specie si estende dal Senegal (16° N), sino all'Angola (15° S).
Oggigiorno la Palma da Olio è particolarmente diffusa nel Sud-Est Asiatico e nazioni come Malesia ed Indonesia detengono il record d'esportazione fornendo, da sole, circa l' 85% del fabbisogno mondiale. Negli ultimi anni si è iniziato a coltivarla anche nelle zone equatoriali a clima umido dell'America latina.

Uno dei maggiori svantaggi della coltivazione così intensiva è la progressiva riduzione della biodiversità, presente nelle foreste tropicali.
L'alta resa, i bassi costi di gestione ed i facili guadagni fanno gola a molti e, in nazioni povere e sottosviluppate, non esistono regole ferree per la salvaguardia dell'ambiente; tutto questo ha portato all'abbattimento di migliaia di ettari di folta vegetazione assortita, sostituita da altrettanti ettari di monocoltura, riducendo le risorse e portando sulla via dell'estinzione innumerevoli specie animali.
La vergine foresta pluviale dell'Isola di Sumatra, in Indonesia, era, fino agli anni '50, un'oasi incontaminata, l'habitat ideale per molte specie selvagge. Negli ultimi anni la deforestazione, in gran parte per far spazio ai campi di Palma da Olio, ha ridotto di circa il 70% l'area occupata da queste foreste. L'animale vittima, simbolo di questa antropizzazione ambientale, è l'Orango: questa scimmia è abituata a mangiare tenere foglie, germogli e frutti e si muove da albero ad albero, saltando da un ramo all'altro, sia in cerca di cibo, sia per sfuggire ai predatori.
Le Palme da Olio, in confronto alla foresta pluviale, formano una vegetazione ben meno fitta, non hanno foglie commestibili per gli Oranghi e non hanno rami sui cui questi primati si possano arrampicare; in altre parole non possono sostentare la vita di questa specie, confinando i pochi esemplari rimasti, nelle ultime foreste presenti.
Vista Aerea Campo di Palme da Olio

Deforestazione e Palme da Olio

Botanica e Fisiologia :
Fioritura Elaeis guineensis
La Palma da Olio (Elaeis guineensis), appartiene alla famiglia delle Arecaceae (o Palmae) ed alla tribù delle Cocoseae, che annovera al suo interno altre Palme dall'indubbio valore commerciale (es. Palma da Cocco o Palma da Vino Cilena).
Al genere Elaeis appartengono solo due piante, la palma oggetto dell'articolo e la Elaeis oleifera (o Elaeis melanococca), comunemente chiamata Palma da Olio Americana.
Tuttavia quest'ultima specie, nativa del centro america, non è impiegata per la produzione di Olio su larga scala ma, dato che si può incrociare con Elaeis guineensis, è stata utilizzata per ottenere degli ibridi (Elaeis oleifera x Elaeis guineensis), i quali hanno buone rese in termini d'Olio ma, rispetto alle Palme da Olio Africane, sono più resistenti al marciume del germoglio apicale, causato da Phytophthora palmivora.

La Palma da Olio raggiunge un'altezza massima variabile, a seconda del clima e della varietà, dai 20 ai 30 m (65-98 ft). La crescita è rapida e ben più veloce rispetto alla media delle palme e, a maturità e nelle condizioni ideali, può essere anche di 50 cm all'anno (20 in).
La chioma della Elaeis guineensisè ampia e composta da una cinquantina di foglie, a diversi stadi di sviluppo. Il numero di foglie emesse ogni anno varia con l'età della pianta ed è, in media, di 25 foglie, da cui possiamo dedurre che la vita media di una foglia è di circa 2 anni.
Le foglie della Palma da Olio sono pennate, lunghe sino a 5 m (16 ft) e vengono prodotte esclusivamente dall'apice vegetativo. Esse sono unite al tronco tramite un picciolo frastagliato e lungo sino ad 1 m (3 ft). Ogni foglia è composta da 55-60 frammenti lanceolati ed appuntiti. La forma di queste foglie, così come il loro portamento, le fanno assomigliare a quelle di un'altra specie, la Palma Regina.

Il fusto è eretto, corpulento e su di esso permangono le parti basali dei piccioli fogliari. Tra i "frammenti" di picciolo ed il tronco si creano degli spazi vuoti che, con gli anni, si riempono di detriti e terriccio, permettendo lo sviluppo di altre specie; è infatti comune osservare felci che crescono proprio sul tronco di queste palme.
Le radici, inizialmente, si sviluppano come unico fittone che, in abbondanza di acqua, rimane piuttosto superficiale. In seguito, si sviluppano radici secondarie, terziarie e quaternarie, che formano un fitto intreccio in prossimità del tronco. In condizioni ottimali, l'apparato radicale è concentrato nei primi 30 cm (12 in) di suolo ed occupa un'area di circa 12,5 m(135 ft2), ovvero le radici sono presenti, via via più rade, sino a 2 m (6,5 ft) dalla pianta o un poco oltre.

Frutti di Elaeis guineensisUn altro vantaggio di questa specie è la precocità di entrata in produzione che, in zone vocate, può iniziare già a partire dal terzo-quarto anno di età.
Gli abbozzi delle infiorescenze compaiono all'ascella di ogni foglia, sin dai primi istanti della fogliazione, ma solo una parte di queste "infiorescenze primordiali" si trasformeranno in fiori, le altre abortiranno e marciranno. Il processo che porta allo sviluppo delle infiorescenze mature è lungo e può richiedere oltre due anni. Elaeis guineensisè una specie monoica, ovvero la stessa pianta produce due tipi di fiori: quelli maschili e quelli femminili. Ogni infiorescenza sarà maschile (con solo fiori maschi) o femminile (con solo fiori femmina), raramente mista. I fiori maschili sono piccoli, formati da 3 petali, 3 sepali e 6 stami, mentre il pistillo è abortito; i fiori femminili sono formati da 3 petali, 3 sepali e 3 cellule uovo.
Il rapporto tra infiorescenze maschili e femminili è determinato sia geneticamente, sia ambientalmente; è infatti noto che lunghi periodi di siccità inducono il differenziamento dei fiori maschilidiminuendo il rapporto fiori femminili/fiori maschili. L'impollinazioneè prevalentemente anemofila (ad opera del vento) ed i leggeri granelli di polline possono depositarsi anche sino a 40 m (131 ft) di distanza; gli insetti pronubi visitano principalmente i fiori maschili e solo raramente quelli femminili, l'impollinazione entomofila (ad opera degli insetti) è dunque meno frequente.

Dalla fioritura alla maturazione dei frutti passano mediamente 5-6 mesi ed ogni "casco" di frutti pesa circa 25 Kg (55 lb), occasionalmente 50 Kg (110 lb) ed eccezionalmente anche sino ad 80 Kg (176 lb).
Ogni frutto è lungo più o meno 3 cm (1,2 in), contiene un unico seme centrale circondato da una polpa carnosa e morbida, composta per il 50% da Olio. I frutti maturi sono di colore rossastro (simile ai Datteri) e raggruppati in un grappolo dalla forma tondeggiante.
I frutti deperiscono velocemente e, per poter esser trasformati in Olio, devono essere lavorati poco dopo la raccolta.

Frutti e Semi Palma da Olio

Foglia Palma da Olio



Crescita, Clima, Riproduzione e Varietà :

La Palma da Olio si moltiplica per semina, tuttavia i semi germogliano dopo 3 mesi, solo se le condizioni sono favorevoli (temperature elevate). Nel loro ambiente naturale, Africa Occidentale, i semi rimangono dormienti per tutta la stagione secca, germogliando solo in quella delle piogge.

Gli impianti, generalmente, vengono eseguiti piantando le Palme a triangolo, distanziate di 9 m (3,5 in) l'una dall'altra. Così facendo si possono far crescere fino a 150 Palme per ettaro.

Elaeis guineensis è una specie strettamente tropicale ed il suo clima ideale è quello delle foreste pluviali tropicali di pianura. Tuttavia, diversamente da altre palme, soffre l'ombreggiatura e richiede un'esposizione in pieno Sole. Per questo motivo, in natura, la si ritrova spesso ai margini delle foreste o in riva ai fiumi, difficilmente nel mezzo di una fitta foresta pluviale.
Le temperature devono essere alte e costanti durante tutto l'anno, senza troppi sbalzi nè tra il giorno e la notte, nè tanto meno tra le stagioni. Idealmente, le temperature massime dovrebbero essere attorno ai 30-32° C (86-90° F), mentre le minime notturne di 24° C (75° F).
Prolungati periodi con temperature inferiori ai 15° C (59° F) arrestano la crescita, fanno insorgere più facilmente alcune malattie e possono portare alla morte dell'intera pianta; ma anche in zone in cui ci sia una stagione con temperature medie inferiori ai 20° C (68° F), si riscontra una produttività quasi nulla ed una crescita stentata.
Le piogge devono essere molto abbondanti (almeno 1500-1800 mm/anno), con un'umidità relativa atmosferica del 75% e non ci deve essere una stagione secca più lunga di 2-3 mesi che, come detto in precedenza, ridurrebbe il numero dei fiori femminili e, dunque, la produzione di frutti.
Esposizione assolata a parte, il clima ideale della Palma da Olio è molto simile a quello della Pianta del Cacao.
Per queste ragioni, tutti gli impianti, sono situati al piano e a latitudini comprese tra il 10° N e 10° S; solo in queste zone si ha un'ottima resa, già al 15° parallelo  Nord (o Sud) la produzione non sarebbe più competitiva.
La specie si adatta a quasi tutti i tipi di terreno a pH compreso tra 4 e 8, tuttavia in terreni fertili si hanno maggiori rese. Le radici sono piuttosto tolleranti all'acqua corrente e possono resistere ad allagamenti stagionali, purché non vi si sia acqua stagnante.
La Palma da Olio è piuttosto longeva e può vivere anche 200 anni; ciò nonostante la produzione decresce man mano che la pianta invecchia e le piante rimangono competitive per il mercato, solo fino all'età di 30-40 anni.
Questa pianta è soggetta all'attacco di innumerevoli patogeni, sia di origine fungina, che batterica ed è anche attaccata da piccoli vertebrati come ratti od uccelli che si nutrono sia dei frutti maturi, che immaturi, arrecando ingenti danni alla produzione.

Elaeis guineensis, diversamente da altre palme, non emette polloni e non vi è modo di riprodurla per via vegetativa; la riproduzione è esclusivamente effettuata tramite semina. Per questo motivo non si può parlare di vere e proprie cultivars di Palma da Olio, ma piuttosto di varietà:


  • Dura : varietà dotata di uno spesso guscio esterno (endocarpo) ed un seme interno abbastanza grosso. Non è particolarmente produttiva, ma è assai rustica ed, in zone tropicali, è prevalentemente utilizzata a scopo ornamentale, in giardini e parchi.
  • Pisifera : priva di guscio esterno, ha un'elevata tendenza ad aborti fiorali. I frutti fertili sono dotati di un nocciolo piccolo, che rendono la specie poco utilizzata a scopi alimentari.
  • Tenera : è ottenuta dall'ibridazione di Dura x Pisifera; questa varietà è quella maggiormente utilizzata negli impianti commerciali,. Presenta un nocciolo abbastanza grande, una discreta quantità di polpa ed un guscio esterno molto sottile.
  • Macrocaria : varietà senza alcun utilizzo commerciale, rappresenta una forma estrema di "Dura" ed è dotata di un endocarpo molto spesso. 



Varietà di Palma da Olio


Come si produce l'Olio di Palma? Dove viene utilizzato? Che caratteristiche possiede? :


Un ettaro di terreno, coltivato con Elaeis guineensis, può produrre fino ad 8 tonnellate di Olio all'anno ed è mediamente 10 volte più efficiente, rispetto ad ogni altra coltura da Olio (es. Olio di Girasoli, Olio di Colza etc..).
Nel 2012 le Palme da Olio coprivano solo il 5% degli ettari di colture da Olio, eppure producevano oltre il 30% dell'Olio mondiale. Oltre il 90% dei campi di Palme da Olio è situato nel Sud-Est Asiatico, zona ideale sia come latitudine, che come umidità e piogge annue.
Il suo largo consumo è dovuto al basso prezzo per litro, a sua volta dovuto all'alta resa della coltura.


L'Olio ricavato dalla Elaeis guineensis lo si può dividere in due tipi:

  • Olio di Palma : Si ricava dalla polpa dei frutti, ha un sapore dolciastro ed è di colore rosso, per via dell'elevata concentrazione di carotenoidi. Questo primo tipo di Olio è utilizzato nell'industria alimentare, ma prevalentemente in quella cosmetica, per la produzione di saponi o come lubrificante. Se viene raffinato può diventare liquido a temperatura ambiente.
  • Olio di Semi di Palma : Chiamato anche Olio di Palmisto, è ottenuto dalla spremitura a caldo dei semi. La resa percentuale è inferiore, rispetto all'Olio di Palma, e chimicamente è più simile all'Olio di Cocco, con però una maggior quantità di Acido laurico. L'acidità inferiore e le migliori qualità organolettiche, fanno il Palmisto un Olio più pregiato, utilizzato principalmente nell'industria dolciaria. 

Entrami questi Oli, appena prodotti, sono solidi a temperatura ambiente e da essi si possono estrarre burri vegetali. Essi sono dei trigliceridi, ovvero esterificazione di acidi grassi (tra cui l'Acido palmitico, l'Acido oleico, l'Acido laurico) con glicerolo. 
Quest'Olio è noto per l'elevata concentrazione di acidi grassi saturi (50% nell'Olio di Palma e 80% nell'Olio di Palmisto).


Ma l'Olio di Palma fa realmente così male?

In molti sostengono che l'Olio di Palma faccia male alla salute e che il suo utilizzo sia ascrivibile esclusivamente alla sua economicità.
Se da un lato è vero che l'eccessivo consumo di acidi grassi saturi facilita l'insorgere di malattie cardiovascolari del colesterolo, dall'altro, l'Olio di Palma grezzo contiene alte concentrazioni di carotene, Vitamina E ed altre sostanze utile; un suo utilizzo controllato potrebbe dunque essere vantaggioso.
Tuttavia, recenti studi hanno evidenziato che l'Olio di Palma raffinato (ottenuto partendo da quello grezzo) è privo degli "elementi positivi" (es. Vitamina E etc..) e che nel processo di raffinazione si possano produrre sostanze tossiche e cancerogene, potenzialmente pericolose per la salute umana.
Ciò nonostante, non esiste una risposta unanime e condivisa da tutti. Il consiglio è quello di utilizzarlo con parsimonia e consapevolezza, senza lasciarsi influenzare da ipotetici scenari catastrofici. 

Piantine di Elaeis guineensis

Chioma Palma da Olio

Tronco e Foglie Palma da Olio

Quando Inizia l'Inverno? Com'è il Suo Clima?

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L'invernoè, in natura, la stagione più dura, quella in cui c'è scarsità di cibo e risorse, nonché quella più letale. Tuttavia, dal calduccio di casa, la visione che ne hanno gli uomini è ben diversa e, mediamente, risulta una stagione ben più allegra dell'autunno, nonché quella che lascia presagire l'arrivo della bella stagione.

Quando inizia l'inverno in Italia? Come varia il clima dell'inverno nel mondo? Quali sono le differenze di temperatura tra Nord e Sud Italia?

Nevicata invernale


L'inizio dell'inverno Astronomicocoincide con il Solstizio invernale che, nell'emisfero boreale (in cui è presente l'Italia), è il 21 o 22 Dicembre, a seconda degli anni; mentre finisce con l'equinozio di Marzo (20-21 Marzo). Nell'emisfero australe, invece, inizierà con il Solstizio di Giugno (20-21 Giugno) e terminerà con l'equinozio di Settembre (22-23 Settembre).
Qualcuno di voi avrà notato che l'inverno boreale è qualche giorno più corto, rispetto a quello australe. Questo è dovuto al fatto che la Terra, in Dicembre, si trova più vicina al Sole (Perielio), rispetto a Giugno (Afelio) e ciò comporta una maggiore velocità di rivoluzione e, quindi, una minor durata dell'inverno (Seconda Legge di Keplero). Come è facile intuire non è la distanza/vicinanza al Sole a determinare le stagioni (in Dicembre siamo addirittura più vicini al Sole), ma l'inclinazione con cui i raggi del Sole giungono sulla Terra. Alle nostre latitudini, in inverno, i raggi solari arrivano inclinati e si distribuiscono su un'area più grande, determinando un minor riscaldamento.

L'inverno Meteorologico, invece, considera i tre mesi con le maggior caratteristiche invernali dal punto di vista climatico. Esso inizia il 1 Dicembre e termina il 28 (o 29) Febbraio.

Come di consueto, potremmo continuare la lettura di questo articolo accompagnati dalle dolci melodie dell'Inverno di Vivaldi.




Sebbene in pochi ci facciano caso, l'inizio dell'inverno coincide con il giorno più corto dell'anno e, quindi, in tutti i giorni a seguire le ore di luce aumenteranno gradualmente. In altre parole, durante l'Inverno, le giornate si allungano ed il Sole, ad ogni giorno, è sempre un po' più alto sopra l'orizzonte.
Nel primo giorno di inverno, al 45° parallelo (Milano), il Sole si innalzerà sopra l'orizzonte di circa 22°, mentre nell'ultimo giorno salirà di un angolo di 45° (per maggior dettagli leggi qua).

Se ci fate caso, l'altezza del Sole (e quindi la sua "Potenza") è speculare tra Inverno ed Autunno.
Ad esempio, se prendiamo il Solstizio del 21 Dicembre e ci spostiamo due mesi avanti o indietro (21 Febbraio o 21 Ottobre), avremmo la stessa "Potenza del Sole". Eppure, anche con la stessa radiazione solare, il 21 Ottobre è mediamente ben più caldo del 21 Febbraio.
Questo è dovuto all'inerzia termica, il clima, infatti, non dipende esclusivamente da "quanto scalda il Sole", ma anche da quanto sono caldi i mari e gli oceani, oltre all'estensione delle nevi in Eurasia ed America del Nord (vedi qua).
Il giro di boa per quanto riguarda le temperature in Italia è spostato di circa un mese (21 Gennaio), rispetto al Solstizio.


Quali sono le caratteristiche climatiche dell'inverno Italiano? Come variano dal Nord al Sud Italia?

L'inverno è una delle 4 stagioni dei climi temperati e, così marcatamente, è osservabile solo a latitudini superiori al 30° N o 30°S.
Nella prima parte dell'inverno (così come nell'ultima dell'Autunno) le ore di luce sono poche e quelle di buio possono essere anche 16 al giorno (nel Nord Italia). Più ci si avvicina ai Poli e più il rapporto luce/buio diminuisce; ai Poli ci saranno zero ore di Sole, per tutto l'inverno.
In questa stagione, all'interno del Circolo Polare (67° N o S), è possibile osservare almeno un giorno, quella che viene definita Notte Polare. Il numero di giorni in cui è possibile osservare questo fenomeno cresce avvicinandosi ai Poli. Al 67° Nord (o Sud) ci sarà un'unica Notte Polare in corrispondenza del Solstizio, al Polo Nord (o Sud) circa 182 (6 mesi).

Ma cos'è la Notte Polare?
Con questo termine si indica una giornata in cui il Sole rimane sotto la linea dell'orizzonte per tutto l'arco delle 24h.
Ciò non vuol necessariamente dire che sia buio pesto tutto il giorno. In zone vicine al circolo polare, in prossimità dei Solstizi, a mezzogiorno il Sole sarà pochissimi gradi sotto l'orizzonte e la luce riflessa garantirà un tenue bagliore.
In zone più lontane dal Circolo Polare (oltre il 75°N o S) il Sole di mezzogiorno resterà diversi gradi sotto l'orizzonte, mantenendo un buio che, alle nostre latitudini, siamo soliti osservare solo di notte.
Si capisce bene che il numero di ore di luce è strettamente correlato sia alla distanza fisica dai poli, sia alla distanza temporale dai solstizi.

La stagione invernale, in Italia, è quella che registra le maggiori differenze di temperatura tra Nord e Sud. Nel settentrione, specie nella pianura Padana, il clima è continentale e soggetto a forti inversioni termiche. Ciò determina temperature notturne rigide e, a cielo sereno, le minime sono spesso sotto gli 0° C (32° F). Anche di giorno, specie nelle basse pianure, l'aria umida e fredda tende a ristagnare, senza essere spazzata via dall'ormai flebile Sole. In queste zone la nebbia può permanere anche nelle ore centrali della giornata, non permettendo l'innalzamento diurno delle temperature, che spesso rimangono di 4-5° C (39-41° F) e, in seguito ad irruzioni particolarmente fredde, possono rimanere tutto il giorno sottozero (Giornate di Ghiaccio). In pianura, la sensazione di freddo è acuita dall'elevata umidità atmosferica.
Sulle colline, ed in generale sulle Prealpi, il clima diventa meno umido e le temperature minime, per via della minor inversione termica, si addolciscono.
Sulle Alpi, salendo di quota, le temperature diventano via via più rigide, ma in un contesto di bassa umidità e quasi totale assenza di nebbie. In inverno non è raro essere a 700 m (2300 ft) con Sole e 8-10° C (46-50° F), mentre le pianure sottostanti sono immerse nella nebbia, con temperature poco sopra il punto di congelamento.
L'inverno, nel Nord Italia, è una stagione piuttosto secca, tuttavia molte zone non sono insolite a precipitazioni nevose. Ciò nonostante, al piano, è ormai raro che la neve rimanga sul terreno per più di qualche giorno, cosa che era comune fino ad una cinquantina di anni fa.
In alcune zone del Nord Italia, soggette a temporali estivi, l'inverno è la stagione più secca, mentre al Sud può essere una stagione piuttosto piovosa.

Sebbene la Pianura Padana abbia un clima con forti caratteristiche di continentalità, non possiamo di certo paragonarlo a quello tipico delle pianure dell'Europa centrale. Le Alpi, con le sue vette che superano i 5.000 m (16400 ft), rappresentano uno spartiacque. Le gelide correnti provenienti da Nord, proprio per la loro natura, sono compresse vicino al suolo e si ammassano a Nord delle Alpi, giungendo in Italia affievolite. Le zone più fredde del Nord Italia sono quelle della bassa pianura Padana, ove l'aria fredda tende a depositarsi e a ristagnare. La zona più mite del Nord Italia è la Riviera Ligure che, con il suo clima Mediterraneo caldo, non ha nulla a che invidiare a tanti luoghi costieri del Centro-Sud Italia (clicca qua).

La morsa con cui l'inverno stringe l'Italia, in linea generale, decresce ma mano che si procede verso Sud. Ciò nonostante sarebbe più corretto dividere l'Italia centro-meridionale in due macro-zone: quella costiera e quella interna. Le zone interne, soprattutto le valli, hanno un clima abbastanza continentale, di poco più mite rispetto a quello Padano. Qui però, l'assenza di grosse pianure, previene la formazione della nebbia.
La zona costiera ha invece un clima tipicamente Mediterraneo con un inverno mite ed umido. La fascia Adriaticaè più esposta alle fredde correnti provenienti da Nord-Est e, nel medio-adriatico, deboli nevicate sino alla costa sono abbastanza frequenti. Sulla fascia Tirrenica, protetta dagli Appennini, la neve è un evento assai raro (a Roma con cadenza decennale) ed effimero (nevicate senza attecchimento).

Montagna innevata


Per buona parte delle piante, l'inverno rappresenta la stagione del riposo vegetativo, non a caso la parola "Inverno" deriva dal latino "Hiběrnum" (Ibernazione). Le specie decidue hanno perso le foglie e non svolgono più la fotosintesi, mentre le specie sempreverdi riducono al minimo il proprio metabolismo, rallentano (o arrestano) la crescita ed aumentano la concentrazioni di soluti all'interno delle proprie foglie per incrementare la resistenza al freddo.
Per le piante al limite, al fine di ridurre al minimo i fallimenti e le perdite, è necessario effettuare una buona pacciamatura e progettare una struttura per proteggerle dal gelo.

Sia le ore di luce, sia le temperature sono correlate alla velocità di crescita delle piante. Questi due fattori "suggeriscono" alle piante che è meglio non emettere nuove foglie e di prepararsi ai rigori dell'inverno. Bruschi aumenti di temperatura, specie nella seconda parte dell'Inverno, possono trarre in inganno le piante, facendole vegetare ed esponendole ai rischi delle successive gelate (leggi qui).
Nel bacino Mediterraneo, per via dell'effetto mitigatore del mare, bruschi innalzamenti di temperatura in inverno sono rari. In Texas, o in altre zone nel Sud degli Stati uniti, ci possono invece essere temperature superiori ai 20° C (68° F) in pieno inverno, seguite da ondate di gelo con temperature sottozero anche nelle ore centrali del giorno; qui il rischio enunciato sopra è più che concreto.


I 3 mesi dell'inverno meteorologico dal Nord al Sud Italia:


  • Dicembre : è il mese con le giornate più corte dell'anno. Sono possibili ondate di freddo, ma sono meno frequenti rispetto ai mesi seguenti. Ci possono essere le prime nevicate al piano nel Centro-Nord Italia. 
  • Gennaio : è mediamente il mese più freddo, specie nelle zone interne. Il Sole è ancora basso e le ore di buio dominano su quelle di luce, l'aria raffreddatasi di notte non riesce ad essere sufficientemente riscaldata di giorno e, in zone soggette, si instaurano forti inversioni termiche. In questo mese si hanno i maggiori accumuli nevosi al piano.
  • Febbraio : è il mese in cui si inizia ad assaporare la primavera, le giornate iniziano a farsi più lunghe ed il Sole a riscaldare. Ciò nonostante è il periodo in cui la temperatura delle acque del Mar Mediterraneo hanno raggiunto il minimo annuale. Per queste ragioni, in zone costiere, Febbraio è spesso il mese più freddo dell'anno. In tutta Italia, specie nella prima metà del mese, sono ancora possibili forti avvezioni di aria polare. 


Città
Mese
Temp. Min. Media
Temp. Max. Media
Pioggia (mm)

Torino
Dicembre
-1,6°C (29,1°F)
7,6°C (45,7°F)
45,1
Gennaio
-2,5°C (27,5°F)
6,6°C (43,9°F)
47,8
Febbraio
-0,7°C (30,7°F)
9,1°C (48,4°F)
47,1

       Genova
Dicembre
6,5°C (43,7°F)
12,5°C (54,5°F)
93,1
Gennaio
5,5°C (41,9°F)
11,5°C (52,7°F)
101,8
Febbraio
6,0°C (42,8°F)
12,2°C (54,0°F)
74,0

Bologna
Dicembre
0,4°C (32,7°F)
6,8°C (44,2°F)
48,5
Gennaio
-1,5°C (29,3°F)
5,0°C (41,0°F)
34,0
Febbraio
0,9°C (33,6°F)
8,0°C (46,4°F)
44,3

Roma
Dicembre
4,2°C (39,6°F)
12,6°C (54,7°F)
81,0
Gennaio
3,1°C (37,6°F)
11,9°C (53,4°F)
66,9
Febbraio
3,5°C (38,3°F)
13,0°C (55,4°F)
73,3

Palermo
Dicembre
10,2°C (50,4°F)
15,8°C (60,4°F)
123,7
Gennaio
8,9°C (48,0°F)
14,7°C (58,5°F)
97,5
Febbraio
8,5°C (47,3°F)
14,5°C (58,1°F)
109,9

Ancona
Dicembre
2,6°C (36,7°F)
10,4°C (50,7°F)
58,1
Gennaio
1,4°C (34,5°F)
9,2°C (48,6°F)
43,8
Febbraio
1,6°C (34,9°F)
10,2°C (50,4°F)
49,3

L’aquila 
Dicembre
-0,1°C (31,8°F)
7,4°C (45,3°F)
83,7
Gennaio
-1,8°C (28,8°F)
6,4°C (43,5°F)
66,1
Febbraio
-1,0°C (30,2°F)
8,5°C (47,3°F)
64,5

Firenze 
Dicembre
2,6°C (36,7°F)
11,1°C (52,0°F)
81,3
Gennaio
2,0°C (35,6°F)
10,9°C (51,6°F)
60,5
Febbraio
2,5°C (36,5°F)
12,5°C (54,5°F)
63,7


Ed infine, come d'abitudine, qualche dipinto che riassume la stagione invernale.

Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli - Pieter Bruegel il Vecchio

Cimitero Innevato - Friedrich Caspar

Paesaggio cittadino invernale

Paesaggio rurale invernale

Inverno Naif - Moline

Inverno in Montagna
La Gazza - Monet
Inverno Arcimboldo

Come Coltivare il Pomelo (Citrus maxima)? Dove Può Crescere? Che frutto è?

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Il Pomelo (Citrus maxima o Citrus grandis), noto anche col nome di Pampaleone o Pummelo, è, assieme al Cedro e al Mandarino, una delle tre specie progenitrici di tutti gli agrumi commercializzati oggigiorno. Anche l'agrume più coltivato al mondo, l'arancio, deriva da un'antica ibridazione tra Pomelo e Mandarino.

Come si coltiva il Pummelo? Quanto resiste al freddo? Dove si può piantare in Italia? Com'è il suo frutto?


Frutto Pomelo Citrus maxima


Origine e Diffusione :

Il Pummelo è una pianta nativa della Malesia, tuttavia è diffuso e coltivato, da oltre 4000 anni, nella Cina Meridionale ed in buona parte del Sud-Est Asiatico. La specie fu introdotta in Europa oltre 1000 anni fa e, da allora, viene cresciuta sia a scopo alimentare, che ornamentale, in giardini ed orti privati. Ovviamente, data la provenienza tropicale, non può essere coltivato ovunque e la sua presenza è relegata alle zone del Sud Europa a clima Mediterraneo Caldo.
Il Pomelo approdò nel nuovo continente "solo" nel 1700; in questo secolo fu il capitano Shaddock ad esportarlo in Jamaica, da lì si diffuse nel resto dei Caraibi e, poi, nelle americhe. Infatti, in diverse zone del Mondo, questo agrume è chiamato "Shaddock" ed anche in Liguria è conosciuto come "Sciaddocco".
Oggigiorno cresce, allo stato selvatico, ai margini dei fiume. nelle regioni Meridionali della Cina, ma è coltivato a scopo commerciale in molte zone del Mondo, anche lontane da quelle d'origine. Ci sono impianti commerciali in California, Spagna, Israele, Giappone, India e, sporadicamente, anche nelle zone più miti d'Italia (Sicilia e Calabria).


Botanica e Fisiologia :

Fiori Citrus grandisIl Pomelo (Citrus maxima o Citrus grandis) appartiene, come tutti gli Agrumi, alla famiglia delle Rutaceae e si sviluppa sotto forma di albero di medie dimensioni, raggiungendo un'altezza di 6-8 m (20-26 ft). Citrus maxima è una specie sempreverde a portamento espanso e tondeggiante, dotata di foglie piuttosto grandi, di forma ovale e, specialmente durante il riposo vegetativo invernale, di color verde scuro. I rami, inizialmente pubescenti, diventano spinosi dopo la lignificazione, mentre la vigoria è meno elevata, rispetto a quella di altri agrumi. Le radici si sviluppano come fittoni che successivamente si espandono lateralmente. Oltre il 70% delle radici è presente nel primo metro (3,3 ft) di suolo, zona in cui vi è maggior concentrazione di ossigeno; tuttavia, specie in ambienti asciutti ed aerati, possono spingersi sino ad una profondità di oltre 2 m (6,6 ft). Le radici del Pomelo hanno un'estensione superiore all'area della propria chioma, ciò nonostante non sono particolarmente invasive e non disturbano muri, vialetti, condotte sotterranee o altre strutture abitative.
Il Pummelo può fiorire più volte all'anno sebbene, in Italia, la fioritura principale sia relegata al periodo primaverile. I Fiori sono bianchi/giallo chiaro e possono essere solitari o riuniti in piccoli gruppi, composti da 2 a 10 fiori. Le infiorescenze vengono emesse in corrispondenza dell'ascella fogliare, ma anche della parte terminale del ramo, in quest'ultima zona i racemi possono esser composti da un maggior numero di fiori (sino a 15-18).
Il Pomelo, avendo più fioriture all'anno, matura i propri frutti in maniera scalare. Dal fiore al frutto maturo ci vogliono circa 150-180 giorni quindi, dato che in zone temperate come l'Italia, la fioritura è concentrata in primavera, il picco di produzione coincide con il periodo tardo autunnale (Ottobre-Novembre-Dicembre).
Il frutto del Pomelo, come suggerisce il nome scientifico (Citrus grandis), è il più grande tra gli agrumi e può arrivare a pesare oltre 3-4 kg (7-9 lb). Contrariamente alla maggior parte degli agrumi, il frutto è generalmente piriforme e non sferico. La polpa interna è circondata da una buccia molto spessa, composta da due strati: quello più esterno, Flavedo, è liscio, sottile e giallo; quello più interno, Albedo, è bianco, di consistenza spugnosa e spesso. La polpa interna, molto ricca di potassio e Vitamina C, è di color bianco o rosa e, a seconda della cultivar, può contenere più o meno semi.
Ma com'è il gusto del Pomelo?Il sapore di questo frutto è, in linea generale, simile a quello tipico degli agrumi. Un retrogusto acidulo è presente, tuttavia è decisamente meno marcato rispetto al Pompelmo. Il sapore potremmo descriverlo come una via di mezzo tra un'arancia dolce ed un pompelmo, quindi dolce, con una nota di amaro, ma molto succoso.

Frutto Pomelo Aperto


Coltivazione, Esposizione, Clima e Cure :

Il Pummelo (Citrus maxima o Citrus grandis) è una specie generalmente autosterile, nonché poco incline a produrre frutti tramite partenocarpia. L'impollinazione incrociata è richiesta per la maggior parte delle varietà, ciò nonostante Citrus maxima può essere impollinata anche da altre specie, appartenenti al genere Citrus. Per questa ragione i semi ottenuti da impollinazione libera hanno un'elevatissima variabilità genetica. Non a caso, la quasi totalità degli Agrumi odierni sono ibridi, che derivano da un primordiale incrocio tra il Pomelo ed altre specie.
Il Pomelo, data la provenienza tropicale, non è di certo tra gli agrumi più resistenti al freddo, tuttavia si è perfettamente adattato a crescere nei climi temperati caldi, come le zone più miti del bacino Mediterraneo. Questo agrume dovrebbe essere coltivato in zone in cui vi siano solo lievi ed effimere gelate. Anche poche ore con temperature inferiori ai -5°/-6° (23-21° F) potrebbero danneggiare seriamente la pianta o farla addirittura morire. Per una coltivazione in massima sicurezza, o per farne impianti commerciali, si dovrà piantare in zone USDA 9b o più calde.
Il Pummelo è piuttosto esigente anche per quanto riguarda le temperature massime e, diversamente da altri agrumi, richiede un'estate lunga e calda per potersi sviluppare e portare a maturazione i frutti. Per questa ragione, zone non tropicali a clima spiccatamente oceanico, pur non avendo inverni freddi, non sono ideali per la coltivazione della specie. Impianti sperimentali in Nuova Zelanda (notoriamente mite d'inverno e fresca d'estate) si sono dimostrati fallimentari, proprio per l'insufficiente calura estiva.
Questa pianta preferisce un'esposizione soleggiata, che garantisce una perfetta maturazione dei frutti ed un maggior contenuto zuccherino, ciò nonostante riesce a svilupparsi anche in zone a mezz'ombra.
Il Pomelo, avendo come habitat naturale le piovose zone pianeggianti tropicali, spesso ai margini di fiumi e ruscelli, non si è evoluto per resistere alla siccità ed, in zone ad estate arida come Sicilia, Sardegna e Calabria, richiede un'irrigazione adeguata per favorire lo sviluppo dei frutti (in gran parte costituiti da acqua). Per prosperare e produrre abbondantemente, senza irrigazioni, dovrebbe esser piantato in aree in cui vi siano precipitazioni di almeno 1500 mm/anno, distribuite anche nel periodo che va dalla fioritura alla maturazione dei frutti. Il Pomelo non ha bisogno di potature eccessive, ma sarà molto importante quella d'allevamento iniziale che ne determinerà la futura forma. Successivamente si procederà accorciando i rami che puntano troppo in alto, così come quelli che, piegati dal peso dei frutti, saranno rasenti terra. La forma d'allevamento più comune è a "chioma piena", in cui vengono lasciate 3-4 branche principali ed i rami ricadenti. La potatura deve esser effettuata in inverno, prima della fioritura, ricordando che i fiori si produrranno prevalentemente sui rami dell'anno precedente.
Foglie e Rami Pomelo Citrus maxima, è una specie originaria delle pianure alluvionali, gradisce pertanto un terreno argilloso in profondità, ma sabbioso in superficie, profondo ed arricchito con limo e sostanza organica; inoltre è segnalata una discreta resistenza ai terreni con elevata salinità. La concimazione, a base organica e ricca di microelementi, può essere effettuata prima della ripresa vegetativa ed in corrispondenza dell'ingrossamento dei frutti.

Maturazione PomeloFrutti Immaturi Pummelo


Riproduzione, Varietà e Malattie :

Il Pomelo produce tendenzialmente semi mono-embrionici quindi, diversamente da altri Agrumi, ogni pianta nata da seme sarà un po' diversa rispetto alla pianta madre. La moltiplicazione per semina non è perciò comune e, oltre a non aver garanzia sulla qualità dei futuri frutti, si potrebbe dover aspettare anche 8-10 anni, prima che la pianta entri in produzione.
Il Pummelo, generalmente, viene riprodotto per via vegetativa, tramite innesto. Questo, oltre a velocizzare la messa a frutto, permette di scegliere tra diversi portainnesti, ognuno con caratteristiche specifiche. Alcuni portainnesti, come ad esempio il Poncirus trifoliata, facilitano l'entrata in dormienza invernale, permettendo così una maggior resistenza al gelo. Col giusto portainnesto e con un minimo di protezione invernale, è possibile crescere un pomelo all'aperto anche nei punti più riparati dei grandi laghi del Nord Italia, come avviene a Cannero Riviera, sul Lago Maggiore. Alcune varietà si possono riprodurre anche per margotta.
Esistono innumerevoli cultivars di Pummelo, che possono essere grossolanamente divise in tre categorie:


Gruppo Cinese : a frutto piriforme, polpa bianca e buccia particolarmente spessa
Gruppo Thailandese : dal frutto di dimensioni più contenute
Gruppo Indonesiano : producono un frutto a basso contenuto di acidità


Di seguito un elenco dei cloni più diffusi e commercializzati


  • Shatian : Molto diffuso, soprattutto nel sud-est asiatico. Produce frutti privi di semi (Seedless),  dalla polpa bianca, molto succosa e dolce.
  • Chandler : Varietà molto popolare, ottenuta dall'incrocio di un pomelo a frutto giallo e dolce, con uno rosa e acido. Ottenuto in California negli anni '60, matura precocemente e si conserva a lungo.
  • Cuban Shaddock : originario di Cuba, produce un frutto molto grosso, con molti semi e dalla polpa acida. La crescita della pianta è assurgente ed ha una minor resistenza al freddo rispetto ad altre varietà.
  • Tahitian : originario del Borneo, fu portato a Thaiti e poi diffuso nelle isole Hawaii. La peculiarità è quella di avere una buccia molto sottile ed un gusto eccellente. Esso è frequentemente utilizzato come punto di partenza per selezionare nuove varietà o per ottenere nuovi ibridi.
  • Honey : frutto di grossa pezzatura (peso di circa 2 kg), quasi senza semi, polpa dolce e trasparente.
  • Pomelit : crescita vigorosa, ma rami esili che si possono spezzare sotto il peso dei frutti. Essi sono tondeggianti, schiacciati ai poli, a polpa bianca, con sfumature arancioni. I frutti hanno molti semi, ma il sapore è molto apprezzato. 
  • Mato Buntan : frutto piriforme, giallo a maturità, polpa leggermente amara e con una nota di acidità.
  • Hirado Buntan : varietà molto diffusa a Nagasaki e nel Sud del Giappone. E' tra le più rustiche e resistenti al freddo, ottima per la coltivazione all'infuori dei tropici. Si caratterizza per aver un frutto dalla polpa rosa, non particolarmente succosa e ricca di semi.
  • Cocktail : questa, in realtà, non è una specie "pura", bensì ottenuta dall'incrocio di un Pomelo con un Mandarino. Produce frutti delle dimensioni di un'arancia o di un piccolo pompelmo. Questo ibrido può essere cresciuto anche in zone più fredde, rispetto a quelle limite per il Pummelo. Il sapore è unico e piacevolmente sub-acido. Talvolta è erroneamente chiamato Pompelmo "Cocktail".

Citrus grandis, un po' come tutti gli agrumi, è soggetto a diverse malattie sia di origine animale, che virale o fungina. Molte patologie non determinano la morte, possono essere estemporanee e tenute facilmente a bada. La lotta biologica, con gli antagonisti naturali, è comune per debellare insetti patogeni, mantenendoli sotto la soglia critica di danno. Purtroppo, alcune malattie sono ben più gravi e spesso la loro diagnosi è così tardiva da non permettere il recupero della pianta. I funghi del genere Phytophthora, causando marciumi radicali, sono tra i patogeni più letali e sono la maggior causa di morte per vecchi esemplari di Pomelo. 

Chioma Pomelo

Fioritura Pomelo
Frutto Immaturo Pummelo

Citrus maxima

Invaiatura Pomelo



Cos'è un Innesto? A Cosa Serve Innestare le Piante da Frutto?

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Tutti noi abbiamo sentito parlare di "Piante Innestate" oppure letto, magari su qualche rivista di giardinaggio, della "Tecnica dell'Innesto". Eppure solo i più appassionati e curiosi sanno realmente che cosa voglia dire innestare e quali vantaggi offra.

Cosa significa innestare una pianta? Che differenza c'è tra Nesto (o Marza) e Portainnesto (o Portinnesto)? E' sempre necessario innestare le piante da frutto, affinché fruttifichino? Da dove nasce questa tecnica? Qual è la sua utilità? Si può usare con tutte le piante?

Innesto a spacco



Come suggerisce la parola, innestare significa genericamente "inserire" qualcosa all'interno di un corpo estraneo. Se parliamo del mondo vegetale, innestare vuol dire "unire" o "collegare" due rami inizialmente divisi, un sorta di trapianto tra piante.

Ancora una volta l'uomo ha semplicemente copiato, ed adattato ai suoi scopi, un meccanismo già presente in natura. L'innesto, infatti, esiste da milioni di anni, garantendo un vantaggio evolutivo alle specie in grado di attuarlo.
Rami di specie affini che vengono a contatto tra loro possono saldarsi l'un l'altro, collegando di fatto le due piante. Ovviamente non è un evento troppo frequente, i rami devono essere intagliati e ben stretti l'uno contro l'altro, però in boschi fitti può capitare.
Pensiamo ad una pianta che viene sradicata, i suoi rami sono ancora vivi, ma destinati a morire. Se cadendo riuscissero a collegarsi ad un'altra pianta e a saldarsi prima che muoiano, essi potrebbero sfruttare le radici di questa seconda pianta per potersi sviluppare.
Anche due piante sane e non sradicate potrebbero trarre dei vantaggi da un innesto naturale, potendo condividere la stessa linfa ed utilizzato le radici di entrambe.

Due platani innestati tra loro

Innesto naturale


Perché l'innesto, specialmente per le piante da frutto, è così importante come metodo ti propagazione?

I semi si ottengono in seguito all'impollinazione dei fiori, ogni seme è dunque geneticamente diverso da ogni altro. La  moltiplicazione di una pianta tramite semina (riproduzione sessuata) genera una pianta figlia che non è un clone della pianta madre ed, anzi, potrebbe anche essere molto diversa. Dal seme di una mela rossa potrebbe nascere una piantina che farà mele gialle, da un Kiwi femmina potrebbe nascere un Kiwi maschio, da un vitigno precoce potrebbe nascerne uno tardivo etc.. (per dettagli clicca qua).
Per queste ragioni, qualora si volesse una pianta con determinate caratteristiche, si dovrà riprodurla per via vegetativa, ovvero asessuata (senza passare dal seme).
Alcune piante si possono riprodurre per Talea, ovvero basta interrare un loro ramo affinché emetta radici e possa sviluppare una nuova pianta interamente derivante da quell'unico ramo (e quindi un suo esatto clone). Tuttavia non tutte le piante hanno rami che radicano con facilità ed alcune non si possono assolutamente moltiplicare tramite talea.

Queste specie si riproducono tramite innesto. Innestare vuol semplicemente dire collegare un ramo di una cultivar selezionata (Nesto o Marza) ad una piantina ottenuta ad esempio per semina (Portainnesto).
Supponiamo di avere un'ottima varietà di Albicocco, che produce frutti grossi e gustosi e di volerla riprodurre, per venderla o regalarla ad amici e parenti. Purtroppo i suoi rami non radicano e non è possibile fare una talea, mentre se la seminassimo potrebbe uscire una pianta che produce frutti piccoli e poco gustosi.
Noi potremmo sfruttare i suoi semi per produrre il Portainnesto e, dopo un paio di anni, innestare su di esso il Nesto (un ramo preso dall'ottima varietà di Albicocco).
Così facendo le radici e la prima parte del tronco non sarebbero dei cloni della nostra varietà, ma la parte sovrastante sì. Se l'innesto ha successo il nesto inizierà a germogliare, a svilupparsi ed a formare una chioma, la quale fiorirà è produrrà albicocche grosse e gustose, esattamente come la pianta da cui è stato prelevato il nesto. Il portinnesto invece sarà geneticamente diverso dalla pianta da cui si è prelevato il seme, ma tanto non dovrà produrre frutti, ma solo alimentare con le sue radici il nesto sovrastante.


Come si riconosce una pianta innestata?

Piante riprodotte per talea o per semina sono difficilmente distinguibili, mentre piante innestate, almeno da giovani, sono facilmente riconoscibili.
Per la riuscita di un innesto, le cellule del nesto e quelle del portainnesto si devono saldare tra loro. Nella regione di contatto vi è un'elevata proliferazione cellulare che genera un ispessimento, inoltre è osservabile la cicatrice creatasi in corrispondenza degli intagli iniziali.
Nelle piante molto vecchie il punto d'innesto può essere nascosto dalla corteccia, mentre nelle piante giovani anche l'innesto più "delicato" lascia un traccia.


Quali vantaggi offrono le piante innestate?

In primisè, per molte specie, l'unica tecnica che permette di riprodurle in maniera vegetativa (ottenendo cioè un'identica cultivar o Clone). In secondo luogo le piante innestate fioriscono ed entrano in produzione prima. Questo perché il ramo (nesto) utilizzato è un ramo prelevato da una pianta già in produzione. Esso è dunque "maturo" e, idealmente, già in grado di fiorire/fruttificare. Una pianta nata da seme, invece, deve percorrere le tappe; inizialmente è solo un germoglio, poco dopo un esile tronco, che successivamente inizierà a ramificare. I giovani rami non sono ancora in grado di differenziarsi al fine di produrre gemme a fiore e ci vorranno anni affinché si raggiunga l'età riproduttiva.
Se vogliamo, l'innesto è una sorta di forzatura, si "attacca" un ramo "adulto", preso da una pianta adulta, su un portainnesto "bambino".
In alcuni casi vi è dunque un'enorme sproporzione tra nesto e portainnesto e le radici ancora poco sviluppate non sono in grado di alimentare i frutti che il ramo "adulto" innestato vorrebbe produrre.
Tuttavia, una volta sviluppate le radici, l'innesto potrà iniziare a fruttificare, risparmiando tempo rispetto a quello necessario partendo da seme. Per intenderci una pianta innestata può iniziare a produrre 2-3 anni dopo l'innesto, una da seme ne può richiedere anche 8-10 (questi sono valori medi per una pianta da frutto, l'età di entrata in produzione varia considerevolmente da specie a specie).
Un'altra opportunità è quella di avere, su un'unica piante, più varietà diverse tra loro. Se prendiamo una pianta nata da seme, la facciamo ramificare ed ogni suo ramo lo innestiamo con un nesto diverso, potremmo avere ad esempio 3 innesti diversi, tutti alimentati da un unico apparato radicale. Potremmo così avere un'unico melo che produrrà su una branca Mele "Rosse", su un'altra Mele "Gialle" e sull'ultima Mele "Verdi", insomma una chioma variegata.
Per sfruttare al meglio la tecnica degli innesti multipli, i diversi nesti selezionati dovranno avere vigoria simile, altrimenti uno potrebbe prendere il sopravvento sugli altri, generando una chioma sbilanciata.

Detto questo non è vero che è sempre necessario innestare le piante da frutto, semplicemente, partendo da seme, dovrete aspettare più tempo e sarà un terno al lotto, non saprete mai che frutto farà fin quando non fruttificherà.

Punto di Innesto



Un  altro vantaggio è la possibilità di utilizzare diversi portainnesti, scegliendo così i più adatti alle nostre condizioni di crescita. Se una specie, ad esempio il Prunus avium (Ciliegio), viene innestata sulla stessa specie, ovvero sia Nesto che Portainnesto sono Prunus avium, si dice che è un Ciliegio innestato su Franco; tuttavia, alcune specie, possono essere innestate anche su specie affini (e non solo identiche). Qualcuno di voi si starà chiedendo : "E quindi?"

Se ci pensate bene questa è un'opportunità enorme, potreste avere una pianta che fa i frutti (o i fiori) che voi più amate, con le radici di un'altra specie.
Supponete di vivere in una zona siccitosa, in cui le piogge estive siano praticamente inesistenti e di voler coltivare una determinata pianta, non troppo resistente alla siccità. Se la vostra pianta (specie A) si può innestare su un'altra (specie B) più resistente alla siccità, avrete la possibilità di avere una pianta con la chioma (rami, foglie, fiori, frutti etc..) della specie A, alimentata da un portainnesto della Specie B, che sviluppa radici profonde, in grado di pescare acqua laddove le radici della specie A non arriverebbero.
In zone a clima Mediterraneo, ad esempio, si usa spesso il Mandorlo come Portainnesto per innestare altre specie fruttifere meno resistenti alla siccità (es. Pesco, Susino, etc..).

Ovviamente le radici (Portainnesto) influenzano anche la chioma (Nesto) e non solo per la ovvia resistenza alla siccità. Le radici prelevano i nutrienti dal terreno, ancorano la pianta al terreno, producono e mettono in circolo ormoni in grado di influenzare la chioma.

Ultimamente sono diventati di moda gli alberi da frutti nani che, date le loro dimensioni, sono coltivabili anche in piccoli giardini, in vaso, oltre a permettere impianti iper-intensivi o semplicemente facilitare la raccolta, senza dover utilizzare scale.
L'effetto nanizzante si ottiene grazie a particolari portainnesti che riducono la vigoria del nesto sovrastante; un esempio nel Ciliegio è il Portainnesto nanizzante "Gisela".
Inoltre la vigoria indotta da un portinnesto è correlata al tempo necessario per l'entrata in produzione di una pianta da frutto. In linea generale, portainnesti molto vigorosi faranno crescere velocemente la chioma, ritardando la messa a frutto, mentre quelli con scarsa vigoria l'anticiperanno.

Diversi portainnesti, e quindi diversi tipi di radici, hanno diversa adattabilità ai terreni. Uno stesso nesto converrà innestarlo sul portainnesto più idoneo al terreno in cui si vorrà poi piantumare.
Nella Vite (Vitis vinifera), il portainnesto 1103 P è tra i migliori per terreni salmastri, altri resistono meglio ai ristagni idrici, altri ancora ai terreni con alte concentrazioni di calcare attivo.
Alcuni sono più indicati per terreni argillosi, altri per terreni freschi e profondi. In fine, ogni portinnesto ha una diversa tolleranza alle varie patologie; in terreni umidi, ad esempio, sarà opportuno sceglierne uno con elevata resistenza ai marciumi radicali.

Come accennato sopra, le radici producono anche alcuni ormoni. La scelta del giusto portainnesto può aumentare o diminuire la resistenza al freddo della chioma su di esso innestata.
Un classico esempio arriva dagli Agrumi, essi sono mediamente poco tolleranti al freddo eppure la soglia di danno da freddo può essere aumentata utilizzando come portainnesto il Poncirus trifoliata. Esso è l'unico agrume deciduo e, in seguito ai primi freddi, è in grado di facilitare l'arresto della crescita della chioma sovrastante, inducendo una dormienza più duratura ed efficace.
Un Cedro od un Pomelo, innestati su franco, dimostrerebbero una minor capacità di acclimatazione al freddo e, di conseguenza, una minor rusticità. Inoltre le radici del Poncirus trifoliata offrono una miglior resistenza a diverse specie di Phytophthora.
La scelta del giusto portainnesto potrebbe fare la differenza tra il successo e l'insuccesso, spostando (leggermente) la soglia limite di coltivazione.

Nesto-Portainnesto


I portainnesti si ottengono per semina oppure tramite la tecnica della micro-propagazione in vitro, un metodo eseguibile solo in laboratorio. In quest'ultimo caso poche cellule prelevate da una gemma del portainnesto vengono cresciute e moltiplicate in vitro e poi fatte radicare.


Quali svantaggi hanno le piante innestate?

Dopo aver visto i tanti vantaggi, diamo un'occhiata ai (pochi) svantaggi. In primo luogo innestare è più complicato che seminare, bisogna avere gli attrezzi giusti, prelevare le marze ed innestarle nel periodo dell'anno adatto, nonché un po' di esperienza. Inoltre, in alcune specie, gli innesti faticano ad attecchire e solo una piccola percentuale ha successo.

Per chi invece si limitasse a comprare (non a propagare) piante innestate, il primo svantaggio non lo riguarda. Tuttavia c'è un secondo (e forse più grosso) svantaggio: una pianta innestata è, di fatto, composta da due piante diverse, un Portainnesto (radici e prima parte del tronco) ed un Nesto (chioma).
I portainnesti posseggono delle proprie gemme, le loro radici possono emettere polloni (rami prodotti dalle radici), quindi tutti i rami prodotti dal portainnesto devono essere rimossi, altrimenti si rischierebbe che, accanto alla chioma prodotta dal Nesto, se ne facesse una prodotta dal Portainnesto. Questo problema diventa importante in specie con elevata tendenza a pollonare.
Ricordatevi che ogni getto cresciuto sotto il punto di innesto non sarà la cultivar che voi avete comprato.

Un problema molto affine è quando una pianta da frutto "rigetta", dopo essere stata seriamente danneggiata dal freddo. Abbiamo visto che, specie con una buona pacciamatura, le radici rimangono più protette e al caldo, rispetto alla chioma esposta alle intemperie.
Supponiamo di avere un Olivo (Olea europaea) che fa Olive giganti e buonissime e di innestare una sua marza su portainnesto ricavato dal seme di un'Oliva (e quindi potenzialmente di pessima qualità).
Se viene un'ondata di gelo molto intensa, la parte aerea può venire seriamente danneggiata o morire del tutto. Tuttavia le radici, essendo al calduccio sotto la neve, riescono a sopravvivere.
Quando arrivano i primi tepori primaverili, le piante iniziano a muoversi; la chioma del nostro Olivo (dai frutti buoni e giganti) è morta e non può germogliare, ma le radici sottostanti sono ancora vive ed iniziano ad emettere polloni.
Questi rami derivano quindi dal portainnesto e, nel giro di qualche anno, andranno a ricomporre la chioma. Questa nuova chioma deriverà però dal portainnesto (il nostro nesto iniziale è morto qualche inverno prima) e produrrà Olive diverse da quelle grosse e gustose che volevamo. Ora questo Olivo è geneticamente identico, sia le sue radici, che la sua "nuova" chioma, risalgono a quell'Olivo fatto da seme, inizialmente utilizzato come portainnesto.
Se vi è possibilità, laddove vi sia il rischio che l'intera chioma muoia, è meglio propagare le cultivar da talea, in quest'ultimo caso anche eventuali polloni formeranno una chioma identica alla cultivar da voi selezionata.


Si possono innestare vecchie piante da frutto?

Ovviamente sì, il portainnesto può essere anche un grosso ramo di un vecchio albero, su cui vogliamo innestare una varietà di nostro piacere. Ogni ramo è potenzialmente innestabile, la distinzione Nesto-Portainnesto è puramente teorica, potremmo innestare una marza su un nesto preesistente, che a sua volta è innestato su un portainnesto.

Il vantaggio di innestare piante adulte è quello di poter sfruttare radici già ben sviluppate ed in grado di alimentare e nutrire al meglio la nuova marza.

Innesto su Vite

Innesto su Ciliegio


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